L’epifania dell’orrore. Novelle gotiche italiane, a cura di Giuseppe Ceddia, Stilo Editrice, 2015, € 14,00
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Signori, entrate, qui dentro c’è un mondo che non conosciamo, o che non conosciamo abbastanza. Un mondo di cui abbiamo sfiorato la superficie con gli occhi, qualche volta soltanto. Un mondo dove il buio, l’orrore, la fantasia, il mistero e il divertimento, sì pure quello, dominano sovrani. Un mondo che è fantastico, che è quello del fantastico. Un mondo in cui perdersi, in cui la letteratura ci fa compiere quel viaggio verso luoghi sconosciuti e immaginari, come quelli del fiabe, del magico e del perduto. Luoghi in cui si uccide e si ama, dove il sortilegio e la sventura sono compagni della misericordia, fratelli della paura e della miseria. Signori, benvenuti nel regno del gotico, accomodatevi in queste novelle scritte in tempi lontani ma non lontanissimi, novelle gotiche italiane, qui molto ben raccolte e presentate da Giuseppe Ceddia.
Ceddia è dottorando in Italianistica all’Università degli studi di Bari e, tra le molte altre cose, si occupa della ricerca degli elementi “gotici” dal Romanticismo in poi. Questione che mi incuriosisce molto, come tutte le faccende letterarie che sono lontane dalle mie letture abituali. Ceddia introduce le novelle, con un ricchissimo e coltissimo saggio, parliamo di dieci racconti e dieci autori «considerati erroneamente minori», invece molto importanti se si vuol leggere il gotico italiano, se si ha voglia di avvicinarsi a un modo diverso di raccontare, spiegando proprio il senso di quella parola che ho usato più sopra, la parola fantastico. Quella parola vista sotto nuova luce dopo la definizione che ne darà Tzvetan Todorov nel suo La letteratura fantastica. Per spiegarmi meglio cito proprio Ceddia: «E allora, cos’è il fantastico per lo studioso? È l’incertezza, il dubbio. In sostanza, quando il lettore si chiede cosa il narratore stia raccontando, prende vita il concetto di fantastico. Insomma, è l’esitazione la quintessenza del processo che definisce una narrazione ‘fantastica’». Quindi, non propriamente la narrazione di tipo non realistico. Questo è molto interessante, così come lo sono questi dieci racconti, prendiamo due incipit:
Da Margherita di Cesare Balbo (1829)
Ei non ha cosa di che io cerchi più correggere, come delle sciocche paure e superstizioni che quasi tutti mi vengono arrecando alla casa paterna. Delle quali, ogni volta che io volli chiedere ragione agl’ignoranti genitori, il più sovente trovai che non davano credenza essi medesimi a quelle befane, a quegli uomini, o lupi neri, a quegli spiriti, di che andavano spaventando i paurosi monelli. Ma dicono non potersi educare bambini, né far loro fare ciò che si vuole, o trattenerli da ciò che non si vuole senza queste paure.
Da L’ombra del Sire di Narbona di Emma Perodi (1893)
La terza festa di Natale la neve era cessata e il vento erasi calmato come per incanto. Nonostante, anche in quel giorno, dopo desinare nessuno uscì dal podere del Marcucci, perché gli uomini stessi rammentavano di aver provato grandissimo diletto a udir dalla bocca della Regina quelle novelle con cui ella aveva allietata la loro infanzia, e che avevano il vago presentimento di sentir raccontare per l’ultima volta. La vecchia massaia, dopo la morte del marito, col quale aveva diviso in pace gioie e dolori per quarant’anni, era ridotta uno spettro e aveva, come si suol dire, un piede nella fossa. I figli che non l’avevano lasciata mai, non s’erano accorti del suo deperimento, avendola sempre sott’occhio; ma lo avevano notato dacché Cecco era tornato a casa e non aveva fatto altro che domandare se la mamma era stata ammalata. Allora anch’essi avevano aperto gli occhi, e il timore di perderla presto s’era insinuato nell’animo di que’ figli affezionati.
Due autori, due scritture molto diverse, due modi di entrare nel racconto altrettanto diversi, tra la prima e la seconda novella ci sono quasi settant’anni di tempo, sono solo due esempi, avrei potuto scegliere altri incipit e sempre ci avrebbe colpito il passo autonomo di ciascuno di questi scrittori, che però hanno in comune quella capacità del fantastico, cioè di insinuare nel lettore quell’incertezza che altro non è che la spinta alla lettura, quel dubbio che ci fa scegliere le storie e proseguire, e portarle a termine e cercarle subito altre. Queste novelle che sono sorelle del romanzo “nero” anglosassone, presentano molti degli elementi del gotico così come lo conosciamo e che molti di noi amano (o hanno amato): il sacro, il rituale, l’ambiente familiare, gli spiriti, i castelli e i bambini, i cavalli e le case. Le case. Le case sono uno dei pilastri fondamentali, a mio avviso, della letteratura gotica, niente può scatenare il nero e il buio se non il luogo che nasce per essere l’opposto, nasce per necessità di calore e sicurezza.
