Cristina Leti – Terza remigante – ed. Lietocolle 2010
“E’ un inverno, questo, / troppo lungo anche per mattoni alcolizzati / e malte depresse, / per grondaie incontinenti e antenne anoressiche, / per parabole bugiarde e tralicci metrici.” Possiamo partire da qui per provare a raccontare questa bella opera prima di Cristina Leti, da questi versi densi di parole quotidiane, di stati d’animo applicati alle cose. I versi qui sopra riportati, nucleo centrale, della poesia “Le case”, ben rappresentano la maniera dell’autrice di poetare, di raccontare. Anche qui come, spesso accade nella poesia contemporanea più efficace, ciò che ci circonda, che incrocia lo sguardo, le mani del poeta, diventa verso e attraverso la fluidità, ben presente, ci restituisce sensazioni, riflessioni, ci costringe a guardare oltre. Nella poesia di Cristina Leti (come nota Alessandro Seri nella sintetica e precisa prefazione) è presente una forte territorialità di una Roma che non conforta come di una provincia che, probabilmente, non salva. “ I tombini a Roma sono come le bocche / insaziabili dei neonati. / A volte però / anche loro rigurgitano acqua e fango.” Per la Leti contano molto anche le persone che si buttano a spigoli fra i versi e completano il disegno del suo intento poetico. Azzardando si potrebbe dire: Noi siamo le cose, le cose stanno con noi, le cose ci raccontano, le cose fotografano e portano addosso la nostra anima. E’ naturalmente un’ipotesi che, però, crediamo abbastanza verosimile. Le poesie della Leti scavano con perizia. I versi, in una precisa alternanza, fra brevi e più lunghi, non perdono mai il ritmo, non permettono al lettore di distrarsi né di smettere di leggere. Cristina Leti hai il talento e il coraggio di cercare le parole nuove, di usare, dunque, quella terza remigante. “Alla fine del terzo giorno. / il fuochista / mi fasciò stretti i polsi, / con larghe corregge di cuoio.”
@ Gianni Montieri
LE CASE
Evaporeranno i cattivi pensieri
e con loro
pure le umidità,
che deformano e scrostano cementi e intonaci.
Ogni casa ributterà in strada,
gli inquilini fastidiosi
per godere pienamente e in pace
di quel caldo salvifico
che asciuga solai e soffitte.
.
È un inverno, questo,
troppo lungo anche per mattoni alcolizzati
e malte depresse,
per grondaie incontinenti e antenne anoressiche,
per parabole bugiarde e tralicci metrici.
.
Quando poi la pioggia leccherà gli spigoli dei tetti
e piccole lingue di fumo stanche,
accarezzeranno i marsigliesi rossi e rotti,
il barbaglio di una 40 watt,
cederà il passo al gregge dei minuti diurni.
***
Sbatterà il naso la notte
sul dorso freddo dei vetri,
per meglio vedere
il ruotare cieco degli amanti
tra spigoli e specchi.
La verità
è spina dorsale o chiglia
parte emersa sul fondo di bottiglia.
.
Una piovra rosa attaccata alla parete,
spierà il bacio rubato;
quello dato
tra le ombre cave
e in prossimità delle giunture.
Non esisterà abbraccio più forte
che quello del fuoco e del vino,
tra le buone letture
di poeti ormai dimenticati
al gelo del cimitero degli inglesi
a Roma.
***
BATTERY PARK
I dubbi migliori
si consumano sempre
nello spazio clitorideo.
Tra paradossi idrodinamici
e aumenti di pressione
in corrispondenza delle strozzature.
A me interessa la fisica,
ma pure le boy band.
Ho sognato un campo di grano in carbonio,
respingere il vento verticale di Manhattan.
Aste sottilissime e gialle, lunghe due metri,
rallentare gli spostamenti d’aria
che si creano sotto i grattacieli,
per via dell’Effetto Venturi.
***
Le idee notturne viaggiano solitarie
su strade sterrate di montagna.
.
Alcune hanno i piedi scalzi,
altre invece, hanno caviglie sottilissime
avvolte in spesse calze di filanca color caramello.
Delle vecchie hanno pure le bocche sdentate
e le vene azzurrine che irrorano i polsi assenti.
Quelle più temerarie e tenaci,
come le caramelle di menta
sperse nelle borsette marroni a fisarmonica,
annaspano sfuse e stantie,
tra i mille tornanti della mente.
.
In zona liminale si spezzano. All’improvviso.
Fanno la stessa fine dei femori labili delle novantenni.
***
Eppure, ancora, ho fermo il polso.
Pazienza e memoria, quanto basta, per leggere
qualche stupido verso di insensata bellezza e verità:
a Spoon River, in cima alla collina,
gli uni accanto agli altri, riposano,
Hod Putt e Flectcher McGree,
Pauline Barrett, Lucinda Matlock e Minerva Jones.
.
Nella biacca di un tedioso pomeriggio invernale,
solo bare di legno schiodate
e qualche palmo di terra smossa.
Si vive lontani, quassù,
da truci vendette e bieche menzogne
dai tetti d’ardesia e dalle finestre d’angolo.
.
Distanti con rammarico, anche
dal fracasso e dai fischi della locomotiva,
dal frizzare del metallo dei vagoni
sugli scambi della strada ferrata.
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NOTA BIOGRAFICA:
Cristina Leti è nata Rieti nel 1976. Laureata in Lettere Moderne all’Università degli Studi dell’Aquila, ha conseguito successivamente il Master in Editoria e Comunicazione. Pubblicista, collabora con diversi periodici occupandosi d’arte, letteratura e in particolar modo di narrativa per ragazzi. Sue poesie e racconti brevi sono stati pubblicati su riviste e antologie. Diverse le segnalazioni e i riconoscimenti a Premi Letterari, tra i quali Opera Prima LietoColle 2009 di cui la pubblicazione Terza remigante è il risultato.


3 risposte a “Cristina Leti – Terza remigante – ed. Lietocolle”
Alcune hanno i piedi scalzi,
altre invece, hanno caviglie sottilissime
avvolte in spesse calze di filanca color caramello.
………
altre i calzini bucati…
l’importante che cerchino di camminare
fino a spezzarsi…
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…e percepisco quanto sia ingombrante la fisicità dell’uomo…. ma magari è solo il mio pensare. Complimenti.
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grazie a Maurizio e Angela, e agli altri che hanno letto
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