Asciutta come legno: la poesia di Paolo Pistoletti
di Luca Benassi
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Paolo Pistoletti è un poeta umbro che vive a Umbertide dove svolge la professione di bibliotecario e cura una serie di incontri dedicati alla narrativa e alla poesia. La sua biografia finisce qui, non c’è altro, a parte qualche premio o segnalazione. Sorprende, allora, trovarsi fra le mani Legni, pubblicato per i tipi di Giuliano Ladolfi Editore nel 2015, che offre una poesia raffinata, sbocciata fra l’inquietudine dello spirito e una posata maturità umana e familiare, e che rivela un poeta vero, con voce sicura e una lingua pulita. Ha ragione Marco Beck quando parla, nella nota di prefazione, di un «dettato poetico mantenuto nel solco di un’essenzialità non tanto scabra (secondo l’ormai usurata formula montaliana), quanto sobria.» L’essenzialità sobria di Pistoletti, che spesso è adesione alla pacatezza quieta di un ‘sermo cotidianus’ (è sempre Beck a notarlo), è declinata sul doppio versante della natura fondante della riflessione – le relazioni, familiari, il rapporto con il padre e l’origine degli affetti, la paternità, la fede, la casa – e di una lingua ripulita ed esaltata verso una memorabilità che correttamente fa richiamare al prefatore la Scrittura, e che rimanda agli studi teologici e alle riflessioni sugli sviluppi delle correnti spirituali contemporanee di questo poeta. Si veda uno degli oggetti simbolo di questa poesia, il legno che dà il titolo alla raccolta. Il materiale vegetale si ritrova in diversi testi, ma chiarisce il suo ruolo allegorico nella poesia Legno di casa:
Conoscere il legno di casa
gli spacchi le età i cerchi
la traccia della resina.
Chiedersi come mai si muove
senza avere vita,
se la linfa veramente manca
dentro tutta questa povertà
che ti guarda
che ti fa ombra
quando il fuoco avvampa
sulle mura o sul tetto
al fumo della cappa
alla fuliggine delle stelle.
Qui la povertà essenziale del legno, che dentro casa si fa madia, sedia, tavolo, è il segno di un’esistenza vissuta nel sentimento del quotidiano. I gesti, le ripetizioni, l’ambiente domestico conservano quel grumo scintillante di vitalità, così come il legno mantiene la sua origine vegetale negli scricchiolii misteriosi delle assi al cambio delle stagioni. Questo oggetto-vita, o meglio questa relazione dell’oggetto con la sua origine di organismo vivente, è anche la misura di un’umanità che in una semplicità quasi francescana trova un arrivo di matura bellezza. L’essenza di questa poesia è un processo a levare, un maturare per sottrazione verso la semplicità icastica come di un mobilio scarno di legno di un casolare di campagna, che resiste al tempo, libero da fronzoli e decorative stupidità: «quanti pensieri sul tetto di fronte/ si lavano pronti per la pioggia,/ e quanti vanno via/ nelle grondaie dentro le vene/ nei prati e negli occhi di chi ho conosciuto./ E quanto/ tutto questo asciugarsi dei legni/ ci somiglia.»
Il legno è richiamato anche nella sua esistenza arborescente. L’albero, con quel suo svilupparsi in radici che affondano nella terra, tronco che trasporta la linfa e rami e foglie protesi verso il cielo, ci ricorda il transito delle generazioni nella vicenda umana. In effetti la poesia di Pistoletti mette sul palcoscenico tre generazioni nella relazione padre- figlio, che a sua volta diventa genitore. Appare emblematico il testo Bosco, che riassume la vicenda paterna della quale si ricorda la scoperta improvvisa di una patologia cardiaca. È di particola interesse, anche per la raffinatezza dei versi, la prima parte della poesia, dove il padre del poeta viene paragonato a un albero:
Come un bosco è cresciuto mio padre
giorno dopo giorno.
Le radici ora circolano
dove non sono mai stato
nella bocca nera della terra.
Il cuore di legno viene da lontano:
lui qui c’è arrivato prima della guerra.
Ma poi gli anni dai cerchi
dai rami son passati tutti
per la linea delle mani
e foglia dopo foglia
la linfa nelle vene
ha ripreso la via
della luce che non si vede.