Da Il diavolo di Giovanni Magherini Graziani (1886)
Era quasi buio, quando ritornammo sul prato. Mi voltai. La casa della Mora, grande e scura, presentava un aspetto tetro, sinistro.
Le dieci novelle sono state scritte nell’Ottocento, eccetto le ultime due della raccolta che sono dei primi anni del Novecento, e offrono una chiara visione su un campo della nostra letteratura non troppo conosciuto e letto, sono molto belle, si possono leggere una per volta, di sera in sera, meglio se accompagnati dalla una normalissima lampada, una candela risulterebbe eccessiva. Ceddia ha fatto un lavoro scrupoloso che consente al lettore la scoperta e che lo lascia con la curiosità di leggere ancora qualcosa.
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© Gianni Montieri su Twitter @giannimontieri
5 risposte a “L’epifania dell’orrore. Novelle gotiche italiane”
non ho ancora avuto modo di leggere il volume, perciò il mio non è un commento ma una domanda: chiedo al curatore se nell’analisi del gusto gotico, o del gusto dell’orroroso (affine), è stata presa in considerazione la produzione librettistica italiana che per certi versi ha anticipato movenze scapigliate, assolvendo a una funzione che spetta al narratore puro?
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Mi scuso per il ritardo nella risposta. La produzione librettistica italiana non è stata presa in considerazione in questo lavoro, in quanto mi son concentrato sul genere letterario della novella. Tuttavia non posso negare che grande parte della produzione a cui lei fa riferimento è largamente ascrivibile al gotico (mi viene da pensare al “Mefistofele” di A.Boito o allo stesso finale del “Rigoletto”); Se dovesse leggere in futuro la mia tesi di dottorato – nella quale ho affrontato le influenze gotiche non solo nella novella, bensì anche nel romanzo storico, ecc – potrà trovare interessanti spunti. Mi limito a consigliarle i seguenti testi:
Adriana Guarnieri Corazzol, Fantasmi, allucinazioni e seduttrici soprannaturali nell’opera italiana del secondo Ottocento, in Michela Vanon Alliata (a cura di), Desiderio e trasgressione nella letteratura fantastica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia 2002, p.24.
Esempi di opere del primo Ottocento italiano contenenti elementi gotici, a detta della Corazzol, sono La donna del lago di Tottola e Rossini; La straniera di Romani e Bellini; Imelda de’ Lambertazzi di Tottola e Donizetti; I Lombardi alla prima crociata di Solera e Verdi; Elena da Feltre di Cammarano e Mercadante; Marco Visconti di Petrella.
Si veda anche F.Nicolodi, Riflessi neogotici nel teatro musicale del Novecento, in Il Novecento musicale italiano tra neoclassicismo e neogoticismo, Atti del Convegno, a cura di D.Bryant, Olschki, Firenze 1988, pp.271-291
cordiali saluti
gc
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Ringrazio, prima di tutto, per la risposta argomentata, e non si scusi per il ritardo ché una buona risposta non deve pagare mai il prezzo della fretta.
Sono ottocentista per formazione accademica, e mi sono occupato (e ancora mi occupo) del romanzo storico non manzoniano; da questo capirà l’origine della mia domanda.
Pensavo proprio ai casi del Romani, prima, e del Boito, successivamente, mentre formulavo la domanda; come pure pensavo alla notevole influenza del genere (neo)gotico sul romanzo storico nella letteratura britannica prima e poi, per caduta, su quella italiana.
Se si guardano le non poche recensioni pubblicate nell’Antologia del Vieusseux, che prontamente testimoniarono successo e circolazione del genere, si noterà proprio questa sorta di transizione, per il versante italiano, dalla librettistica al romanzo o alla novella.
Conosco in parte i testi che mi cita per averli utilizzati mentre analizzavo alcuni aspetti “goticamente melodrammatici” in due narrazioni di Tommaseo (“Due baci”, novella breve e primo esperimento in prosa del letterato, e ovviamente “Fede e bellezza”).
Ancora grato per la riposta.
Fabio
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Siamo rimasti in pochi, noi ottocentisti…
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