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Tutte le persone
oggi avevano caldo
e scarpe aperte
dalla maglietta e dallo zaino
residui del giovedì.
Aria, un profumo
ch’è ricordo;
si parte da qui
che c’è la luce giusta.
Mah. Dipende da come
si alza il sole, mi hanno detto.
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Le parole lasciate davanti alle stufe
i nodi a scaldare
non finite che parole non avevano
amore.
Nelle macchine chiusi,
a respirare
avvolti nei cappotti.
Altezza dei cieli domenicali che ritornano
che spigoli sobbalzano,
le sedie con le giacche
le stufe accese
stanchezze intorpidite agli occhi
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la tua presenza, qui.
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(In fuga dai freddi)
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È così l’addio di ogni giorno
la piccola morte che si ripete
mattina e sera
mattina e poi, sera
scorrendo.
Il paesaggio che si ripete
piccoli respiri sulla terra
piccoli respiri senza percorrere
quella morte che si ripete.
Poi, quando si torna,
c’è ancora il cielo.
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*
Non è per piacere.
Non è per dolore.
Non è per spezzare
il corpo in due –
Ci interroghiamo sugli esiti,
come rondini stonate
all’arrivo dell’estate.
Ed è per sentire
fino a dove si può sentire
ed è per guardare -misurare,
quanto piccola e sottile-
la circonferenza che raccoglie
la differenza,
tra l’esserci o svanire.
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*
Il resto è passeggero: odori voci teste
il resto invece è soppesato, cenere sparsa,
mai
sazia mai mai mai
le voci gli odori le voci le teste
l’attesa
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. piovono
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Niente che valga il buio del presente*
che sia bisognoso davvero
il cuore bisognoso
da salvaguardare
accogliere in braccio,
consolare
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scampata poi assolta scampata gravosa dissolta
precipitata ferita rovinata esposta, cenere.
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(Cenere)
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Dimmi che cosa vedi
V
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E serve al mondo ora serve a noi
capire dove ci siamo rotti,
dove e quale è il pezzo mancante
(se) la bocca o un anulare, spezzettato
nelle bibite, o i piedi, mai più piedi
solo scarpe
cose come la testa sopra
tasti caramello
e foglio pergamenta.
E lui lo sa
che ci manda i messaggi auto-decifranti
quanta lotta nel pomeriggio
lui sa il dolore del pomeriggio
il pomeriggio vince ma poi la sera
a sera perde.
Per questa e conscientezza
e non può fare rapporto.
E rotola già nell’ocean
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IX
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E poi perché ci vuole la calma,
sapete ci vuole la sorrisa,
la.. stortura ci vuole
mentre si fa il bucato, il seitan
il seitan, poi sbadigli enormi,
feroci balsamici o no, falò…
loro lo sanno e nella notte
si danno consiglio
con le ninne nanne,
con i bucati freschi salgono
ti baciano e t’abbracciano e chi sei
chi sei continui a dire perché
nell’armadio ce n’è uno uguale
nuovo nuovo uno perfetto nuovo nuovo
e tu sarai nuovo anche tu
presto questo freddo anche tu.
Il freddo, il freddo è il saio
il tuo sai per dormirci
stanotte sai per tradurti
ciò che sai tu lo sai
tu lo sei ciò che sei.
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Martina Campi
Cotone
buonesiepi libri
2014
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Frammentari, intenzionalmente sfilacciati (rubo la felice definizione ad Anna Maria Curci), i versi di Martina Campi restituiscono sulla pagina la percezione della realtà testimoniando, come già nella precedente raccolta Estensioni del tempo, una volontà di indagine dell’io e del suo spazio non ripiegati in sé stessi, non implosi.
Anzi, se l’esplosione è semplicemente avvertibile, annunciata, in alcune poesie, è ben visibile nella struttura e nella lingua dei testi che più si approssimano alla chiusa del libro.
Suddiviso in sei parti, sei suite variamente movimentate, Cotone sviluppa ulteriormente il legame con la musica, con il suono, che da sempre mi colpisce nel dettato di Martina Campi. Mi verrebbe quasi da azzardare un accostamento tra il volere ottenere la pulizia della parola così come si può ottenere la pulizia del suono: il tentativo di purificare il tutto, attraverso anche la metafora paradossalmente quotidiana, bassa, del bucato, dopo avere affastellato sequenze dense, cariche di participi con funzione attributiva. Il tentativo, insomma, di ottenere una diversa leggerezza nel proprio dire. [fm]
5 risposte a “Poesie da “Cotone” di Martina Campi”
Grazie Fabio e grazie Poetarum Silva! Per l’ospitalità verso Cotone e la lettura attenta riservatagli da Fabio. Martina
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L’ha ribloggato su asSaggi critici.
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