Volge al termine il Torino Film Festival. Volendo fare un bilancio, il programma è stato davvero molto ricco di pellicole interessanti e il livello generale è stato molto buono. Unica pecca l’organizzazione non sempre all’altezza, con code infinite e qualche scena di nervosismo per accedere alle sale, dovuto alla poca chiarezza nella disposizione delle varie file e della suddivisone fra accreditati e possessori di biglietto, senza dimenticare che rispetto agli anni scorsi mancavano le sale del cinema Lux.
Veniamo ora agli ultimi film che ho visto. Per quanto riguarda il Concorso il titolo da segnalare è For Some Inexplicable Reason, sorprendente opera prima del regista ungherese Gábor Reisz. Tra Gondry e Kaurismaki, con rimandi a Manhattan di Woody Allen, è la storia di Aron, alla ricerca di un lavoro e in crisi esistenziale dopo essere stato lasciato dalla fidanzata. Vaga sperduto fra le strade di Budapest, cercando di dare un senso alla propria vita, ma la realtà che deve affrontare è davvero dura e l’unica soluzione sembra quella di partire per Lisbona, con un biglietto accidentalmente acquistato on-line dopo una sbronza, solo perché un tizio portoghese che aveva conosciuto casualmente gli aveva parlato bene di questa città. Commedia riuscitissima dai toni surreali, sul tema del giovane romantico, buffo e inadeguato che cerca un suo posto nel mondo.
Altra sorpresa in Concorso è il neozelandese What We Do in the Shadows, che narra la vita quotidiana di quattro coinquilini vampiri ripresi da una troupe televisiva: turni per le pulizie, rapporti con il vicinato, uscite serali, scelta degli abiti, vecchie delusioni amorose, screzi e battibecchi con i lupi mannari. I vampiri non sono mai stati così divertenti in questa riuscitissima commedia dai toni esilaranti che fa ridere davvero di gusto.
Sempre in Concorso bisogna ricordare anche l’italiano Frastuono. Iaui, adolescente cresciuto in una piccola comunità sulle montagne pistoiesi, affronta le difficoltà e il senso di estraneità componendo pezzi di techno lisergica. Angelica invece è una sua coetanea borghese, anche lei soffocata dalla normalità, che insegue la sua libertà suonando in una band post-punk. Entrambi cercano un loro posto nel mondo, sì incrociano, si sfiorano, senza mai parlarsi direttamente. Una riflessione sincera e appassionata sull’adolescenza e il potere della musica, vista come via d’uscita verso una realtà che non si comprende e fonte di libertà creativa.
Il vero capolavoro di questo Festival si trova invece nella sezione festa mobile, e si tratta del doppio film The Disappearance of Eleanor Rigby nella versione Him e Her, che narra la storia dalla parte di lui e dalla parte di lei. Eleanor e Connor si incontrano, si innamorano, si sposano. Lui è proprietario di un ristorante di bassa lega, lei vorrebbe tornare all’università e cambiare vita. Il rapporto di coppia è messo in crisi dalla morte del loro bambino appena nato e non regge all’urto. Lei decide di scomparire e lui la cerca disperatamente. Due film complementari e gemelli, dove le soggettive modificano le psicologie e gli eventi chiave della vicenda. Umanissimo e colto, è un riuscitissimo esperimento che ricorda nello stile il recente Boyhood di Richard Linklater, raccontando l’amore e tutto ciò che ruota attorno, fra incomprensioni, litigi, coccole, fughe e ritorni, il tutto supportato dall’ottima interpretazione di lei e lui, ovvero Jessica Chastain e James McAvoy.
Menzione speciale anche per la serie televisiva in quattro puntate P’tit Quinquin (trasmessa integralmente al Festival per una durata complessiva intorno alle 3 ore e 20 minuti) del regista e filosofo francese Bruno Dumont. In un villaggio del Passo di Calais, il giovane Quinquin e i suoi amici sono spettatori partecipi di una serie di atroci omicidi che hanno come vittime contadini del posto. Dumont sembra finalmente aver trovato la sua dimensione in questa serie tv, prendendosi un po’ meno sul serio rispetto ai suoi precedenti lungometraggi, ma lasciando inalterati i suoi messaggi pessimistici nei confornti dell’umanità. Con echi alla Pantera Rosa (il divertentissimo commissario che indaga sugli omicidi è un chiaro omaggio al Clouseau di Peter Sellers) e al cinema adolescenziale di Truffaut, è una minserie imperdibile che meriterebbe di approdare anche in Italia.
Ultimi titoli da non dimenticare sono l’ottimo The rover di David Michôd, già autore qualche anno fa del bel Animal Kingdom, un novello Mad Max del terzo millennio, con le sorprendenti interpretazioni di Guy Pearce e Robert Pattinson, il torbido The drop, ultima interpretazione del compianto James Gandolfini, noir metropolitano tesissimo e serrato sulla malavita dei bassi fondi, la commedia indie Infinitely Polar bear con un grandissimo Mark Ruffalo, padre di famiglia sui generis affetto da sindrome bipolare, e il divertente Life After Beth con John C, Reilly. Nota dolente è invece l’atteso Jauja con Viggo Mortesen, film oltremodo supponente e tediante ambientato in Patagonia durante la guerra genocida del 1882.
Ecco infine il link per scoprire tutti i vari premi ufficiali assegnati: http://www.torinofilmfest.org/novita/516/32-torino-film-festival-premi-ufficiali.html