
Santo Nonno
Papà non lo vuole festeggiare il Natale.
Ha detto che c’è la crisi.
Ha detto che non c’è niente da festeggiare.
Ha detto che il Mondo sta cadendo a pezzi.
Ha detto “hai visto il terrorismo?”
“I bambini nei barconi”
“La moglie del vicino, un tumore al cervello, tre mesi e poi ciao.”
Ciao.
Di tutta questa storia non capisco “ciao”. La moglie del vicino nel caso ha detto “addio”. “Ciao” lo dici quando entri ed esci da un posto, quando incontri qualcuno per strada, quando poi lo rivedrai, allora dici “ciao”. La moglie del vicino semmai ha detto “addio” perché non è che poi la incontri nel pianerottolo. O fuori l’ascensore. Almeno spero. Non vorrei trovarmela alle spalle mentre cerco la chiave di casa in borsa. Il suo è un “addio”. Quando te ne vai e non vuoi saperne più niente. O non puoi. Come nel caso della moglie del vicino.
Papà ha detto che non capisce perché sto sempre a spaccare il capello in quattro e a puntualizzare ogni cosa che dice. “Ciao” era tanto per dire. Non capisce da chi possa aver preso. Anzi lo ha capito. Tu sei uguale a tua mamma. Sputata. Identica. Sempre a riprendere gli altri. Mai a pensare a te. Io l’albero lo faccio lo stesso. Fregati. Tanto non cambia nulla. I bambini nei barconi, il terrorismo e la strage del Bataclan.
“Non ho capito?”, ha detto il nonno. La strage di Bataclan, nonno. Mi ha guardata e ha sorriso, seduto sulla sua sedia-poltrona e ha continuato a guardare attraverso la finestra. Poi ha portato entrambe le mani sul manico del bastone che gli abbiamo regalato a Natale dello scorso anno e mi ha guardato di nuovo con un mezzo sorriso. Uno di quei sorrisi che se non avesse novant’anni io direi che ci sta prendendo tutti per culo. “Ah! Ho capito. Parigi. La strage di Baccalà”.
Lo sapevo che l’avrebbe fatto. Sapevo che avrebbe storpiato esattamente in questa maniera la parola Bataclan. Come avevo imparato che MacDonald era Marcantonio. Poi quel sorriso, subito dopo la storpiatura. Per dirti “Io sono vecchio, ma voi che state facendo?”. L’ho capito tardi, troppo tardi per potergli chiedere “Tu che faresti al posto mio, nonno?”. Ma l’albero lo faccio lo stesso. Mia madre è d’accordo con me. Forse è vero che siamo “sputate”. Ha sempre sostenuto che bisogna festeggiare in ogni caso il Natale. E i compleanni. Anche se non ti va proprio; a maggior ragione se non ti va. Dobbiamo essere felici per il solo fatto di esserci ancora, ripete spesso. Nella vita, a prescindere dalla vita stessa. “Dillo a quei poveracci che si ritrovano senza più niente. Senza un risparmio. Dillo al vicino”, è pronto a rispondere mio padre. Quest’anno è il vicino, l’anno scorso è il suo collega che ha perso il posto. Ma mia madre non ne vuole sapere. Perché ha preso da mio nonno, pensa che valga la pena essere felici per il solo fatto di esserci. O di esserci stati. Ma pure se cade tutto a pezzi? Sopra i pezzi, se necessario. Festeggiaci sopra. Oppure addobbaci l’albero, a’ nonno. Ma facci qualcosa con i pezzi. Non lasciarli morire da soli. “Siete una famiglia di pazzi, altro che pezzi”, ha detto mio padre. “Più pazzo io che vi sto ancora appresso. A voi, alle vostre stupidaggini. Il Natale, il compleanno, gli anni che passano.” Io l’albero lo faccio uguale. Non mi frega niente. Il nonno ha provato ad alzarsi e non c’è riuscito. Non vuole essere aiutato, ha detto che probabilmente è meglio se resta seduto. Sto sbrogliando le serie di luci di Natale. Ci vorrà una vita. Certo però, mi dispiace per il nostro vicino. Neanche il tempo di capire cosa stesse accadendo e la moglie non c’è più. Mi spaventa tutto questo. A me spaventa la morte. O meglio, a me spaventa pensare che dopo non c’è niente. E che ti frega, ha detto subito il nonno. Questo non ti deve interessare. Poi si è sollevato su un lato solo per tendere verso di me.
Tu non ti devi chiedere che cosa c’è dopo la morte. Tu ti devi chiedere un’altra cosa. Ho lasciato perdere le serie e mi sono avvicinata. Tu ti devi chiedere cosa c’è durante la vita. Poi di nuovo il suo mezzo sorriso, forse un occhiolino, ma non ci giurerei. Torna a rimettersi seduto bene sulla sedia-poltrona. Riprende a guardare fuori dalla finestra, l’interno del cortile, ogni volta come se stesse accadendo qualcosa di bello o di interessante. Ma non stava succedendo mai niente. Al massimo qualcuno che rientrava. Un cancello che sbatteva e la suspense nei suoi occhi in attesa della botta finale. Un gatto che saltava e lui che rideva.
Cosa c’è durante la vita.
Nonno, quando fate così mi sembrate Marzullo. Ha detto papà.
Il nonno si avvicina di nuovo a me “poi ti devi chiedere pure un’altra cosa”.
Che cosa, nonno?
Perché patet’ è accussi’ strunz’?
*
© Marianna Garofalo

2 risposte a “Questo Natale #2: Marianna Garofalo, Santo nonno”
Brava Marianna! Io attendo un libro! È sempre bello leggerti
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Bellissima! 😊😊😊😊😊
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