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Tra le righe n. 15: Charles Baudelaire, Les Phares

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Tra le righe n. 15: Charles Baudelaire, Les Phares

la traduzione è nella sua essenza plurale etica dell’ascolto

Antoine Berman*

Al centro della quindicesima tappa della rubrica “Tra le righe” è la poesia Les Phares da Les Fleurs du Mal di Baudelaire, la sesta della prima sezione,  Spleen et Idéal.  Nelle undici quartine in rima alternata che compongono Les Phares, probabilmente scritta tra il 1855 e il 1856 e apparsa già nella prima edizione delle Fleurs, nel 1857, Baudelaire individua principalmente tra artisti figurativi – sette menzionati per i loro dipinti, Rubens, Leonardo da Vinci, Rembrandt, Michelangelo, Watteau, Goya, Delacroix e uno per le sue sculture, Puget, mentre il compositore tedesco Weber appare nella quartina dedicata a Delacroix – punti di riferimento, una lista di “fari” che non possono non illuminare, come è evidente nelle tre quartine conclusive, innumerevoli (“mille” ripetuto intenzionalmente) sentieri, labirinti, notti della poesia.  Massimo Colesanti, mio professore di letteratura francese alla “Sapienza” di Roma, mette in evidenza il quesito perenne che scaturisce in chi legge da scelte ed esclusioni operate qui dal poeta. Si tratta forse degli artisti che, ai suoi occhi, hanno meglio saputo rendere lo scarto tra Spleen e Idéal? Il testo è proposto qui nell’originale e in due traduzioni, rispettivamente di Luciana Frezza, che si impone, come lei stessa ebbe modo di dichiarare, di suggerire la “squadratura della melodia”, la carrure, e di Francesca Del Moro, che sceglie la via isometrica e decide di tradurre “il verso con il verso”. Nel preparare questo numero di “Tra le righe”, sono tornata a più riprese non solo sulla poesia di Baudelaire, ma anche sui testi che Luciana Frezza e Francesca Del Moro hanno scritto come vera e propria ‘introduzione al viaggio’ nei Fiori del male. Moto spontaneo è stato in me farle dialogare, partire dai presupposti rigorosi di questo gioco d’azzardo ed esercizio spirituale – quasi una pratica devozionale quotidiana – rappresentato dalla traduzione. Da blocchi di partenza di pari rigore prendono le mosse percorsi animati da ardore e ardimento – uso intenzionalmente,, per restituire loro il meritato splendore, due sostantivi straziati dall’uso e dalla manipolazione di cui nel tempo sono stati oggetto – che portano a esiti palesemente diversi e ugualmente degni di nota. C”è un misurarsi con respiro, ritmo e carrure, una accettazione della temerarietà del compito, che non può non avere ricadute sulla parola poetica creata – ma non può esserlo mai interamente – “in autonomia”. Se questo vale per ogni traduzione di un testo poetico, essa assume un significato di particolare densità e incidenza in ciascuna delle numerosissime traduzioni delle Fleurs du mal. Buona lettura! (Anna Maria Curci)

VI. Les Phares

Rubens, fleuve d’oubli, jardin de la paresse,
Oreiller de chair fraîche où l’on ne peut aimer,
Mais où la vie afflue et s’agite sans cesse,
Comme l’air dans le ciel et la mer dans la mer;

Léonard de Vinci, miroir profond et sombre,
Où des anges charmants, avec un doux souris
Tout chargé de mystère, apparaissent à l’ombre
Des glaciers et des pins qui ferment leur pays;

Rembrandt, triste hôpital tout rempli de murmures,
Et d’un grand crucifix décoré seulement,
Où la prière en pleurs s’exhale des ordures,
Et d’un rayon d’hiver traversé brusquement;

Michel-Ange, lieu vague où l’on voit des Hercules
Se mêler à des Christs, et se lever tout droits
Des fantômes puissants qui dans les crépuscules
Déchirent leur suaire en étirant leurs doigts;

Colères de boxeur, impudences de faune,
Toi qui sus ramasser la beauté des goujats,
Grand coeur gonflé d’orgueil, homme débile et jaune,
Puget, mélancolique empereur des forçats;

