
Romanzi e caleidoscopi
A dire il vero pochi caleidoscopi
Appena apre la porta del negozio gli si fa incontro una giovane commessa sorridente che lo saluta. Vincenzo le dà un’occhiata veloce, poi si sottrae a quella manifestazione di vitalità, e a braccia incrociate abbozza un: Buongiorno.
La posso aiutare?
Lui prova a fare no con la testa, ma al contempo le sorride. Così la ragazza lo incalza, briosa: Deve fare un regalo? È per sua moglie?
Vincenzo segue lo sguardo della ragazza che si è posato sul suo anulare. E allora d’istinto porta il pollice sulla fede e la ruota. Già, deve fare un regalo a sua moglie. Detesta il Natale, detesta queste ricorrenze in cui si deve cimentare in pensieri, oggetti. Per fortuna che per i bambini, parenti e amici ci pensi proprio sua moglie. Ma per lei… beh, per lei tocca farlo a lui.
Grazie, ma volevo solo dare un’occhiata.
D’accordo, se ha bisogno mi chiami pure.
Vincenzo fa sì con la testa e poi prende a vagare per il negozio. Non sa neppure perché sia entrato in profumeria, visto che per ogni ricorrenza finisce sempre con il comprare un beauty con sali da bagno, creme e altre diavolerie. E sua moglie tutte le volte, prima di scartare il regalo dice: Chissà che creme mi hai preso stavolta? – e poi gli schiocca un bacio sulla guancia.
A quel punto Vincenzo si fa forza e si gira verso la commessa che è lì a due passi, con le mani giunte in grembo. La ragazza, contenta di potergli essere utile, gli si avvicina a larghe falcate. Vincenzo la osserva stretta nel girocollo nero a coste, e un paio di pantaloni neri aderenti.
Devo fare un regalo a mia moglie, ma tutte le volte le compro sempre uno di questi (alza un beauty che ha davanti), ma ora vorrei qualcos’altro e non so cosa.
Capisco. Che ne dice di una trousse? Si trucca sua moglie, sì?
A quella domanda Vincenzo alza gli occhi al soffitto. La ragazza ride.
Non sa se sua moglie si trucca?
Sì, sì, si trucca, è che pensavo a che tipo di trucchi potrebbe avere bisogno.
Ma no, una trousse ne contiene vari, e sono tutti di marca. Guardi.
E gli mostra una sfilza di matite, pennelli, rossetti, ciprie. Vincenzo ha una leggera vertigine.
Non sta bene? (La ragazza si fa seria e stringe gli occhi a fessura.)
No, no, sto bene, è che non sono avvezzo, mi capisce.
Ah sì certo (la tipa sorride rincuorata), diciamo che non è un tipo creativo. Scommetto che lei è ingegnere.
E a quella battuta ride da sola. Vincenzo aggrotta la fronte e si tocca la punta del naso. Deve avere un fidanzato ingegnere, pensa. Dopodiché si guarda: i pantaloni a sigaretta, gli stivaletti. Imbarazzato schiocca la lingua, avvampa e ribatte: A dire il vero no, faccio lo scrittore, non so se basti per essere creativo, ma di certo non sono ingegnere.
E tira diritta la schiena, il petto in fuori. Un tocco vanesio che però lo precipita in un incubo peggiore. Infatti la ragazza spalanca occhi e bocca, muove la testa quel tanto che basta perché i lisci capelli sfrangiati dondolino sul giovane viso: Davvero? È uno scrittore?
Lui le fa un occhiolino e quella aggiunge: Ma è fantastico! Io ho appena scritto un romanzo e mi chiedevo come fare per pubblicarlo. Magari lei mi può aiutare.
Vincenzo si contrae, abbassa le spalle, incassa il mento, cerca di riportare il discorso sulla trousse ma è tardi. La ragazza gli sta raccontando la trama: inezie cui aggiunge sempre «è tutto vero, mi è capitato». Allora lui gira lo sguardo, spera che in quel negozio ci sia un responsabile che magari richiami all’ordine la commessa che prosegue a gesticolare e raccontare minuzie di questa fantasmagorica storia che avrebbe partorito con inconscia indole erotica all’autofiction.
