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Debora Vogrig, inediti da “Corrente multipla”

deb_oculus

 

Prima lezione di pronto-soccorso.
La pelle ci serve per non evaporare mi dice il medico
ma io non sto nella pelle penso nella lingua comune.
Credi di essere definitivo, invece stai sull’orlo.
Potresti evaporare, allora sei una diga, un argine,
poi scoppi di gioia, e se non ti trattieni ti disperdi,
non sai dove cercarti, sei disfatto: scorticato.
Senza proporzione lo smisurato annienta
ma sbaglia il limite e finisci in gabbia: tu.
Ora i pori aperti, l’aria salina, la brezza
sulle onde, il mare si alza e infuria trattenuto
dagli scogli, e l’orizzonte separa cielo e terra.
Tutto in risposta.
Pelle che scotta rifluirà
come acqua.

*

Lavorando alla famosa piramide di vetro e acciaio
sistemata a cinquemila metri di quota
alla base del ghiacciaio
estraneo, si sporge con sospetto –
è tanta la fisicità dell’esistenza.

*

L’odio per questo posto è stato dimenticato
il rito della ripetizione ruota allo stesso punto
un pomeriggio davanti allo schermo
un altro pomeriggio davanti allo schermo
gli atleti tanzaniani corrono sulle strade della Finlandia
la luce in diretta taglia le loro ombre a Helsinki
e noi due nella stanza contemporanei alla stessa luce
non importa se viviamo in un Texas senza deserto
tra la Base NATO e il prossimo Casinò dell’Est
sopraelevate curvano l’orizzonte
dei grandi raccordi autostradali
e la gente in paesi senza piazze
passa la domenica nei centri commerciali
o scruta attraverso le tende
saltar via le lepri in una fuga selvatica.
A volte il clima non è di questo luogo
un cielo belga, in certi giorni di temporali,
prende toni di cobalto e blu oltremarino
e a novembre il vento dall’Africa
ha depositato sabbia rossa dappertutto.

*

È stato facile capirlo: piazza pulita e si ricomincia.
La scena potrebbe essere la stessa, ricordi?
Lo schermo del vetro protesse i nostri volti.
Così ci fu concesso assistere alla fusione liquida del mondo.
Raffiche di pioggia improvvisa ci sbatterono contro
foglie e rami e il ciglio della strada a picco
prima tremolanti poi confusi e assorbiti in un solo
unico ininterrotto colare che lavò via cielo e terra
e a lungo continuò a gettarci in faccia
i toni splendidi di blu marrone e verde.
Sarebbe stato spettacolare. Ma le ruote affondavano
nel fango, i freni non rispondevano e la curva
dove la gomma slittò per un attimo nel vuoto
ci saltò in cuore. Cosa potevamo opporre?
Le cose si erano messe a questo punto.
Quella volta siamo rimasti. Quando scivoleremo
sbalzati fuori tra i fondali e i resti, ci sarà sempre
spazio, il sole aperto, ridefiniti fiori, erbe sorgenti,
qualche piccolo germoglio, brillante in una goccia.

*

Mentre trasciniamo valigie di notte
per le strade di Londra
una volpe balza sul muro di una casa.
Che cosa prenderà il sopravvento.
Occhi e muso puntati.
La città scricchiola,
tradisce tane.

*

In questo spiraglio attraversato dai venti
come non pensare ai pescatori e ai miracoli
tirano reti
tirano avanti nella storia
moltiplicano i pesci
leggono il destino sulle squame brillanti.
Sogni l’isola e la sua fonte di luce
irretito nel miraggio che sta dall’altra parte
del cofano dell’auto blu metallizzato.

*

Ulisse a Nausicaa
sei bella come una giovane palma
dice mentre avanza grondante
così salmastro così invischiato nel mare
ma è astuto davanti alla fanciulla
e verrà ripulito.

*

Narciso si è dissolto:
l’inquietudine dell’ombra
caduta nella sua stessa ombra.
Ora nell’urto vita-morte
ogni cosa pronuncia il suo nome.

*

Non sorse il sole
non girò la Terra
c’erano le mie mani.
Zolla d’erba,
leggere zampe veloci.
Lungo uno stelo
ali. Sottili. Erano
le mie mani, quelle.
Sporche di terra.
Toccai crisalidi,
piccole uova, toccai
fosse scavate
tra le dita dei morti.
Più in là feci un’impronta.
Fra me e ogni altra cosa
la Terra girò, il sole sorse.

*

Col vento gelido, spinte nel cielo
le cornacchie non mantengono la rotta
sparpagliate a raffica qua e là cra cra
alzo sempre gli occhi al loro andare
volo in linea retta ovest-est-ovest
spaesata al mistero di tanta puntualità
e alle mete di quelle lontananze.
Ma la prendono bene, adattano
l’ala al giro di corrente
cedono imprevedibili al disegno –
vivo in un mondo remoto
da dove faccio segnalazioni
a meno sette sotto zero.

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Debora Vogrig (1965) vive a Udine, dove insegna in un liceo scientifico.

Una replica a “Debora Vogrig, inediti da “Corrente multipla””


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