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Bustine di zucchero #1: Eugenio Montale

In una poesia – in ogni poesia – si scopre sempre un verso capace di imprimersi nella mente del lettore con particolare singolarità e immediatezza. Pur amando una poesia nella sua totalità, il lettore troverà un verso cui si legherà la sua coscienza e che lo accompagnerà nella memoria; il verso sarà soggettivato e anche quando la percezione della poesia cambierà nel tempo, la memoria del verso ne resterà quasi immutata (o almeno si spera). Pertanto nel nostro contenitore mentale conserviamo tanti versi, estrapolati da poesie lette in precedenza, riportati, con un meccanismo proustiano, alla superficie attraverso un gesto, un profumo, un sapore, contribuendo in tal senso a far emergere il momento epifanico per eccellenza.
Perché ispirarsi alle bustine di zucchero? Nei bar è ormai abitudine zuccherare un caffè con le bustine monodose che riportano spesso una citazione. Per un puro atto spontaneo, non si va a pescare la bustina con la citazione che faccia al proprio caso, è innaturale; si preferisce allora fare affidamento all’azzardo per scoprire la ‘frase del giorno’ a noi riservata. Alla stessa maniera, quando alcuni versi risalgono in un balenio alla nostra coscienza, non li prendiamo preventivamente dal cassettino della memoria. Sono loro a riaffiorare, da un punto remoto, nella loro imprevista e spontanea vividezza. (D.Z.)

bustina Montale

Credo che una delle letture più profonde di questi versi sia stata data da Italo Calvino in un suo articolo, poi confluito nel libro Perché leggere i classici. Poiché la natura non ci ha dato un occhio sulla nuca – osserva Calvino – per vedere la simmetria del mondo alle nostre spalle, dobbiamo voltarci per scrutarlo. Siamo davvero sicuri di cosa vedremo dietro le spalle? Riusciremo a cogliere la sostanza del mondo o sarà un’illusione? Montale si volta in uno scatto e vede il «miracolo»: il nulla, il vuoto che il poeta, camminando «tra gli uomini che non si voltano», mantiene come un segreto perché è riuscito a vedere qualcosa, una «zona d’inconoscibilità». Per chiarire il gesto, Calvino si richiama a Borges, per la precisione al racconto Fauna degli Stati Uniti, presente nel libro Manuale di zoologia fantastica (in seguito diventerà Il libro degli esseri immaginari). C’è una creatura mitologica che vive negli accampamenti dei boscaioli del Wisconsin, chiamata hide-behind, un animale che divora i taglialegna e sta sempre dietro qualcosa, per cui gli uomini se lo ritrovano alle spalle. Per quanto uno si volti, non si riesce mai a scoprirlo perché l’hide-behind è più rapido a spostarsi e a stargli sempre dietro. Pertanto nessuno sa com’è fatto. Nella lettura di Calvino, Montale è stato così rapido da voltarsi e scoprire l’hide-behind, il nulla, il non-mondo che la conoscenza sensibile non riesce a percepire. Alla poesia è invece dato, attraverso un movimento di parole, di girarsi per sbirciare in un punto inconoscibile di un’altra realtà (o una non-realtà) e, pertanto, di cogliere non solo la verità di quanto ci sta intorno, ma anche di ciò che è alle nostre spalle.

Bibliografia in bustina
E. Montale, Ossi di seppia, Torino, Gobetti, 1925; ora in E. Montale, Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1984, p. 42.
I. Calvino, Eugenio Montale (Forse un mattino andando), apparso sul Corriere della sera, 12 ottobre 1976, di seguito inserito in AA.VV., Letture montaliane in occasione dell’80° compleanno del Poeta, Bozzi, Genova, 1977; l’articolo confluirà poi in I. Calvino, Perché leggere i classici, (a cura di E. Calvino), Milano, Mondadori, 1995, pp. 229-239.
J.L. Borges, Manuale di zoologia fantastica, Torino, Einaudi, 1962 (1979), p. 72.

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