
I MIEI
Potrei essere
il primo dei miei a morire.
Forse l’ultimo.
Non conoscendo
tutto quello
che vorrei
conosco i miei.
Uno per uno.
Per nome.
ELEMENTI STERILI
Sulla terra arsa
nasce un fiore tanto secco
da divenir polvere
al cospetto di una stretta flebile.
Terra nera
che puzza di bruciato
prova di continuo
a partorir verdi figli
ma quel che genera
sono solo aborti
morti
e così commoventi
nella loro
assenza di colore.
Come si può fare
a prevenire
il male in cui si cade
se v’è gusto
nell’accidia
e il vento
diviene arido
di pollini e profumi?
E’ un respirare ignobile
che tradisce l’ardimento
che ha
chi attende, curioso,
ciò che l’aria
a ogni alba
trasporta.
SQUARCI
(A Valerio)
Potevi dirmelo
una di quelle volte
in cui ci incontravamo per caso
o ancora prima,
quando ingenuamente
giudicavo ingenui
i tuoi occhi.
Sono portato
a credermi fantasma
che infesta le tue mura.
A immaginare come stai,
quel che fai,
se ancora ci sei.
Penso sarebbe bello vedersi
ma poi
inganno la memoria
e faccio finta di niente
nel passaggio a un nuovo giorno.
Tu mi appari alle volte,
poi ti perdo ancora
in un soffio
che vortica
in mezzo alla gente.
So dove ti trovi
ma sono incapace di raggiungerti.
ARIANNA
Portami via da qui.
Da questo luogo infame
in cui spesso mi ritrovo.
Vieni
accoppa il Minotauro.
Leccami la faccia
e lavala
dal sale che secca,
dal sudore che acceca,
dalle lacrime
che scavano le guance in burroni.
Salvami dal male
che mi paralizza, immobilizza e schernisce
incutendo terrore.
Bevi dal mio stomaco
e poi salva di me
solo i pezzi migliori.
Prendili,
seminali nella terra che più ami.
Siediti
e aspettami.
IN MARCIA
(a G.G. BELLI)
Eccolo il battito
che è giunto fino a qua
la marcia dei conigli
chissà quanto durerà.
E marciano
con loro
eserciti e nazioni
trionfanti sulla plebe
con lo scettro dei milioni.
Poi calano le braghe
si metton pecoroni
e cagano su mondo
degli onesti e dei coglioni.
FINE
(A Mario Monicelli)
Agita la tua bandiera
nel giorno della fine.
I guardiani della conoscenza
hanno già spalancato le porte.
L’umanità che viviamo
entra ridicola
nel paradosso più ovvio.
Pensare al progresso,
pensare in progresso.
La giostra è ferma
e i bambini ridono e urlano
come se stesse girando.
Diffidiamo dei vivi
che parlano di morte.
Diffidiamo della paura dei morti
a scapito di quella per i vivi.
Salutiamo tutto
senza affidarci al Signore
o volgendo il fianco
a quella speranza
da cui siamo sempre fuggiti.
Quella speranza
che non è lusso
concesso a chi deve lottare
per l’osso che ha tra i denti.
Dio mio perdonami
se non ho nessuna fede in te.
© Luca Piccolino
