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Debuttare col primo romanzo grazie a un festival: Giorgia Tribuiani e “L’anno che verrà” – di Valentina Durante

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Chi scrive lo sa: non è tanto (non è solo) il tempo passato con la mano e la testa sulla pagina. E non è neppure lo straniamento, quel continuo dirigersi dell’attenzione – nelle pieghe e nelle minuzie della vita quotidiana – verso tutto ciò che può essere raccontato o buono per una qualche immaginazione. Non sono le ore sottratte al sonno o l’attenzione distolta dagli affetti e non è neppure tutto ciò che, a monte e a valle di questo, si guadagna: un modo diverso di guardare le cose, un sentire come di sensi costantemente allertati. No: la fatica maggiore, nello scrivere, è l’incontro con il lettore: perché senza lettore nessun testo esiste, senza gli occhi sulla pagina (sul monitor) le parole sulla pagina e sul monitor perdono motivo d’essere. Farsi leggere. Farsi pubblicare. Far transitare il testo dall’intenzione del dire al detto, finalmente scritto e detto.
Ecco perché i festival che mettono in contatto aspiranti scrittori e professionisti dell’editoria sono così preziosi: specie in un mondo che ha fama (spesso giustificata) di essere turrito e assediato da molti, troppi pretendenti (quanti cassetti italiani nascondono un manoscritto?).
Giorgia Tribuiani, che ha esordito lo scorso giugno con un romanzo breve – Guasti – edito da Voland, ha iniziato il suo percorso ufficiale da scrittrice proprio grazie a un festival letterario: “L’anno che verrà: i libri che leggeremo” che, nella sua seconda edizione, si terrà a Pistoia dal 26 al 28 ottobre. Il festival è organizzato in collaborazione con la rivista “The FLR – The Florentine Literary Review” e mette a disposizione degli aspiranti autori un cosiddetto elevator pitch: 15 minuti di tempo per raccontare il proprio progetto di pubblicazione a un editore o a un agente letterario. In questa seconda edizione saranno coinvolti gli editori E/O, Exòrma, Minimum Fax, NNE, Tunué e gli agenti letterari Luca Briasco, Monica Malatesta e Carmen Prestia: incontreranno tre autori ciascuno, domenica 28 ottobre, alla Biblioteca San Giorgio di Pistoia che ospita il festival (qui tutte le informazioni per candidare il proprio progetto).

Ci racconti, Giorgia, com’è stato il tuo incontro con Voland? Perché, al momento di presentare la tua candidatura al festival di Pistoia, hai scelto fra tutti proprio questo editore?

Quando ho trovato Voland tra gli editori presenti al festival non ho avuto un solo attimo di esitazione. Il motivo è nel catalogo. Un errore in cui si cade spesso, quando si vuole presentare il proprio testo a un editore, è quello di fare degli invii randomici, senza considerare la linea editoriale dell’interlocutore a cui ci si propone. Quando mi sono proposta a Voland conoscevo i punti di contatto tra le mie storie e quelle della collana “Le Amazzoni”, così come mi era nota l’attenzione di Daniela Di Sora nei confronti della lingua. Il bando del festival chiedeva – proprio per evitare l’invio casuale – di inviare anche una lettera di presentazione che motivasse la scelta dell’editore ed evidenziasse i punti di contatto tra il romanzo proposto e uno o più libri del catalogo, e così mi sono trovata di fronte a un’ottima occasione per evidenziare le affinità.
L’incontro è stato di conseguenza molto bello. Difficilmente un autore ha occasione di parlare con un editore del proprio progetto di scrittura, e con “progetto” non alludo solo al singolo romanzo, ma anche al percorso fatto, ai modelli di riferimento e alle idee per i romanzi futuri. I quindici minuti dell’incontro individuale sono stati davvero importanti. Venti giorni dopo avevo tra le email una bozza di contratto e prenotavo i treni per Roma.