Watteau, ce carnaval où bien des coeurs illustres,
Comme des papillons, errent en flamboyant,
Décors frais et légers éclairés par des lustres
Qui versent la folie à ce bal tournoyant;

Goya, cauchemar plein de choses inconnues,
De foetus qu’on fait cuire au milieu des sabbats,
De vieilles au miroir et d’enfants toutes nues,
Pour tenter les démons ajustant bien leurs bas;

Delacroix, lac de sang hanté des mauvais anges,
Ombragé par un bois de sapins toujours vert,
Où, sous un ciel chagrin, des fanfares étranges
Passent, comme un soupir étouffé de Weber;

Ces malédictions, ces blasphèmes, ces plaintes,
Ces extases, ces cris, ces pleurs, ces Te Deum,
Sont un écho redit par mille labyrinthes;
C’est pour les coeurs mortels un divin opium!

C’est un cri répété par mille sentinelles,
Un ordre renvoyé par mille porte-voix;
C’est un phare allumé sur mille citadelles,
Un appel de chasseurs perdus dans les grands bois!

Car c’est vraiment, Seigneur, le meilleur témoignage
Que nous puissions donner de notre dignité
Que cet ardent sanglot qui roule d’âge en âge
Et vient mourir au bord de votre éternité!

VI. I Fari

Rubens, fiume d’oblio, giardino d’indolenza,
cuscino di carne florida su cui non si può amare,
ma in cui la vita affluisce e s’agita senza tregua
come l’aria nel cielo e il mare dentro il mare;

Leonardo da Vinci, specchio oscuro e profondo
dove angeli incantevoli, con un dolce sorriso
carico di mistero, appaiono all’ombra
dei ghiacciai e dei pini che fanno al luogo cornice;

Rembrandt, triste ospedale pieno di sussurri,
dove un gran crocefisso è l’unico ornamento
e la preghiera in lacrime sale dalle sozzure,
e che un raggio invernale traversa bruscamente;

Michelangelo, luogo vago dove si vedono Ercoli
mescolarsi con Cristi, e sollevarsi in piedi
fantasmi poderosi su sfondi di crepuscoli
che lacerano il sudario con dita protese;

furori da boxeur, impudenze da fauno,
tu che raccattasti la bellezza triviale,
gran cuore gonfio di orgoglio, uomo gialliccio e gracile,
Puget, malinconico imperatore dei forzati;

Watteau, carnevale in cui come farfalle
tanti cuori illustri vagano fiammeggiando,
scenari freschi e lievi sotto i lampadari
che versano follia su quei balli turbinanti;

Goya, incubo pieno di cose sconosciute,
di feti fatti cuocere nel mezzo d’un sabba
di vecchie che si specchiano e di bambine ignude
che per tentare i demoni s’aggiustano una calza;

Delacroix, lago di sangue gremito d’angeli malvagi
ombreggiato da un bosco di abeti sempre verdi,
in cui strane fanfare, sotto un cielo aggrondato,
passano, come un sospiro soffocato di Weber;

queste maledizioni, queste bestemmie e lamenti,
queste estasi, questi gridi, questi pianti, questi Te Deum,
sono un’eco propagata da mille labirinti,
per i cuori mortali è un oppio divino!

È un grido ripetuto da mille sentinelle,
un ordine trasmesso da mille portavoci;
è un faro acceso su mille cittadelle,
un richiamo di cacciatori sperduti nei boschi!

Perché è questa, o Dio, la testimonianza più vera
Che noi possiamo dare della nostra dignità,
questo ardente singhiozzo che rotola d’era in era
e viene a morire alla sponda della tua eternità!

