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Vincenzo Mancuso: La macchina nella mente – inedito (post di Natàlia Castaldi)

Hercules - A. Calder
Hercules – A. Calder

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Vincenzo Mancuso

inediti da

La macchina nella mente, 2009

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dalla sezione Effetti della catena

 

(turno di notte)

Può non dirne la prima col fruscio pesante.
E’ che barcolla nelle briciole sotto un getto monocromo
assimilando il freddo alluminio sulla tosse.

Il fermo mascelle nell’acqua la rallenta, la fa
ancora più talpa. Minzione nascosta.

Lo spazio sulla vetrata
da’ la geometria delle occasioni.

*

Cultura del freddo ai lati di via S. Cristoforo.
Calano in borsa coi tic gli appunti
delle nocche, le nevrosi. Effetti della catena.

Il moto è uno squittire elettrico fra le rampe,
preme sul collo, ricicla i fotogrammi, il grasso
del traffico va alla superficie delle cose

– da lì anticipa la sintassi dello scontro
nell’angolo preposto.

*

I cadaveri escono dalle maniere
(singole preparazioni) – il proprio di spirito nel blister
incontra dettami di un estraneo.
Dal tavolo al letto è acido
del non concesso, quello del 4
verso la marina che allenta.
Fa scatola di rame.

Cenere, sotto l’acrilico invernale
sta nei minuti dell’arpa, sul motivo umido
nelle fibre dove i gradi della visione
si spaccano fra le orde nelle serrande.

Legno afono duplicato dalle labbra.

*

Se esce è perché i vecchi ritornino
negli antri / dietro le quinte fastidiose
dei rodimenti dopo le vertigini, i gas
gli aggettivi automatici della creanza.

L’affetto nello stomaco vede la salita un azzardo
seccare sui marmi, nel progetto dei viali.

Lo sbandamento del sangue
è l’analisi dei passanti.

*

Non è propria
ma agita aria sul votivo del risveglio. Uno
consueto delle cinque
scalcia sulla malattia | l’editto al ripiano
col segno dove i segni spaventano
le amnesie nel corridoio:

(eccoci)

l’incendio decide una bolla
che anticipa il risultato.

Le hanno visto la testa separata dalle ore
prima degli abiti, la folla
in qualcuno dietro il cancello per Marilena.
Nel vetro ritagli di una tappa
oltre costruzioni. Anni impreparati.

*

(entrata nel sangue)

Il capo resuscita che la notte è invasa dagli stranieri.
Col collo pasticcio ferisce lenzuoli intermittenti.
Luci fresche.

Il pendolo cola in una pratica
(campanelli, precisi venditori sull’ingresso)
mentre gli appunti cedono alla mia mediana.
Compongono le distrazioni.

*

Verso il porto della sala orchestra un codice
spalanca le pareti, la gioventù in frazioni.
Cornici che si avverano ovvietà.
Dietro gli infissi la lentezza
pare un saluto che si nasconde.

*

Ritorna liquido e rovescia il primo aggettivo, l’acido
fino ai binari delle ringhiere, le vertigini sui tram.
La collera si sfiata, sfrega la fede
dove i nomi hanno messo le radici
dopo che le acque abitarono l’erede.

*

I cani sperano fra il loro grigiore, in teste
girate che il fattorino ha sorriso
e il cacciatore prende il muro con una tela.

Le tende respirano un precario:
è la superstizione in numeri
l’effetto dell’acciaio e della noia;
occasioni automatiche
in un orzo – res – microgrammi per le viscere
– trovandone posticipa lo scontro.

*

C’è sui beati una lesione di alba
vista dopo i cestini, dal collo
nei quadri prima dell’atto

(dico: scoperti che si accasciano e ritardi).

L’aiuola rianima in Rosario
in probabili verdure nella vasca
dove glossano gli improperi. Mesate.

Il verde è nuovo
e il tumore è nel sacco
nei grassi dei pedoni allineati.

*
                                                     7:00 am

Sposteremo le piante
con battute sconosciute, certi.
Dopo lo squillo, prima della rinuncia
è l’entrata nel sangue, nei corpi da separare
(pulitura dei vecchi)

la polvere incide
i colpi: è il velo che si comprende.

Appena il cotone lo ingoia
nel ritratto di chi è già versato
fibrilla sotto i castelli di via Immacolata
– è l’anima industriale che si sdoppia.

*

(montaggio)

Mentre la catena è nel piatto
l’esperta incarna proprietaria degl’angoli stranieri.
Nei fabbricati dell’apparenza
lascia la domanda che disturba, il moccio.
Sciroppi improvvisati sugli spettatori.

Il volume è nel tumulto necessario.

*

E’ viva nel rito delle carte, sull’inizio dei treni
fino al bagaglio dell’artista.

Nelle creme c’è la farsa della riconoscenza.
(Si prova a montare l’uovo: silenzio).

*

Entri nei suoi terremoti
come un restauro
dopo Gerusalemme; nelle offerte
i plurali della concentrazione.
Stiamo al carro fino agli anelli.