Nei due testi sopra riportati è evidente la riflessione sul tempo, la quale attraversa, in maniera più o meno esplicita, tutta la raccolta. Il tempo trova un suo compimento nella relazione, nel rapporto genitore-figlio, nell’interazione casa-essere umano. È la ripetizione dei gesti, il raccogliersi la sera intorno al tavolo o alla televisione, l’invecchiare, lo scendere nella malattia, nella consapevolezza della fine, a dare sostanza al tempo. Ancora una volta il legno funge da grande similitudine per lo scorrere delle stagioni: l’aggiungersi degli anelli al tronco dell’albero al passare degli anni, l’incunearsi delle venature, il lento disseccarsi del legno. La vita incalza finché «il fuoco avvampa/ sulle mura o sul tetto/ al fumo della cappa/ alla fuliggine delle stelle.» È questa una prospettiva di compimento e purificazione non esente da un richiamo diretto alla Scrittura.
Come esordiente, Paolo Pistoletti si apre al pubblico con un libro smilzo ma maturo, di una maturità umana, spirituale quanto letteraria. Vi si rinviene il tentativo, per la gran parte riuscito, di una poesia alta, nel doppio significato del latino medievale ‘altus’, che indicava sia la profondità che l’elevazione, e che nel poeta umbro è ricerca di una pacata assolutezza del dettato e della riflessione, che trae spunto dalla vita di ogni giorno, dalle semplicità vitale del legno che fodera la casa o dalle strade percorse per accompagnare i figli a scuola. Il sermone quotidiano, che cita Beck nella prefazione, è rintracciabile soprattutto nelle similitudini che si richiamano alla nettezza dell’esperienza della vita comune (gli oggetti, le abitudini, i ricordi, le corsie di ospedale). È questa esperienza che si fa ‘alta’ come una piccola, continua parabola evangelica. Si leggano, ancora una volta, i testi dedicati alla figura paterna, della quale si percepisce l’incurvarsi sotto il peso dei giorni, o quello dedicato all’esperienza della malattia e dell’ospedale che dà il titolo all’intera raccolta.
Non mi ricordo più quante volte si muore,
quante stagioni di legni
ci pesano sulle mani
prima di rovesciarci il cuore.
All’ospedale di Carreggi c’è il bianco
delle mura che in mezzo ci passa
chi non ce la fa più a stare qua.
Quelli che invece tornano
nelle vene hanno sentito
tutto il risucchio che viene dagli aghi
dal tubo della flebo
fino alla luce del neon
dove a un certo punto
uno non è più niente
tutto lì nel mentre,
tanto che a sorpresa
non avendo più materia
si smette di tremare
senza cassa senza risonanza
la mancanza ricompone tutto
porta a zero la distanza.Da bambini si arriva ogni volta
al momento giusto
come una bolla al centro del lago,
la memoria poi torna dopo
quando un giorno d’estate
il sole spacca le pietre
e allora si esce.
In corsia si dice che in giro
moltiplicato per sempre sia l’eternità.
La similitudine è la figura retorica di gran lunga più usata e che regala al lettore chiuse fulminanti, nella quali l’intero testo è spesso risolto, come una minuscola favola di Esopo e una parabola dal sapore evangelico; la particella ‘come’ è, infatti, quella che apre gli squarci più inattesi e la poesia più efficace, piccole gemme dalla funzione gnomica nelle quali si mostra un umanità profonda declinata in vera poesia: «come la luce così vera che ci fissa»; «come la fiamma di questo castagno/ sul massello della panca»; «come lucernari nel buio della mansarda»; «come in una pagina/ quando con l’ultima riga non è finita»; «come l’ombra di una fiamma/ che passa svelta sul muro»; «si sta qui/ come chi vede la brace nell’aria»; «Poi ci si aggrappa./ Come se all’improvviso/ volessimo stare/ come se finalmente/ di colpo si fosse». Questa modalità di scrittura ricorda certe pagine di Umberto Fiori (soprattutto ai libri Esempi e Case) e Fabio Franzin, nei quali la modernità di un paesaggio urbano fatto di case, strade o capannoni industriali diventa l’occasione per scandagliare le difficoltà del noi, delle relazioni, delle utopie disadorne e disertate. Anche in Pistoletti, se pure in una misura diversa, a volte meno netta, si osserva la medesima, bruciante intenzione, piena di umana intensità:
Ma se non si è fermi davvero
come quando in un attimo
qualcosa ti fa sussultare
come acqua che sale
che cresce dentro il bollitore.
Come quando nel vano
dentro l’ascensore
– l’apnea in gola – hai appena acceso
il tasto per l’ultimo piano,
e allora senti che qui
anche se non sembra
è tutto una tromba delle scale immensa.
© Luca Benassi