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Karoline von Günderrode, “A quel tempo vita dolce vivevo”

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Un dono che mi è giunto recentemente, graditissimo, da Annamaria Ferramosca mi ha riportato sulle tracce di una poesia che ho conosciuto tanti anni fa attraverso la lettura di Kein Ort. Nirgends (Nessun luogo. Da nessuna parte) di Christa Wolf. Si tratta della poesia di Karoline von Günderrode, poesia tanto alta quanto dimenticata, come accade troppo spesso, dai manuali di storia della letteratura tedesca per le scuole. Il libro che ho ricevuto in dono è Sconfinare. Percorsi femminili nella letteratura tedesca (Luciana Tufani Editrice, 2013) di Rita Calabrese, della quale ho avuto modo anni fa di apprezzare il contributo ricchissimo al volume Della stessa madre, dello stesso padre. Tredici sorelle di geni (con Eleonora Chiavetta, Tufani 1996). Il passaggio che ha ridestato in me la gioia di un viaggio a ritroso nelle mie letture è questo:

«L’IO va assumendo connotazioni femminili, mentre il NOI comincerà ad abbracciare le donne dell’una e dell’altra parte, nella comune oppressione patriarcale e nella stessa costruzione d’identità.
Dall’intreccio di queste tematiche nascono, strettamente collegate tra loro, L’ombra di un sogno, antologia delle opere di Karoline von Günderrode e il racconto Nessun luogo. Da nessuna parte, in cui la stessa Günderrode è protagonista insieme a Heinrich von Kleist. Le due opere segnano la riscoperta di questa grande voce poetica del romanticismo, morta suicida nel 1806, con modalità e linguaggi differenti. L’ombra di un sogno è opera germanistica che si configura come esemplare lezione di metodo a segnare una vera e propria rottura del canone letterario classicocentrico lukácsiano della RDT e l’inserimento del Romanticismo, ma soprattutto la rilettura di una voce poetica − e in questo Anna Seghers fa da punto di riferimento − lacerata tra corpo di donna e virile talento poetico, mentre Nessun luogo. Da nessuna parte mette in scena l’incontro fittizio, ma molto verosimile, tra i due poeti suicidi. In filigrana, nel dramma di intellettuali costretti dopo le speranze della Rivoluzione Francese, a «battere a sangue la fronte», come scriveva A. Seghers a Lukács negli anni ’30, contro il muro di una società repressiva e finiti suicidi, pazzi, esuli, comunque disperati, si riflette il dramma degli intellettuali della RDT.» (Rita Calabrese, Sconfinare, pp. 182-183).

L’invito rivoltomi attraverso quelle pagine è stato per me irresistibile. Ho cominciato dunque a leggere la bella edizione curata da Christa Wolf, che raccoglie poesie, prosa, lettere di Karoline von Günderrode e che porta il titolo Einstens lebt ich süßes Leben (“A quel tempo vita dolce vivevo”). Il volume si apre con il saggio di Christa Wolf Der Schatten eines Traumes, L’ombra di un sogno, all’inizio del quale la scrittrice, nell’additare il destino di oblio subito dalla poetessa, scrive una frase che ancora oggi sorprende per la sua drammatica verità, che si estende, purtroppo, ad altri numerosi destinatari oltre a quelli pensati da Wolf:

«Un popolo dilaniato, politicamente immaturo, difficile da smuovere, eppure facile da sedurre, attaccato al progresso tecnologico invece che al sentimento di umanità, si permette una fossa comune dell’oblio per coloro che sono andati a fondo precocemente, per quei testimoni indesiderati di aneliti e paure soffocati.»

Christa Wolf (da Der Schatten eines Traums, in: Karoline von Günderrode. Einstens lebt ich süßes Leben. Gedichte – Prosa – Briefe. Herausgegeben von Christa Wolf, Insel Verlag 2006, p. 14)

(traduzione di Anna Maria Curci)

Il passo successivo, la conseguente immersione nella lettura, è stato per me, anche qui, l’incontro con la poesia di Karoline von Günderrode, della quale propongo due componimenti poetici nell’originale e nella mia traduzione*.

 

Liebe

O reiche Armuth! Gebend, seliges Empfangen!
In Zagheit Muth! in Freiheit doch gefangen,
In Stummheit Sprache,
Schüchtern bei Tage,
Siegend mit zaghaftem Bangen.

Lebendiger Tod, im Einen sel’ges Leben
Schwelgend in Noth, im Widerstand ergeben,
Genießend schmachten,
Nie satt betrachten
Leben im Traum und doppelt Leben.

