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Enrico De Lea – respiro e confitemini delle acque (poesie inedite)

verso Bobbio - foto gm 2007

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respiro e confitemini delle acque

Sopravvivenze di acque, di vene sotterranee
e, prima o poi, per noi, all’aria,
una corona cordiale
di fontane, da Selino a Rafale,
con le piene
di ieri ci si campava,
e ogni stilla d’oggi salva
da ogni male.
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Condotta di trafori, segni
di scavi, immutato appare
il tracciato delle acque,
i canali dal cotto alla roccia,
come il lavatoio deserto
un nido di cotoni e sete,
uno scoperto altare di natura.

Lo coglie il respiro delle acque,
confitemini e commiato dal paesaggio,
da un’acqua provvisoria in basso,
da fontane arrese al consumato
tempo della mancanza.

Respiro che ultimo rasenta
e ripromette nascita, pietra
tra pietre levigate – conclude
e s’infinita.

E’ vero solo, si rammenta,
il corpo declamato degli umani
dopo la pioggia il pianto il seme
che ingravida i serri
dai luoghi alti nel passo della visione.
________________

Conteggiamo i congedi
in rassegnata furia
in ostinata vestizione
in una persistente ragione
di muschio, alga di fiume,
perseverante lichene sulla tegola,
come orazione dell’ammutolito,
nascere o cessare l’infinito ciclo
nel medesimo fiato che disfece,
nel moto d’impazienza
dell’occhio che registra
il passato come un nulla che è stato.

Al dunque nero del mondo
cui s’impreca, con la pena
mai infera, ma in esso ben assisa
e, pure, solo nell’assenza da esso,
si ritorna alle acque, alle madri,
a quel tacere
cui si cela, alle ripetizioni
da scoperta o illusione, salvi
ad un resurrexit poco dopo le fonti,
destinate dalla speranza
al suo indecifrabile contrario:
ci permane,
accarezzata da parole, soffi,
ogni fronte divenuta marmo, irresistibile
alla calce, alla cenere, alla polvere
d’una mano d’esordio che sospenda
il silenzio nella definizione
dell’acqua sorgiva, dell’alphaomega
che sia flusso eterno.

***

© ENRICO DE LEA (2009-2013)

 

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Nota.
Selino, Rafale: toponimi di fontane reali, scelti tuttavia per quanto di possibilmente evocativo.

13 risposte a “Enrico De Lea – respiro e confitemini delle acque (poesie inedite)”

  1. Singoli passaggi e unitarietà dell’insieme confermano, con la loro inconfondibile misura, salda ed efficace, lo stile dei versi di Enrico De Lea. Paesaggio e considerazioni – dense e ricche di itinerari percorsi e ripercorsi, scavando e scovando ciò che non è immediatamente percepibile ad altri – concorrono a popolare l’universo della scrittura di De Lea, insieme compatto come roccia e mobile come corso d’acqua. Torna anche qui, caratteristica a me cara, la presenza di una figura, talvolta un interlocutore, che si manifesta con il nome-participio sostantivato (qui: “l’ammutolito”). Scelgo per me questi versi, poesia e poetica, e ringrazio:

    Conteggiamo i congedi
    in rassegnata furia
    in ostinata vestizione
    in una persistente ragione
    di muschio, alga di fiume,
    perseverante lichene sulla tegola,
    come orazione dell’ammutolito,
    nascere o cessare l’infinito ciclo
    nel medesimo fiato che disfece,
    nel moto d’impazienza
    dell’occhio che registra
    il passato come un nulla che è stato.

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  2. “nascere o cessare l’infinito ciclo”: questo mi sembra il nucleo da cui si allargano i testi presentati da De Lea. Molto pregnanti, vicini alle potenzialità sempre sottese al movimento dell’esistere: la verità nelle continue oscillazioni, mai pacificate, ma disposte a reagire, constatando “la speranza dal suo indecifrabile contrario”. Poi il ritmo stentoreo, in cui rintracciare la prestanza epica del respiro siciliano, molto consona ai tempi in cui viviamo, perché esistenza e parola possono legarsi solo nella forza affabulatoria del dire, nell’immaginazione che scaturisce dal concetto spingendo al racconto del divenire, non all’evidenza del fatto, ma alla sua ricreazione. La ricerca di De Lea, e questi testi lo confermano, si dirige verso quell’originarietà che non è semplice nostalgia della sua scomparsa, ma movimento continuo, cioè vera nascita senza luogo rintracciabile a cui tornare, la ciclicità continua impressa nel soggetto (e che anche le nuove teorizzazioni scientifiche stanno tentando di dimostrare) dall’alterità assoluta dell’esterno. Resurrexit, rinascita, estroversione nel testo di quel soggetto che non può continuare a restare nascosto a margine, ma dallo stesso margine può esporsi più produttivo, presente. Dopo il ritmo, deciso a cui abbiamo fatto riferimento, occorre considerare la trama sonora che sembra accompagnarsi alla forza del dire, un po’ attenuando: “mai infera, ma in esso ben assisa/ e, pure, solo nell’assenza da esso”, sibilando un fiato tra le pieghe della materia dura, altre volte percuotendo: “Conteggiamo i congedi/ in rassegnata furia/ in ostinata vestizione”, perché queste cadenze estreme sono la manifestazione di un bene che è l’esistere nei suoi slanci di canto e nelle sue cadute nel buio a cui non ci si può arrendere.

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  3. Bellissimo il primo incipit chr si rifà, almeno come suggestione, al capitolo della fontana della nocera delle esequie della luna di Lucio Piccolo. Questa sopravvivenza sottotraccia di un flusso che è di vita ma anche di conoscenza rappresenta probabilmente la speranza di una continua rinascita e vitalismo. In particolare bellissima l’immagine delle fontane arrese. Complimenti ad Enrico per la costruzione e la lingua scavata proprio come l’acqua: sottotraccia ma vivissima e zampillante in generosità e possibilità. Bravo Enrico

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  4. bei testi, questi di Enrico. Mi piacciono anche perché mi “somigliano” (e spero che a Enrico non dispiaccia), si avvicinano cioè a una mitologia degli elementi che mi ha sempre affascinato, ad una distanza prospettica (non fredda però, ma rispettosa, “paritaria”) rispetto alla natura, ad un andamento epico ma non sentenzioso. Una poesia che può ricordare, se si vuole, non solo Piccolo, come segnala l’amico Diego, ma anche il non sufficentemente valutato Bacchini. Anche qui, come ho notato altre volte, mi sembra rilevante il valore apotropaico del poetare di Enrico, un esorcizzare il risucchio alle origini che lui sente fortissimo e che forse teme. E insieme un tributo affettuoso, quasi religioso ma pagano, al suo personale genius loci, quell’altra metà della sua identità che non può e non vuole rinnegare perchè, come vediamo, creativamente feconda. E’ per questo forse che non ci possiamo aspettare (per fortuna) un De Lea “urbano”. Saluti a tutti. Giacomo

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  5. ciao, vi ringrazio per le parole attente ed appassionate che dedicate a questi versi – e ringrazio innanzitutto Gianni per l’ospitalità su Poetarum

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  6. Piacevoli letture, e riflessive anche. Inoltre sto scoprendo altrove anche un De Lea maestro della rima giocosa. Un saluto.

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