Guasti, a soli tre mesi dall’esordio, ha ricevuto grande attenzione da parte di critica e lettori, ma specialmente molto, molto affetto. Ci sono state recensioni, commenti, impressioni, analisi, storie a partire dalla storia, persino lettere alla tua protagonista Giada. Kafka diceva che un libro deve essere “come un’ascia per il mare di ghiaccio che è dentro di noi”. Che tipo di ascia è, Guasti? Per quale mare, per quale ghiaccio?

Mi piace molto che tu abbia usato questa metafora, perché il “guasto” – che diventa la condizione esistenziale di chi, per un motivo o per un altro, non riesce a uscire da una situazione, a evolvere, a lasciarsi alle spalle il passato per compiere il passo successivo – nel mio romanzo è molto vicino al ghiaccio di cui parli: Giada è immobile; sopraffatta dal senso di inadeguatezza ha creato un mondo apparentemente impenetrabile fatto di alibi e di storie che lei stessa si racconta, eppure lo specchio con cui entra in contatto (il compagno plastinato) le permette di realizzare giorno dopo giorno che, se anche lei è guasta come lui, immobile come lui, bloccata in un presente immutabile come lui, a differenza di lui è ancora viva. Nel momento in cui se ne rende conto è questo che racconta al lettore, facendosi lei stessa specchio (e ascia): talvolta, poiché rischiamo di perdere solo nel momento in cui decidiamo di prendere parte al gioco della vita, siamo noi a metterci in ombra; ma possiamo trovare la forza di compiere un passo verso la luce.

Jean-Paul Sartre scriveva tre ore al mattino e tre ore alla sera. George Sand di notte. Alice Munro durante i sonnellini dei figli. Toni Morrison solo dopo aver visto sorgere il sole. E tu? qual è la tua routine di scrittura?

Scrivo soprattutto il sabato e la domenica, utilizzando l’intera giornata, e a volte lavoro ai testi anche dopo l’orario di ufficio. È una routine “obbligata” dai ritmi quotidiani.
Come tanti altri autori ho però anch’io le mie costanti: devo essere sola nella stanza in cui scrivo, avere una porta da poter chiudere e una bottiglia di coca cola accanto, per tenermi sveglia; per ogni romanzo, per ogni storia, ho poi una canzone che fa da “colonna sonora” e che ascolto prima di scrivere: mi aiuta a concentrarmi; la musica ha questo potere di condurre la mente in un determinato luogo, di restituire uno stato mentale preciso. Quando si lavora a un romanzo, credo sia così per molti autori, ci sono giorni in cui ci si sente particolarmente ispirati e giorni in cui bisogna sedersi davanti al computer e dirsi “ora tu non ti alzi da qui prima di aver scritto almeno una pagina, mezza pagina, dodici righe”: in quei giorni avere dei piccoli appigli come quello della musica è per me molto importante.

Quali consigli ti senti di dare – oltre alla partecipazione al Festival di Pistoia – a quanti stanno cercando una via per la pubblicazione?

Il primo consiglio, che vale un po’ per tutte le cose, è quello di conoscere il mondo nel quale ci si vuole inserire. Studiare le linee editoriali e i cataloghi delle case editrici, come dicevamo, ma anche farsi un’idea delle persone che lavorano nel campo: io per esempio devo moltissimo all’avere conosciuto Giulio Mozzi, scrittore, direttore della Bottega di Narrazione e consulente editoriale; Giulio, che considero il mio maestro, è stato il primo a credere nel mio lavoro, e per contattarlo è stato sufficiente inviargli il mio primo romanzo seguendo le indicazioni presenti sul suo blog Vibrisse.
Le strade percorribili sono diverse e non credo ci sia quella giusta per tutti (come ci sono, quello sì, le vie in linea di massima sbagliate): c’è chi arriva alla pubblicazione tramite un agente, chi grazie a iniziative come quella di Pistoia, chi conosce il proprio editore frequentando una scuola di scrittura e chi, semplicemente, inviando un’email in redazione. L’importante, credo, è scegliere un percorso che sia in linea con il progetto di scrittura che si vuole coltivare.


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