È più di un anno che questo libro occhieggia dal comodino nelle pause delle mie letture frammentate, stanando città per città, quasi fosse una guida per viaggiatori consapevoli più che un saggio. Quindi, innanzitutto mi devo scusare con C. Armati (e ringraziarlo), l’editore che me lo aveva gentilmente inviato confidando in un mio interesse e una mia lettura. Eccomi qui solo adesso, ma avevo bisogno di tastare con mano quanto descritto in questo breve ma denso saggio e cercare di ricostruire tra memorie di viaggio, studio e letteratura il percorso storico, antropologico, urbanistico e geografico che viene direttamente o indirettamente attraversato in questo testo. Torno adesso da New York, ho passeggiato per Chelsea e il Lower East Side sono stato a Brooklyn e ho attraversato Gowanus, Williamsburgh e ho visto. Ecco quindi che, “presa Manhattan”, mi decido a scriverne partendo proprio da qui perché First we take Manhattan – la destrucciòn creativa de las ciudades è il titolo in lingua originale del libro con un palese omaggio alla poetica Coheniana, ma finezza probabilmente incomprensibile ai più e quindi ci/mi tocca accontentarsi dell’efficace quanto fredda traduzione “Città in vendita”.
Attraversamento, quindi, perché di questo si tratta. Il saggio non è una fredda denuncia statistica di quanta parte di mondo sta devastando la “gentrificazione”, ma è un vero proprio viaggio che inizia in un taxi con Bob Dylan attraverso le sue Desolation row e attraversa Manhattan, Barcellona, Saragozza, Parigi, Londra, Madrid, per arrivare a Berlino (then we take Berlin…) e mostrarci come la politica della “lotta al degrado” sia stata in realtà sempre l’alibi per smantellare sistemi e reti sociali che erano parte integrante di un territorio per puntare così al profitto e trasformare quartieri un tempo popolari in luoghi di passaggio per lo shopping o la vita notturna o creativa (penso a Chelsea che ora ospita gallerie d’arte e locali alternativi). Fin qui tutto (purtroppo) normale, ma questo libro va più a fondo, e attraverso una ricerca puntuale e multidisciplinare ci svela con un non troppo velato disincanto come sia successo tutto ciò e come sia possibile che in un quartiere un tempo malfamato, popolare come la Malasaña, oggi tu possa trovare una pasticceria per cani. Qui non si tratta più di ragionare su un tessuto urbanistico storicizzato e antropizzato e sul suo diritto a esistere (un nostro esempio locale è il quartiere attorno a San Pietro abbattuto da Mussolini per aprire la retorica prospettiva di via della Conciliazione), ma è la presa d’atto di come il tessuto urbano di ogni città sia elemento funzionale esclusivamente al profitto economico e come il principio dell’abitare non si concili più con un’idea di rete locale e di relazioni.
…Il centro non rappresenta una mera transizione verso la periferia, ma una pratica culturale di opposizione a ciò che questa rappresenta…
Il testo non è solo per addetti a lavori; non mancano citazioni importanti dirette e indirette e un amante della letteratura non farà fatica a ritrovarsi nella Gowanus “Fortezza della solitudine” di J. Lethem o nella Belleville di Pennac. Il testo è un’importante memoria su quello che erano certi quartieri che noi, inconsapevoli turisti, oggi attraversiamo compiaciuti e stupiti “di tanta vita, creatività…”. Ma in pochi sanno oramai che Manuela Malasaña, colei da cui il quartiere di Madrid ha preso il nome, era un’eroina nella resistenza all’invasione napoleonica, così come è difficile immaginare che, paradossalmente, all’origine di una possibile gentrificazione possa esserci un graffito (sia esso per esempio di Banksy).
Tutto è descritto chiaramente in questo libro, dalla distruzione del Marais al muro di Berlino, dalle pasticcerie per cani a una riflessione sull’idea contemporanea di “gusto”. È un libro utile per chi vuole capire cosa è veramente la gentrificazione e cosa ha significato per quelle parti di città che non fanno storia e quindi sono costrette a mutare, ad adeguarsi ai tempi e con loro, di conseguenza, chi le ha vissute.
Lo consiglio quindi al viaggiatore che sniffa sempre un velo d’ipocrisia nei quartierini rinnovati delle grandi città, ma anche al turista che identifica la vivibilità e visibilità di una città nella sua “movida” (penso a San Frediano, per esempio).
Nel Marais come a SoHo, a Belleville, come a Malasaña, la commercializzazione di questi quartieri rende la vita delle classi popolari, degli anziani, degli immigrati sempre più difficile. Al termine della volata, nemmeno i pionieri possono vivere nei quartieri che hanno contribuito ad addomesticare. I loro avamposti sono serviti per abbattere qualsiasi resistenza alla commercializzazione del centro storico: turisti, yuppie e cuccioli di razza regnano adesso sulle sue strade. Questo paradiso è stato costruito per loro.
© Iacopo Ninni