Con un guizzo Vincenzo infila la mano nella tasca dei jeans e tira fuori il cellulare e finge di avere ricevuto una telefonata, così con uno «scusi» di circostanza riesce a defilarsi e con passi stretti e rapidi esce dalla profumeria. Accelera il passo e, guardandosi alle spalle con il terrore che la commessa lo stia seguendo, imbocca le scale della metropolitana per tornare a recuperare la macchina che ha parcheggiato appena fuori dal centro.
Mezzora dopo è incistato nella bolgia di auto che accompagna le strade cittadine al 22 di dicembre, quando tutti si riversano per negozi e centri commerciali alla ricerca dei regali. Vincenzo inserisce la prima con frequenza tachicardica, la testa rilasciata sulla mano e il gomito puntato contro il finestrino. Il semaforo che ha davanti cambia di continuo colore senza che lui riesca a superare l’incrocio. Quando infine pare che la scacchiera si disincastri lui azzarda una manovra e taglia la corsia per girare a sinistra, provocando un concerto in Fa. La mossa scaltra, tuttavia, non passa inosservata a un vigile che transita per di lì in bicicletta. Questi con un perentorio movimento del braccio intima a Vincenzo di accostare. Lui sbuffa, si dimena sul sedile, ciancica bestemmie.
Abbiamo fretta, eh? (Lo saluta con un abortito gesto militare.)
No, è che…
Mi dà la patente, grazie?
Vincenzo si tasta dappertutto finché non intercetta la tasca nella quale ha il portafogli. Quindi sfila il documento e lo passa attraverso il finestrino.
Ma questa è la carta d’identità.
Ah, scusi. È che da quando hanno fatto tutte ’ste tessere mi confondo. (E gli passa la patente.)
Dove va così di fretta, signor Vincenzo Salieri?
Ho un impegno – ma non finisce la frase che il vigile già gli parla di sopra.
Non mi dica che ha un appuntamento di lavoro alle (sbircia l’orologio) sei del pomeriggio. Su.
E invece sì, fra mezzora ho una presentazione in libreria e appunto sono già.
È uno scrittore? Presenta un suo libro? (Il tono del vigile è cambiato.)
Sì, sono uno scrittore, ma a dire il vero non presento un mio libro, bensì quello di un amico che.
Ma è il fato che lo vuole! Sa che io ho scritto un romanzo? (E intanto gli restituisce la patente.)
Ah bene.
Sì, ma non so come muovermi, insomma mi capisce non conosco l’ambiente. Magari lei potrebbe. No? È una storia bellissima, mi creda, non per vantarmi, ma davvero. È un romanzo denuncia, parlo di infiltrazioni mafiose, di soprusi, politici corrotti. Gliela racconto?
Vincenzo si sporge dal finestrino, guarda il traffico in delirio, la gente che passeggia stracolma di pacchi e dice: Ma adesso me la vuole raccontare?
Il vigile dà un’occhiata in giro, storce il labbro, poi conviene: In effetti, c’è parecchio casino, ma io sto smontando adesso, finisco il mio turno. Mi dica in quale libreria presenta e vengo, così dopo abbiamo occasione di parlare con calma. Che ne dice?
Eh, che ne dico? Che mi sembra un’idea eccezionale.
E così Vincenzo dà l’indirizzo di un’altra libreria, dalla parte opposta a quella in cui sta andando lui.
Un paio d’ore dopo, a presentazione finita, Vincenzo si intrattiene con l’autore, un amico di vecchia data, e gli propone di andare a mangiare un boccone assieme. Scelgono una trattoria di fianco alla libreria dove possono parlare di tutto purché non di libri – e ridono loro stessi di questa esigenza. Però, una volta al tavolo, il cameriere che serve si sofferma su una copia del romanzo appena presentato in bella vista, che i due hanno poggiato mentre si sfilavano cappelli e cappotti.
Siete scrittori?
Come? (Vincenzo finge di non avere sentito.)
Dico, siete scrittori? Spesso vengono qui a cena gli autori che presentano alla libreria qui accanto.
Ah, sì. (Cede Vincenzo con leggerezza.)
Vede, io ho quasi finito di scrivere un romanzo. È un noir bellissimo. Vorrei poter farlo leggere a qualcuno che ne capisce.
Lo scrittore amico di Vincenzo si apre in un sorriso, a mani aperte: E chi meglio di lui potrebbe?