Nella sorgente appesa alla sedia scava
la polemica della carne, i voti via dal rogo.

Il ritardo è sul rumore del paragrafo
nel malanno dopo la coppia.

*

                                                                                        dico di A.

Pensa che il futuro sia degli armadi.

Usciranno tutte le risposte: l’esplosione
è nel tempo accumulato.

Se ne va di geografia
con i boccagli che la fanno Dio
per i fiori, approvata da un’ immagine.

E’ la scena madre, una breccia.

*

(purgatorio)

Le probabilità sono sui quaderni
nei cartoni, nello schermo
dove il motivo brucia una mano.
Su di lui c’è da affacciarsi all’aperto:
si scava dentro le partenze.

Lo senti dal suo purgatorio
con una doppia voce che ingrassa dopo la rinascita.
Pare sia l’esempio da spendere.

*

L’ultimo arrivato ha l’istinto nella macchina
sul lampione che l’allarga come un trofeo.
Cresce sulle costole e per le lunghe corna
quando gli occhi arrossano il suo doppio.

Dalle narici si capiscono
gli strumenti nella mente.

*

Le leggi sono topi
annulleranno le altezze.

Con sufficienza ai lati della bocca
gira la controra delle porte. (Pausa)
E’ il mammifero nel viaggio della prossima nazione.

Sembra tutto attraversato dalle donne, pieno
nelle sue atmosfere. E’ il tamburo battente.

[nota bene]:

Le sue percussioni hanno erbe altissime
periferie da rifare, linguaggi.
Vivono oltre distese mute
che salutano da una cornice.

*

(l’escluso)

Dopo il quinto rullo di scale
si stende il braccio della tregua.
Gli affetti apparterranno alla città, ai suoi dialetti.

L’ora prende il largo in un altro corto di fede:
le stanze proiettano il suicidio
(job, style, motori di ricerca).
Si alza l’acqua degli esclusi.

*

Il rito evapora
ma l’affanno è il risultato degli scarti.
E’ il male peggiore.

Mi vedo nella bolla che viene
con la faccia allungata dall’aspettativa
fino al tavolino. Chiuderò
il legno di una generazione.

*

Il film finisce nella gola:
salto con la nostra ballerina
con l’astronauta che mi spacca la testa
per un gettone (odore di ospedali
calendari, frequenze da coniugare).

Galleggia il miracolo che mangio:
la felicità è un ritratto una compagnia.

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dalla sezione Novelletta

 

 

La conta è dei metri quadri a ogni ventata d’improperi.
Era la meta, il documento.
In sogno è una testa nera poi calva che saluta.
La negazione dell’occidente: la casa.

*

Dall’ultimo piano di ferro
si scorda il peso degli esseri in difetto
il soccorso possibile.
Le grandi voci mangiate in processione.
Il cemento sono i lati in agilità
sul verde ridotto, certe volte Calder.
Una morte bellissima.

*

Punta la creta
e quando risale c’è la breve galera dei piani riservati
le inferriate che gessano il cortile.
E’ così la macchina nella mente sui campi da sgrassare.
I cieli paese, pagine del salto ripetuto, il binario
sono le vie dei giusti.

*

[Scariche sul lato malato della veduta. Rientro di voti.
Dalla finestra il largo imbuto successivo (la sentenza studiata).
Il tema umano della novelletta1].

*

Le ripetizioni hanno movenze segrete
strettoie, spiriti di vetro.
Un rosso che invade dopo le tensioni
dopo la salita tirata.

*

Negli occhi è una nave che saluta
un cantiere mobile
la fuga sotto le facce idiote, il tricolore:
la faccenda della resistenza.

*

Sul registro della fine si riduce nei suoi santuari,
nella preghiera indelicata del prolungamento.
Questa è la figura in attesa, la tenerezza.
Passaggi di consegne, metodi gelo dei numeri – sono le chiavi.

*

Dal nostro doppio senso
è stata una traccia, una cosa molle che trasloca.
Le stagioni vengono e vanno, maggio
è tornato e non ce ne siamo accorti 2

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note: 1 – da La Teleferica / 2 – da La Capanna Indiana – A. Bertolucci

9 risposte a “Vincenzo Mancuso: La macchina nella mente – inedito (post di Natàlia Castaldi)”

  1. queste poesie sono davvero belle, se può essere bello il dolore e la sofferenza.
    da come sono organizzati questi inediti deduco ci sia un’intera raccolta pronta o prossima a essere terminata in cui si traduce tutta la tensione di Mancuso.
    tensione palpabile nella misura dei versi e nei tagli (cesure) atipiche rispetto ad alcune forme assunte (i primi due componimenti sembrano dei mottetti rovesciati).
    davvero colpito.

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  2. mi associo d’impulso ai plausi, scrittura originalissima, l’alea dell’associazione un po’ surrealista scava una sua radice più profonda, semina ancoraggi non banali a un sottosuolo vischioso, molecolare. Sartoria ingegnosa di scarti, a filo doppio.

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