(da: Charles Baudelaire, I fiori del male. Introduzione di Giovanni Macchia. Traduzione e note di Luciana Frezza. Testo frencese a fronte, Milano, Rizzoli, 1980, seconda edizione ottobre 1982, pp. 82-87)

VI. I Fari

Rubens, fiume d’oblio e giardino indolente,
letto di carne fresca dove non si può amare,
ma in cui la vita s’agita, fluisce eternamente,
come l’aria nel cielo ed il mare nel mare;

Leonardo da Vinci, specchio oscuro e profondo
dove angeli incantevoli dal sorriso cortese
e misteriosi appaiono in ombra sullo sfondo
dei ghiacciai e dei pini che chiudono il paese;

Rembrandt, pieno di murmuri, desolato ospedale
d’un gran crocefisso adorno solamente,
dove prece di pianto dall’immondizia sale,
da un bagliore d’inverno trafitta bruscamente;

Michelangelo, luogo incerto dove schiere
miste d’Ercoli e Cristi vedi, e ritti levati
i fantasmi potenti che sul far delle sere
protendono le dita dai sudari strappati;

Tu che di ogni cafone la bellezza raccogli,
e la rabbia dei pugili, l’impudenza dei satiri,
uomo debole e giallo,  cuore gonfio d’orgoglio,
o Puget malinconico, sovrano dei forzati;

Watteau, tu carnevale, dove i più rinomati
cuori come farfalle, delle fiamme in balia,
errano; lievi e fragili scenari illuminati
da luci che riversano sul ballo la follia;

Goya, incubo pieno di cose mai sentite,
e in mezzo ai sabba feti cotti nei calderoni
e vegliarde allo specchio, e bambine svestite
che aggiustano le calze per tentare i demòni;

Delacroix, lago infesto di diavoli e di sangue,
da una selva d’abeti sempreverdi ombreggiato,
dove fanfare strane, sotto un cielo che langue
vanno come un sospiro di Weber soffocato;

Queste maledizioni e lamenti di vinti
estasi, osanna, grida, pianti,Te Deum corali,
sono echi rimandati da mille labirinti,
sono l’oppio divino per i cuori mortali!

È un grido ripetuto da mille sentinelle,
l’ordine rinviato tra mille portavoce,
un faro illuminato su mille cittadelle,
dei cacciatori spersi nelle selve è la voce.

Veramente, Signore, è la testimonianza
di dignità migliore che ti possiamo offrire,
quest’ardente singhiozzo che nei secoli avanza
e viene  sulle sponde tue immortali a morire.

(da: Charles Baudelaire, I fiori del male. Traduzione metrica e cura di Francesca Del Moro, Le Càriti editore, Firenze 2010, pp. 27-28)

*Berman, linguista francese, traduttore dall’inglese, dallo spagnolo e dal tedesco, saggista e teorico della traduzione, è menzionato da Maria Luisa Vezzali a p. 8 del suo Editoriale al volume di “Materiali” (pubblicazione semestrale della Bottega dell’Elefante), pubblicato nel dicembre 2007 con il titolo La soglia sull’altro. I nuovi compiti del traduttore.

3 risposte a “Tra le righe n. 15: Charles Baudelaire, Les Phares”

  1. Baudelaire come un veggente è in grado di decifrare la realtà scoprendo al di sotto delle apparenze un tessuto unitario di significati, invisibile alle persone comuni.Allora il verso diventa fulmineo, spesso oscuro, non spiegabile con parole comuni.
    Dici bene Annamaria:
    C”è un misurarsi con respiro, ritmo e carrure, una accettazione della temerarietà del compito…”
    Complimenti alle autrici per le scelte traduttive effettuate.Grazie
    Maria

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  2. Cara Maria, la tua lettura di Baudelaire mi conforta e mi conferma quanto sia fecondo l’invito, ricordato da Francesca Del Moro nella bella nota alla sua traduzione metrica dei Fiori del male, formulato dai Baustelle nella loro canzone “Baudelaire”: “Datti al giardinaggio dei fiori del male”. Ho voluto affiancare con affetto e convinzione queste due ‘rese’ dei Fiori del male e ai Fiori del male: quella di Francesca Del Moro, che mi ha colpito per la bellezza e la precisione del suo accettare e rendere viva la ‘gabbia metrica’ dei versi originali e quella di Luciana Frezza, che fu grande traduttrice e poetessa. Associo quella traduzione, che mi è molto cara, ai miei studi universitari e a una ideale scuola di lettura che non mi stanco di frequentare.
    Con riconoscenza
    Anna Maria

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