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Stella N’Djoku, Il tempo di una cometa (rec. di Sabatina Napolitano)

 

«Esistono suoni/ e nodi tra gole vento/ e montagne». Non credevo di trovarmi di fronte ad una voce così delicata. Ammetto di essere partita da un pregiudizio dato dal titolo della silloge, ma la potenza dei versi di Stella N’Djoku e l’intensità mi hanno fatto cambiare idea fin dalla prima poesia. Questo è un libro di poesie brevi che si rivolge a un pubblico vasto: certo non possiamo dire che sia un libro di poesia orale, o che sia inscrivibile in una cornice che ne limiterebbe il respiro. La realtà non è solo lirica, ma è soprattutto ancorata in una sospensione che continuamente segna l’inizio non solo di un verso carico ma anche di un pensiero innamorato, introiettato e quindi maturo, consapevole, che sembra attraversare quindi il sentire più importante e lo specchio dei giorni. Certo perché sommariamente ci identifichiamo in una poesia diaristica, che non vuole incontrare le cose come stanno, e dimenticare del tutto che il sentimento è radicato anche nelle incertezze, non solo negli slanci. Invece la consapevolezza di Stella N’Djoku è disarmante, questo permette alla sua raccolta Il tempo di una cometa (Ensemble, 2019) di essere un gioiello della nostra letteratura. Le poesie sono eleganti, corrisposte da una coincidenza interna che le rende un resoconto sospeso nel tempo; probabilmente anche per questo Valerio Grutt nella prefazione parla di “benedizione del silenzio” e “dramma della perdita”. Le citazioni che guidano la lettura delle poesie sono diverse: Mariangela Gualtieri, Matteo Greco, Rilke. Gli autori delle citazioni non sono solo un punto di riferimento apparente ma, più specificamente, sembrano essere autori che attraversano il sogno del libro che di certo non è un sogno “facile”: “Non sento. È tutto ciò che sento” recita infatti un verso che ci fa chiedere dove è il confine quindi tra una cultura del sentire e quella del “non sentire”.
Quale lingua riesce a veicolare e regolare meglio le emozioni? La traduzione è una possibilità, un modo per dare nuovi binari e guadagnare più campo d’indagine. Offre cornici nuove o accentua degli aspetti: Stella N’Djoku parla diverse lingue, ma per questa raccolta poetica ha scelto l’italiano. Con questo voglio dire che le poesie riuscirebbero a bastarsi anche tradotte. Per ora questa sembra non essere la preoccupazione di N’Djoku che scrive assolutamente consapevole del valore spirituale e del mandato poetico: solo dentro una appartenenza di lunga durata può iscriversi l’amore, può svilupparsi il desiderio, concedersi la realtà dopo le immagini. E di certo non è cambiando la lingua, distruggendola che cambia il desiderio o si giustifica in modo diverso. Il mondo esterno è un riflesso del mondo intimo, il fatto è che dobbiamo sempre tener presente cosa chiediamo alla poesia. Le chiediamo un riformismo interno, una ibridazione con le letterature e le arti, una reazione al tempo liberandosi dalle mitologie, una critica sociale e antropologica, una resistenza ai media e all’appiattimento culturale.
È evidente che gli argomenti della poesia del Duemila non sono quelli della poesia del Novecento. La poesia del Duemila sente nel cuore il continuo legame al secolo precedente eppure dovrebbe incidere sempre meno nella vita degli artisti del Duemila, così come per una ovvia fisiologia. Cosa succede se tutto d’un tratto smettiamo di sentire il Novecento? Il futuro ci troverebbe meno pronti o più pronti? Nessuna sintesi de novo in poesia può essere tanto forte se non si radica all’abbandono della voce, ed è luminoso per gli autori del primo Duemila permanere nella memoria del Novecento. Con questo intendo anche dire che soprattutto i giovani autori contemporanei nelle loro prove poetiche sottolineano l’introduzione al secolo prevedendone probabilmente i riconoscimenti futuri e le derive. Il nostro sentire quindi non sta semplicemente nel depennare continui passi nella scalata alla carriera, nel punto massimo del successo. Anzi il nostro sentire sta nel dirci cosa ha bisogno il futuro, quali parole nutrono i pericoli, quali invece uccidono le anime. Cosa succede se i poeti cominciano a vivere nell’isolamento? E se gli intellettuali non assecondano più gli slanci alla difesa dei diritti umani? Ci troveremmo in una situazione di pericolo in cui probabilmente ogni secolo si è trovato con diverse coincidenze e diverse paure. Il fatto che la poesia regge una ontologia che non si può evitare per proteggersi, «L’eternità è il nostro nominarsi nei secoli/ come una carezza/ una promessa» è il senso del perché siamo ancora scrivendo in versi.

Questa è l’età che non esiste
l’interminabile calcolo
quando a raccontare ai bimbi 
saranno le ginocchia. 
E nel silenzio sarà l’ora che ci è data e il risalire
questa stessa strada.

Proprio così la poesia di Stella N’Djoku è una riflessione sul tempo, e se è vero che il nostro con il passato è un debito è anche e sopratutto vero che i nostri con il passato sono un incontro e una scoperta volti a sentire meglio, sentire di più. La consapevolezza storica ci rende più forti ma tollerare il tempo ci rende più vivi. La poesia può disinnescare il disagio a priori, cristallizza i pensieri per una dignità contagiosa o probabilmente resta la rappresentazione finale di un oggetto mentale o una sensazione.

Ci sveglieremo
senza più sole o carezze da farci
saremo il pulviscolo che ricuce l’universo.

Il fatto è che resta una distanza continua da percorrere tra le avventure nei secoli e l’imbrunire del passato: soffrire, piangere, sentirci come se fossimo ognuno dei libri sacri. In questo senso nella condizione «post-moderna» il verso può liberarci dal nichilismo, soprattutto in una interpretazione del mondo morale e da una prospettiva credente. L’occidente resiste alle crisi di civiltà, proprio dove lo spirito rende vivi così come la poesia.

Quando racconto del nostro incontro
congiunzioni – dicono – in date che leggi al contrario e un 8
e uno ancora reclinato infinito.
È legge eterna delle stelle
rapimenti compiuti a metà
il tempo di una cometa
L’intensità – io e tu – della luce.

 

Stella N’Djoku (Locarno, 1993) è laureata in Filosofia con una tesi su Shakespeare (“What’s a man? Shakespeare filosofo tra Stanley Cavell e Harold Bloom”). Laureanda in storia delle religioni lavora come giornalista e insegnante. Nel 2015 e nel 2016 vince il Premio Speciale del Credit Suisse for Excellent Writing. Dal 2016 cura la direzione artistica di alcuni eventi culturali nella sua città. Alcune sue poesie sono pubblicate sulle riviste letterarie Graphie, Atelier, Webradiogiardino, Carteggi letterari, YAWP, Il visionario blog di poesia, poesiadelnostrotempo, Abitare la parola – poeti nati negli anni 90. Alcuni suoi testi sono stati tradotti per il centro culturale Tina Modotti, collabora con RSI (radiotelevisione svizzera di lingua italiana), Extrasette- Corriere del Ticino.

 

Una replica a “Stella N’Djoku, Il tempo di una cometa (rec. di Sabatina Napolitano)”


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