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Tra le righe #6: Rainer Maria Rilke

Rainer Maria Rilke

Tra le righe #6: Rainer Maria Rilke

la traduzione è nella sua essenza etica plurale dell’ascolto

Antoine Berman*

Rainer Maria Rilke
Der Panther

Im Jardin des Plantes, Paris

Sein Blick ist vom Vorübergehn der Stäbe
so müd geworden, daß er nichts mehr hält.
Ihm ist, als ob es tausend Stäbe gäbe
und hinter tausend Stäben keine Welt.

Der weiche Gang geschmeidig starker Schritte,
der sich im allerkleinsten Kreise dreht,
ist wie ein Tanz von Kraft um eine Mitte,
in der betäubt ein großer Wille steht.

Nur manchmal schiebt der Vorhang der Pupille
sich lautlos auf -. Dann geht ein Bild hinein,
geht durch der Glieder angespannte Stille –
und hört im Herzen auf zu sein.

 

La pantera

Jardin des Plantes, Paris

Il difilar dei ferri entro la gabbia,
il suo sguardo accecò. Più non ravvisa.
Moltiplica le sbarre, a cento, a mille:
ma, dietro quelle sbarre, è il vuoto, il nulla.

Nel flessuoso molleggiar dei passi
grevi tornanti entro il racchiuso giro,
par che l’Impeto danzi attorno a un centro,
ove una enorme Volontà vien meno.
Solo, a volte, su l’arida pupilla,

tacito, un velo si solleva; e irrompe
una immagine in essa; e via balena
lungo il silenzio delle membra tese,
per smorzarsi, veloce, in fondo al cuore.

(traduzione a cura di Leone Traverso in: R. M. Rilke, Poesie e Prose, Le Lettere, Firenze, 1992, p. 346)


La pantera

Nel Jardin des Plantes, Paris

Del va e vieni delle sbarre è stanco
l’occhio, tanto che nulla più trattiene.
Mille sbarre soltanto ovunque vede
e nessun mondo dietro mille sbarre.

Molle ritmo di passi che flessuosi e forti
girano in minima circonferenza,
è una danza di forze intorno a un centro
ove stordito un gran volere dorme.

Solo dalle pupille il velo a volte
s’alza muto – . Un’immagine vi pènetra,
scorre la quiete tesa delle membra –
e nel cuore si smorza.

(traduzione di Giacomo Cacciapaglia in: R. M. Rilke, Nuove poesie. Requiem, Einaudi, Torino, 1992)

 

La pantera

Nel Jardin des plantes, Parigi

Il suo sguardo, per lo scorrere continuo delle sbarre,
è diventato così stanco, che non trattiene più nulla.
È come se ci fossero mille sbarre intorno a lui,
e dietro le mille sbarre nessun mondo.

L’incedere morbido dei passi flessuosi e forti,
nel girare in cerchi sempre più piccoli,
è come la danza di una forza intorno a un centro
in cui si erge, stordito, un gran volere.

Soltanto a tratti si alza, muto, il velo delle pupille.
Allora un’ immagine vi entra, si muove
Attraverso le membra silenziose e tese
E va a spegnersi nel cuore.

(traduzione di Gina Sfera su Progetto Babele)

 

Rainer Maria Rilke. Nasce a Praga nel 1875 da un’antica famiglia originaria della Carinzia. La prima raccolta di poesie è Vita e canti (Leben und Lieder) del 1894, cui seguono Sacrificio ai lari (Larenopfer, 1896), Incoronato di sogno (Traumgekrönt, 1897), Avvento (1897). A Lou Andreas-Salomé  dedica un diario composto a Firenze nel 1898 (Florenzer Tagebuch). Il racconto Il canto di amore e di morte dell’alfiere Cristoforo Rilke (Die Weise von Liebe und Tod des Cornets Christoph Rilke) del 1899, pubblicato nel 1906,  lo pone al centro della scena letteraria europea. Negli anni 1899-1900 si collocano  il viaggio in Russia e l’incontro con Tolstoj. Al soggiorno russo si ispirano le tre parti del Libro d’ore (Il libro della vita monastica, Il libro del pellegrinaggio, Il libro della povertà e della morte). Le Storie del buon Dio (Geschichten vom lieben Gott) sono scritte fra il 1900 e il 1904; nel 1902 appare anche Il libro delle immagini. Durante il soggiorno nella colonia di artisti di Worpswede, presso Brema, conosce la scultrice Clara Westhoff, che sposa nel 1901 e dalla quale si separa dopo pochi mesi. L’incontro, a Parigi, con Rodin, di cui fu segretario, e con Cézanne segna una svolta.  (Nuove Poesie, 1907-08, I quaderni di Malte Laurids Brigge, 1910). Le Elegie Duinesi (1911-23), insieme ai Sonetti a Orfeo (1923) e alle Poesie estreme, postume,  segnano il culmine della sua produzione poetica interrotta dalla morte sopravvenuta nel 1926 a Valmont presso Montreux.

