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Le scale

Ci sono giorni in cui la pioggia scende e, anche se controvoglia, sei costretto all’attesa. Così per questo pezzo ho dovuto aspettare che cessasse l’allarme meteo, rileggere tutto e decidere se pubblicarlo o meno. Ho aspettato che passasse quella fastidiosa sensazione all’altezza dello stomaco, quella sensazione che, quando ti assale, riesce a togliere il fiato e la ragione.
Mentre scrivo, ripenso alle statistiche dell’Associazione Ristretti Orizzonti che ho letto recentemente: ogni due giorni un detenuto muore in carcere. Per avere un’idea della gravità del dato, basti pensare che le donne vittime di femminicidio (che brutta parola) sono una ogni tre giorni.
La causa indicata per i decessi in carcere è sempre una a scelta tra morte naturale, arresto cardio-circolatorio e suicidio; ma, come indica il rapporto, non sono pochi i casi di pestaggio, di malasanità, di cure non ricevute e di istigazione al suicidio.
La vicenda di Stefano Cucchi, sin dall’inizio, mi ha sempre creato disagio, forse perché mi ha messo di fronte all’evidenza di vivere in un Paese che ha un concetto di giustizia precario. Precario quasi come quello di rispetto.
Quello di Stefano Cucchi è uno dei nomi di una lunga lista – quella dei “morti di carcere” – che annovera Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino e Giuseppe Uva (ma qui trovate altri nomi, come quello di Gianluca Frani, un paraplegico che si è impiccato in carcere).
Sembra quasi che ogni nome aggiunto sia il tentativo di vedere fino a quanto ci si può spingere nell’indifferenza generale delle istituzioni e di un popolo che dimentica più velocemente di quanto riesce a pubblicare sui social network.
È con questo sentimento di rabbia e di impotenza che sabato scorso è nato “Le scale”, il testo di un brano del gruppo di cui faccio parte; un brano che, dopo un lungo confronto (e una stesura musicale un po’ troppo alla Brunori Sas) abbiamo deciso di lasciare inedito.
Probabilmente, con qualche modifica, diventerà un racconto breve da leggere durante i live, accompagnato da una parte strumentale, per ricordare e per cercare di non far dimenticare. Perché la musica forse non può cambiare le coscienze ma può rammentare che un popolo civile ha il diritto di conoscere la verità e di ricevere giustizia.

Le scale

Per le scale
c’è chi scende, c’è chi sale
e chi si fa del male
e quel gusto
che si trova nel cadere
non c’è nel continuare
a dare le testate contro un muro
così solo per giocare
e indossare una maschera di sangue
neanche fosse carnevale

Quelle scale
le conosco molto bene
ci ho dormito anche a Natale
con la gente
che passava e che correva
e qualcuno che cantava
coi bambini che aspettavano un trenino
per andare via lontano
quei bambini caramelle in una mano
e il domani più vicino

C’è chi ha detto
che una vita dissoluta
mi ha portato in questa bara
non le botte
il digiuno e le percosse
che facevano a gara
per capire quanto tempo si può stare
soli come un animale
per vedere quanto dista da noi il male
e lasciarmi lì a morire

6 risposte a “Le scale”