 

Amore 

O ricca povertà! Nel dare, accogliere beato!
Nella titubanza, coraggio! in libertà, nondimeno, detenuto.
In mutezza, lingua,
Timido di giorno.
Nel vincere, con titubante trepidazione.

Morte viva, nell’Uno vita beata
Che si bea della tribolazione, nella resistenza capitolare,
Struggersi nell’assaporare,
Mai saziarsi di contemplare
Vita nel sogno e, doppiamente, vita.

Karoline von Günderrode (da: Einstens lebt ich süßes Leben, Insel Verlag 2006, p. 85)
(traduzione di Anna Maria Curci)

 

Ariadne auf Naxos

Auf Naxos Felsen weint verlassen Minos Tochter.
Der Schönheit  heisses Flehn erreicht der Götter Ohr.
Von seinem Thron herab senkt, Kronos Sohn, die Blitze,
Sie zur Unsterblichkeit in Wettern aufzuziehn.

Poseidon, Lieb entbrannt, eröffnet schon die Arme,
Umschlingen will er sie, mit seiner Fluthen Nacht.
Soll zur Unsterblichkeit nun Minos Tochter steigen?
Soll sie, den Schatten gleich, zum dunklen Orkus gehen?

Ariadne zögert nicht, sie stürzt sich in die Fluthen:
Betrogner Liebe Schmerz soll nicht unsterblich seyn!
Zum Götterloos hinauf mag sich der Gram nicht drängen,
Des Herzens Wunde hüllt sich gern in Gräbernacht.

 

Arianna a Nasso

Sugli scogli di Nasso piange la figlia di Minosse abbandonata.
L’ardente supplica della bellezza giunge all’orecchio degli dei.
Giù dal suo trono invia il figlio di Crono i fulmini
A sollevarla in tempeste all’immortalità.

Poseidone, d’amore acceso, già spalanca le braccia,
La vuole cingere, con la notte dei suoi flutti.
Ascenderà ora la figlia di Minosse all’immortalità?
Discenderà, pari alle ombre, all’Orco tenebroso?

Non esita Arianna, si getta tra i flutti:
Lo strazio dell’amor tradito non sarà immortale!
Non è gradito al cordoglio spingersi su alla sorte degli dei,
Piace alla piaga del cuore avvolgersi in notte sepolcrale.
Karoline von Günderrode

(da: Einstens lebt ich süßes Leben, pp. 91-92)
(traduzione di Anna Maria Curci)

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* Di Karoline von Günderrode è possibile leggere qui due  poesie – una delle quali è Arianna a Nasso – e alcune lettere nella traduzione di  Camilla Miglio.

6 risposte a “Karoline von Günderrode, “A quel tempo vita dolce vivevo””

  1. Donare un libro ad Anna Maria è sicurezza di una semina emotiva prodigiosamente fertile. Anna Maria dilata, ricorda, collega, legge altro, elabora, meravigliosamente traduce e restituisce in opera di pensiero ricchissima ogni stimolo: qui il pensiero e la poesia di Caroline von Gunterrode letta sullo sfondo di una triste temperie, venata ancora di attualità.
    Grazie per le tue luci, Anna Maria!

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  2. Torno a ringraziarti, Annamaria, per il tuo dono che è punto di partenzae di ripartenza per un itinerario di ricerca quanto mai ricco. Un grazie a tutti coloro che si sono soffermati sulla poesia di Karoline von Günderrode.

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  3. Due Annemarie, l’una più brava dell’altra…per i testi che scrivono autonomamente, per l’attività culturale e poetica che svolgono, per le proposte e le traduzioni. Se mi chiedessero di “votarle” (per fortuna una simile assurda richiesta non ci è stata ancora rivolta, grazie a Dio) ma se mi minacciassero con un coltello ? Rimarrei in bilico su un piede,molto molto imbarazzata, ipnotizzata dalla sua punta minacciosa..e poi farfuglierei…non saprei. Un duplice abbraccio

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    • nessuna scelta Lucetta cara, nessuna scelta e gara ha senso, tra tutte noi scriventi.
      siamo tutte artigiane della parola, intente alla ricerca di comunicazione incisiva. tutte/tutti contribuiamo a fare humus di umanità attraverso pensiero e parola, almeno si spera.
      a presto incontrarci e scambiare!

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  4. Un abbraccio e un grazie a te, Lucetta, per le tue parole, la tua attenzione e per quell’immagine irresistibile della punta minacciosa della lama che ipnotizza. Grazie, sì, grazie, e un sorriso.

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