Caro Rhédi, ti racconto di un’avventura che mi è successa.
Rispetto all’ultima volta che ti ho scritto, mi sono spostato un bel po’, in direzione delle Alpi. Sono arrivato tra il tramonto e il buio in un territorio di pianure, uniforme e monotono. Una leggera nebbia avvolgeva le cose, rendendole fantasmi di alberi e campanili. A quel punto, da lontano, ho visto una folla radunata lungo il fiume. Contro il cielo grigio, distinguevo sagome di corna e bandiere, e pensai a uno spettrale esercito di conquista smarritosi nei secoli. Si assiepavano sull’argine, e uno di loro compiva strani gesti nell’acqua, stringendo qualcosa di simile a un’ampolla. Capii che si trattava di un rito, di una riconciliazione tra gli uomini e il mondo, tra la ragione e le sue radici più oscure. Quante cose abbiamo perso, Rhédi, illudendoci di conservarle. Nell’asfissia del mio serraglio esiste solo quello che le sue mura contengono; non ci sono ritmi e cicli che non siano quelli dei premi e delle punizioni che io, Usbek, elargisco o infliggo. Proprio dall’Occidente dovremmo imparare quella profondità che una volta insegnavamo?
Perso in queste riflessioni, uscii un po’ allo scoperto, e fui notato. Avendo interrotto la sacralità del momento, venni giustamente assalito da urla e strepiti. Mi allontanai per la vergogna, mentre alle mie spalle, attraverso la nebbia, arrivarono per un tempo indefinito misteriose parole tronche, brandelli di sillabe simili a una musica risentita: “Va… ciapà… rat… terùn…”.
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3 risposte a “Cartoline persiane#2 – di Andrea Accardi”
I solisti leghisti ??
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centro!
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[…] volta che ti ho scritto avevo avuto un disguido con un gruppo di sacerdoti verdi. Scappando via, sono arrivato in pochi giorni a Pisa, una delle quattro Repubbliche marinare. In […]
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