di Matteo Meschiari
da Sequenza artica (tre piste in Appennino)
–
2. Licheni
Salendo da queste parti – come ogni volta che ci si allontana dalle pianure – si sostituisce la latitudine con l’altitudine: tagliando a una a una le linee di livello si avanza in verticale verso nord. Oltre il limite degli alberi cominciano le terre estreme, come una tundra, dove è possibile trovare residui vegetali dell’ultima glaciazione. Vicino a questa driade, ad esempio, c’è una pietra incrostata di licheni. Altri licheni uguali a questi, ventimila anni fa, crescevano sui massi. Attorno si allargava una marea incurvata di ghiacci pleistocenici, mentre quassù c’era solo pietra: uno spazio complesso di montagne, ghiacciai, morene, acque di scioglimento, detriti. E sui detriti i licheni, quelli di ogni ghiacciaio, di ogni montagna, di ogni paese a nord. Così diffusi e così al limite, si può pensare il loro giallo come una mappa che ridisegna se stessa a ogni nuova pulsazione glaciale. Ma il giallo dei licheni è anche un terreno dove l’inessenziale brucia, dove il pensiero è freddo come il ghiaccio.
–
3. Lettura di un ghiacciaio
Era qui
tra quei faggi
lo sento nelle gambe
quando la valle si incurva
quando un residuo di morena
si corruga
il suo azzurro scivola giù
nella mente
dalla pietra al cervello
segnandolo di sé
strisciando la sua grana
sopra il duro delle parole
il suo freddo
non è mai immaginario
è immaginabile
è radicato al terreno
concreto
per vederlo
seguo placche di arenaria
se piove
è un riflesso verticale
di milioni di volumi
è il fondo livellato
di un’era
se nevica
è novembre in Appennino
–
Graffiti a Naquane
Le placche di arenaria permiana
sembravano venute da fuori.
Lisce come metallo
più grandi di ogni oggetto
uscivano dal terreno glaciale
come dorsi di balene.
Potevano sembrare creta
sotto le dita dell’acqua
ma al tatto erano bronzo
scapole uscite dal monte.
Prive di ogni traccia
dense-vuote superficie-profondità
erano spazio per il segno
la scalfittura discorso.
Colpendole con pietre acute
si parlava con il tempo
cervi cani cacciatori case
branchi mute manipoli villaggi.
Colpo su colpo l’arenaria suonava
rispondeva a migrazioni diverse
quelle lente e orizzontali del ghiacciaio
quelle umane verticali e brevi.
–
da Bering
1.
Alcune piste scompaiono
prima si spezzano come ghiaccio
e galleggiano alla deriva
poi si confondono con il mare
e resta solo l’idea
l’acqua tiene distinte le terre
lo stesso popolo
vuole cose diverse
sente cose diverse
come palmo e dorso di una mano
ma nel ghiaccio c’è l’idea
quando nevica e fa silenzio
quando una bestia selvatica
fa vapore dalle narici
quando il bianco è spazio
e la pietra sentiero
–
Commiato
in memoriam Mario Baldini
Ti sei chiuso nelle ossa
sei andato.
Il terzo giorno ho rotolato la pietra
del tuo bacino
oltre il bagliore del legno
e sei andato.
Mentre il secchio della bara
si incagliava nell’argilla
non ho visto carne
ma arenaria tenera tendini
di ofiolite marne
spalmate contro le tibie dello gneiss
e il lento
premere della creta nelle arterie
del tuo dopo.
Prima della faida delle preghiere
eri già Appennino
bolo da sciogliere piano
terra dopo terra.
–
Saluto
Così poco
eppure abbastanza
nella tana del cranio
passano sinuose
sabbie e sinclinali
come idee
e salirò di nuovo
da lontano
crinali
calanchi
oltre il ferro
delle messi.
–
Matteo Meschiari (Modena 1968) è poeta e scrittore. Insegna antropologia e geografia all’Università di Palermo, studia il paesaggio in letteratura, la wilderness, il camminare, lo spazio percepito e vissuto in culture europee ed extraeuropee. Ha pubblicato le sue ricerche presso vari editori, tra cui Sellerio, Liguori e Quodlibet. Nel 1997 ha fondato lo Studio Italiano di Geopoetica. Dal 2000 lavora alla composizione e diffusione orale di un poema epico intitolato Terra (poi Terra Nova), che racconta la storia geologica e biologica del pianeta. Nel 2003 ha pubblicato per Gazebo Bláserk, un poema sulle migrazioni umane nel Paleolitico. Nel 2016 è uscito per Exorma Artico nero. Con Maurizio Corrado ha fondato la compagnia narrativa Campobase.