Leone Traverso. “Reputato a ragione il maggior grecista e germanista nella brillante schiera dei cosiddetti «ermetici» fiorentini, possiede accanto a uno straordinario senso della lingua un talento poetico  che pone al servizio dei poeti che traduce, ma che al dire di amici come Mario Luzi, Tommaso Landolfi, Oreste Macrì gli avrebbe permesso di esprimersi altamente con la sua voce, non avesse tutta piegata quella voce a offrire al lettore italiano i versi assoluti di Pindaro, dei tragici greci, di Hölderlin, di Trakl, di Rilke, di Hofmannsthal.” (dalla nota di Margherita Pieracci Harwell in: Cristina Campo, Caro Bul. Lettere a Leone Traverso (1953-1967), Adelphi, Milano 2007. 207-208).

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*Berman, linguista francese, traduttore dall’inglese, dallo spagnolo e dal tedesco, saggista e teorico della traduzione, è menzionato da Maria Luisa Vezzali a p. 8 del suo Editoriale al volume di “Materiali” (pubblicazione semestrale della Bottega dell’Elefante), pubblicato nel dicembre 2007 con il titolo La soglia sull’altro. I nuovi compiti del traduttore.

3 risposte a “Tra le righe #6: Rainer Maria Rilke”

  1. Segnalo qui la traduzione di Federica Galetto:
    http://lastanzadinightingale.blogspot.com/2011/11/reiner-maria-rilke-la-pantera-poesia-in.html
    e quella di Marino Marchello
    http://fioriepoeti.blogspot.com/2011/11/rainer-maria-rilke-la-pantera-italiano.html
    Ringrazio gli autori delle due traduzioni per aver richiamato l’attenzione sul loro confrontarsi, attento ed efficace, con il testo originale. Anche questo obiettivo si pone la rubrica “Tra le righe”: rinnovare l’invito a interrogarsi, e a interrogare testo e testi, sulla “lentissima precipitazione” del tradurre.

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  2. Ringraziando la Redazione per aver segnalato qui la mia traduzione del testo,vorrei precisare che per quanto la traduzione di Leone Traverso sia molto suggestiva e armonica, musicale, lirica ai più alti livelli, non è fedele al testo originale. Il tradurre gli ha preso la mano e ha scritto se stesso nei versi di Rilke, vistosamente tra l’altro, neanche tanto velatamente. Cacciapaglia mi pare il più fedele all’ originale riuscendo a dare alla traduzione italiana una nota musicale e lessicale molto buona, laddove la lingua tedesca s’irrigidisce un poco. La lingua tedesca è un’arma a doppio taglio. Molto dolce per certi versi e rigidissima per altri.
    Personalmente ho sentito la mia traduzione molto vicina a quella di Cacciapaglia e sintatticamente e emotivamente. La traduzione che ho cercato di fare è stata quella della fedeltà all’originale, il più possibile almeno, per quanto le due lingue possano incontrarsi e non scontrarsi. Ho cercato, diciamo, di “accompagnare” i versi con la nostra lingua madre pur non abbandonando mai il testo tedesco. Se avessi voluto sbizzarrirmi come Leone avrei potuto certamente farlo, ma non è questo che deve fare un traduttore, sebbene debba sempre, più o meno, metterci del suo. E’ inevitabile questo. Le divergenze di traduzione che si ravvisano nelle tre versioni pubblicate (e in parte anche nella mia e in quelle presentate nel blog fioriepoeti ) credo siano dovute dal modo in cui il traduttore “legge” i versi; e non si tratta meramente di grammatica che tra l’altro a volte lascia aperti non pochi dubbi viste le licenze poetiche che ogni autore, grande o piccolo, si concede liberamente. Tradurre è sempre un enigma irrisolto, un’affascinante enigma che lancia sfide spesso di grande portata e lascia sempre nelle mani del traduttore una grande responsabilità. Ma per chi ama questo gioco severo, cimentarsi è un obbligo. Un caro saluto

    Federica Galetto

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