Vincenzo scuote la testa e serra le labbra, tenta di fare desistere l’amico da un panegirico nei suoi confronti. Troppo tardi. Il cameriere si è esaltato. Per tutta la cena non farà che ripassare dal tavolo dei due e pezzo pezzo accennare alla trama del noir, alla figura del commissario maledetto e alcolizzato, al personaggio femminile bello e doppiogiochista. E avanti attraverso i più sfavillanti luoghi comuni che una vicenda a tinte fosche possa contenere.
A fine cena il cameriere chiede a Vincenzo di lasciargli una mail, di modo che possa inviargli la sera stessa il file della sua opera. E gli porge la penna e il blocchetto con cui prende le ordinazioni e chiosa: Scriva pure qui.
Ma mi ha fatto anche l’occhiolino! (Commenta Vincenzo fuori dall’osteria.)
Vorrà dire che insieme al file del romanzo ti manderà qualche sua foto. (E l’amico ride.)
Perché credi gli abbia dato la mia vera mail?
È ormai mezzanotte quando arriva sotto casa. È stanco, ha bevuto. Di colpo gli balena in testa di non avere ancora comprato il regalo a sua moglie. Bestemmia la commessa e la pletora di scrittori in pectore che ha incrociato. Ma subito dopo bestemmia il parcheggio sotto casa che non c’è.
Primo giro. Secondo giro. Terzo giro. Infine si incunea per alcune stradine laterali finché trova un pertugio fra un Suv e una citycar. Dopo qualche manovra faticosa parcheggia, quindi apre la portiera e esce. Chiuso nel cappotto con il bavero alzato, si incammina verso casa.
Nella piazza all’incrocio con la via di casa sua, sosta come da un po’ di sere a questa parte un trans, che Vincenzo ha notato passando da lì in macchina. È la prima volta che la vede a figura piena a pochi passi da lui. È immensa, ha le spalle da quattrocento farfalla, i polpacci da centometrista. Gli si avvicina. La carnagione scura, i capelli ricci voluminosi, il naso piccolissimo su un volto dalle mascelle prominenti.
Ciao, ammore, ’ndiamo? (E sculetta, eccessiva anche nel dondolare la borsetta.)
No, grazie. (E solleva le spalle e abbozza un sorriso.)
Il trans lo incalza, lo placca: Non ti piacio, ammore?
Vincenzo gira di scatto la testa a destra e a sinistra. Si morde un labbro e a occhi sgranati cerca una via di fuga.
Celò belo grosso, ammore, ci divertiamo.
Non ho dubbi, tuttavia al momento sono a corto di moneta.
Ammore, nonò capitu cusài dèto.
Dico, non ho soldi.
Spera così di scrollarsi di dosso quella montagna di muscoli con le fattezze di donna.
Tu no lavòri?
A Vincenzo torna in mente un vecchio sketch in bianco e nero di Walter Chiari, una barzelletta su un professore e una prostituta. Così si schiarisce la voce, portando piano un pugno verso le labbra, quindi ingoia l’aria fredda e umida e cerca le parole giuste, facili: Sì, lavoro, ma non faccio molti soldi, il mio è un lavoro povero.
Il trans lo guarda di sbieco, gli angoli della bocca all’ingiù, il tono affranto: Tu povero, che lavoro es così povero, ammore?
Faccio lo scrittore.
Vincenzo sputa quella frase a liberarsi di un grumo di frustrazione. E alza gli occhi verso il palazzo di fronte, dove intermittenti luci natalizie e addobbi floreali illuminano la ringhiera di un balcone.
Vero? Sei escritore? Tu escrivi storie?
Vincenzo annuisce e indietreggia.
O è belo, ammore. Sai una cosa? Anche io volio escrivere una storia bela, tu puoi aiutare me.
Lui sorride a denti stretti e muove il capo a fare «non credo». In quel momento un’auto si ferma vicino a loro. Il guidatore con il viso di un bulldog abbassa il finestrino e con due dita chiama a sé il trans: Quanto vuoi?
Vincenzo si sgancia e ne approfitta per svignarsela. Ma pochi istanti dopo, sente la macchina sgommare e allontanarsi. La mano da cestista Nba del trans lo afferra per la spalla.
