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Saul Bellow, a 100 anni dalla nascita

Saul Bellow, Foto di Marisa Rastellini, da qui
Saul Bellow, Foto di Marisa Rastellini, da qui

 

Saul Bellow, a 100 anni dalla nascita

10 giugno 2015, cento anni dalla nascita di Saul Bellow. Vogliamo ricordare questa ricorrenza con l’incipit di un romanzo al quale Bellow non si stancò di lavorare, ritornando a più riprese su singoli passaggi e interi capitoli, riscrivendo e limando: Herzog.  Nel 1965, cinquanta anni fa, il romanzo, divenuto immediatamente un best seller, fu insignito del National Book Award for Fiction. Sempre del 1965 è la traduzione in italiano di Letizia Ciotti Miller.

 

Se sono matto, per me va benissimo, pensò Moses Herzog. C’era della gente che pensava che fosse toccato, e per qualche tempo persino lui l’aveva dubitato. Ma adesso, benché continuasse a comportarsi in maniera un po’ stramba, si sentiva pieno di fiducia, allegro, lucido e forte. Gli pareva d’essere stregato, e scriveva lettere alla gente più impensata. Era talmente infatuato da quella corrispondenza, che dalla fine di giugno, dovunque andasse, si trascinava dietro una valigia piena di carte. Se l’era portata, quella valigia, da New York a Martha’s Vineyard. Ma da Martha’s Vineyard era riscappato indietro subito; due giorni dopo aveva preso l’aereo per Chicago, e da Chicago era filato in un paesino del Massachusetts occidentale. Lì, nascosto in mezzo alla campagna, scriveva a più non posso, freneticamente, ai giornali, agli uomini pubblici, ad amici e parenti e finì per scrivere pure ai morti, prima ai suoi morti e poi anche ai morti famosi.

Era estate alta nelle Berkshires. Herzog viveva da solo nella casa grande e antica. Lui che di solito era così schizzinoso per il cibo, ora mangiava pan carré in cellophan, fagioli in scatola e formaggini. Ogni tanto coglieva dei lamponi nel giardino invaso dalle erbacce, scostando gli spinosi arboscelli con distratta cautela; quanto a dormire, dormiva sul materasso, senza lenzuola – sull’abbandonato letto matrimoniale – o nell’amaca, coprendosi soltanto col cappotto.  Alte canne di yucca, alberelli d’acero e carrubi lo assediavano d’ogni parte, in giardino. Di notte, se apriva gli occhi, le stelle erano vicinissime, simili a corpi spirituali. Fuochi, certo; gas – minerali, calori, atomi – ma alle cinque del mattino, per un uomo che giace in un’amaca avvolto nel proprio cappotto, cose piene di eloquenza.

Quando un pensiero nuovo gli assaliva il cuore, correva in cucina, suo quartier generale, e ne prendeva nota. Dalle pareti l’intonaco si scrostava e ogni tanto Herzog, con la manica, era costretto a pulire dal tavolo le caccole dei topi, chiedendosi, tranquillamente, perché mai ai topi di campagna piacessero la cera e la paraffina. Perforavano la paraffina che ricopriva le conserve; rosicchiavano le candeline per la torta di compleanno, fino allo stoppino. Un ratto si era mangiucchiato un pan carré, lasciando dentro ogni fetta la forma del proprio corpo. Era anche capace di fare a mezzo coi topi.

E tuttavia un cantuccio della sua mente restava ancora aperto al mondo esterno. La mattina udiva i corvi. Quei loro gridi rauchi, lui li trovava deliziosi. Sull’imbrunire sentiva i tordi. Di notte c’era una civetta. Quando camminava per il giardino, innervosito da una lettera che gli ronzava per la mente, vedeva le rose attorcigliarsi intorno alla grondaia; o le more dei gelsi — e sul gelso ingozzarsi gli uccelli. Le giornate erano calde, le sere rosse e polverose. Guardava ogni cosa con ingordigia, eppure gli pareva d’essere mezzo cieco.

Il suo amico, anzi il suo ex amico Valentino, e sua moglie, la sua ex moglie Madeleine, avevano messo in giro la voce che avesse smarrito la ragione. Che fosse vero?
Nel fare un giro intorno alla casa deserta, vide il proprio viso riflesso nel vetro grigio e velato di ragnatele di una finestra. Aveva un’aria stranamente riposata. Un raggio gli partiva dal centro della fronte, percorreva il naso diritto e scendeva sulle labbra carnose, mute.

(Saul Bellow, Herzog. Traduzione di Letizia Ciotti Miller, Feltrinelli, Milano 1965)

 

Ecco il testo nella versione originale:

 

If I am out of my mind, it’s all right with me, thought Moses Herzog.

Some people thought he was cracked and for a time he himself had doubted that he was all there. But now, though he still behaved oddly, he felt confident, cheerful, clairvoyant, and strong. He had fallen under a spell and was writing letters to everyone under the sun. He was so stirred by these letters that from the end of June he moved from place to place with a valise full of papers. He had carried this valise from New York to Martha’s Vineyard, but returned from the Vineyard immediately; two days later he flew to Chicago, and from Chicago he went to a village: in western Massachusetts. Hidden in the country, he wrote endlessly, fanatically, to the newspapers, to people in public life, to friends and relatives and at last to the dead, his own obscure dead, and finally the famous dead.

It was the peak of summer in the Berkshires. Herzog was alone in the big old house. Normally particular about food, he now ate Silvercup bread from the paper package, beans from the can, and American cheese. Now and then he picked raspberries in the overgrown garden, lifting up the thorny canes with absent-minded caution. As for sleep, he slept on a mattress without sheets-it was his abandoned marriage bed-or in the hammock, covered by his coat. Tall bearded grass and locust and maple seedlings surrounded him in the yard. When he opened his eyes in the night, the stars were near like spiritual bodies. Fires, of course; gases-minerals, heat, atoms, but eloquent at five in the morning to a man lying in a hammock, wrapped in his overcoat.

When some new thought gripped his heart he went to the kitchen, his headquarters, to write it down. The white paint was scaling from the brick walls and Herzog sometimes wiped mouse droppings from the table with his sleeve, calmly wondering why field mice should have such a passion for wax and paraffin. They made holes in paraffin-sealed preserves; they gnawed birthday candles down to the wicks. A rat chewed into a package of bread, leaving the shape of its body in the layers of slices! Herzog ate the other half of the loaf spread with jam. He could share with rats too.

All the while, one corner of his mind remained open to the external world. He heard the crows in the morning. Their harsh call was delicious. He heard the thrushes at dusk. At night there was a barn owl. When he walked in the garden, excited by a mental letter, he saw roses winding about the rain spout; or mulberries-birds gorging in the mulberry tree. The days were hot, the evenings flushed and dusty. He looked keenly at everything but he felt half blind.

His friend, his former friend, Valentine, and his wife, his ex-wife Madeleine, had spread the rumor that his sanity had collapsed. Was it true?

He was taking a turn around the empty house and saw the shadow of his face in a gray, webby window. He looked weirdly tranquil. A radiant line went from mid-forehead over his straight nose and full, silent lips.

Saul Bellow, Herzog  (edizione del 1964)

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2 risposte a “Saul Bellow, a 100 anni dalla nascita”

  1. Già dall’inizio il romanzo rapisce… e anche il suo personaggio princiapel produce questo effetto…

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