Ammore, aspeta me. Alora, tu aiuti me a escrivere mia storia muy bela e muy saudade de me che parto du Brasil, che mi sento donna e vengo in Italia muy giovane. E bela storia, no?
Come no! Fantastica.
E io ti facio bel regalino.
E la mano da cestista scivola verso il cavallo dei pantaloni di Vincenzo, che la placca all’altezza della cintura: No grazie, guarda è un mondo complesso, sicuramente la tua storia è bellissima ma io ho smesso di scrivere.
No, ma escrivo io e tu me aiuti all’italiano.
Un’altra macchina, un altro cliente che distrae la Princesa con velleità narrative. Vincenzo stavolta riesce a alzare il passo e infilarsi nel portone di casa che si chiude alle spalle. Respira rumorosamente, sembra scampato a una rapina: i capelli attaccati alla fronte, il viso come se gli avessero passato una mano di calce, il bavero del cappotto alzato a metà. Imbocca le scale e sale verso casa.
Davanti alla porta cincischia un po’ con le chiavi. Le mani gli tremano. Quando finalmente apre, cercando di non fare rumore, si accorge che la luce della libreria e la tivù sono accese. Dal divano spunta la testa di sua moglie che non si gira: deve essersi addormentata, pensa. E ha ragione.
Si sfila le scarpe e il cappotto, però proprio mentre sta piegando e riponendo nell’armadio la sciarpa, sente bofonchiare: Vinci, sei tu? Mi ero addormentata.
Sì, lo so, ho fatto un po’ tardi, ma non trovavo parcheggio.
Nel frattempo dal corridoio sbuca una piccola ombra. È suo figlio, scalzo, con il pigiamino di una taglia più grande, che gli si avvicina: Papà, papà. (E sventola un foglio di carta.)
Ehi, che fai sveglio?
Papà, mi spedisci la letterina per Babbo Natale?
Vincenzo si abbassa alla sua altezza, poggia a terra un ginocchio, lo bacia sulla fronte e gli prende il foglio: Certo, piccolo mio, e cosa vuoi che ti porti Babbo Natale?
Un caleidoscopio.
Un caleidoscopio?
Sì. Lo voglio.
Vincenzo si rialza, gli accarezza la testa: Ora torna a letto, ché è tardi. Domani papà spedisce la letterina.
Il bambino a passi svelti torna verso il buio della zona notte. Intanto sua moglie si è tirata su dal divano e, deambulando come zombie di un B-movie, gli passa di fianco, lo sfiora con una mano. A occhi semichiusi gli sussurra: Vado a letto pure io. Ah, guarda che sul tavolo c’è un pacco, è arrivato nel pomeriggio. ’Notte.
Grazie amore. Buonanotte.
Vincenzo si avvicina alla scrivania del salotto, dove è in bella vista il pacco con una lettera spillata. Afferra il tagliacarte. Apre e prende il foglio. Sbircia dentro il bustone giallo: è un ammasso di fogli A4 impilati. Suda nonostante la finestrella basculante aperta. Allora spiega la lettera di accompagnamento e la legge.
«Caro Vincenzo, dopo una notte insonne ho deciso di rompere ogni resistenza e scriverti. Quello che trovi è il mio romanzo» e soppesa il pacco, «che ho scritto nel corso di questi anni, anzi decenni di esperienze di tutti i tipi, di incontri con famiglie e infanti, ma non è un romanzo per bambini. Assolutamente no, credimi, anzi. È un romanzo crudo e realista, talvolta anche turpe e squallido, come tanti dei personaggi che ho conosciuto nella vita.» Vincenzo, estrae la pila di fogli e scorge il titolo: Neve sporca. Si passa una mano in faccia, si stropiccia gli occhi e finisce di leggere quella lettera: «Ci tengo molto al tuo giudizio», e gonfia le guance d’aria «magari potrai darmi delle dritte», e alza le sopracciglia «o forse te ne innamorerai a tal punto che farai carte false per farmelo pubblicare» e Vincenzo ruota nell’aria una mano. «Commercialmente sai anche tu quanto potrebbe valere, segreti che tutto il mondo agogna di conoscere, pruderie per le quali pagherebbero oro», gli occhi gli si gonfiano di lacrime e disperazione.«Aspetto tue, intanto grazie per la pazienza.
Firmato Babbo Natale.»
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© Fernando Coratelli
