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Michele Masneri – Addio, Monti (due appunti su)

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Michele Masneri – Addio, Monti – ed. Minimum fax 2014, € 14,00; ebook € 6,99

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Ho cominciato a leggere Addio, Monti di Michele Masneri con molta curiosità. Ne sentivo parlare da qualche tempo, era un libro atteso, persone di cui ho stima lo annunciavano come un libro da non perdere. Pur di non perderlo l’ho preso, grazie a un libraio compiacente, un paio di giorni prima dell’uscita. Ho cominciato a leggerlo un lunedì mattina, all’alba, sul treno Venezia – Milano. Speravo che mi catturasse subito, il Napoli aveva malamente pareggiato a Bologna, non era proprio il caso di buttarsi su La Gazzetta dello Sport. Dopo le prime pagine ho pensato: «Radical chic? Tutto un libro?» Masneri, però, a pagina 12, con un vero colpo da maestro, mi ha tirato dalla sua parte, facendomi cappottare dalle risate, con uno di quei formidabili elenchi che torneranno in tutto il libro, all’alba, su un treno pieno di gente che, se non dorme, parla al cellulare. Ecco in che modo:

E a Cala Rossa  si presentano davvero, poi, con tutto un corredo studiato e ristudiato a tavolino: la stuoia indiana, il Domenicale, una crema dell’erbolario, protezione trenta, al sesamo e alla carota, e almeno un paio di Adelphi – creme e tascabili hanno stessa grafica e lettering, lo avevi mai notato? Lei poi gira da anni col medesimo Meridiano della Recherche, che dice perennemente di rileggere, e non se ne separa proprio mai, in borsa, in spiaggia, sull’8, a Monti, in aliscafo, sul Frecciarossa, in Freccia Alata, e non mangia mai niente, si porta solo dietro, sempre, dei minuscoli fazzolettini in cui sputa il cibo velocissima, di nascosto, e poi se li mette in tasca. E sta lì ore, sulla spiaggia, magrissima, grinzosa: sembra morta. E lui spietato a un certo punto dice: “Le porto due grissini, per evitare il trasporto della salma a Ciampino col C130 dell’aeronautica”.

Letteralmente: sono scoppiato a ridere, ma non solo quello, ed è questa la cosa più importante. Da quel momento, da quel paragrafo, sono entrato nel romanzo, ho visto, perfettamente delineati, due dei personaggi principali, e ho capito come scriveva Masneri. Non sapevo, da lì in poi cosa mi sarei aspettato, ma potevo immaginarmi in che modo ci sarei arrivato, o meglio, come lo scrittore mi ci avrebbe portato. Non sono rimasto deluso. Addio, Monti, titolo che rimanda all’incipit de I Promessi sposi di Manzoni, incipit noto a chiunque sappia cosa sia un libro, almeno quanto il Chiamatemi Ismaele del capolavoro di Melville, non è un remake del capolavoro manzoniano. Non è la biografia di Heidi. Non è il diario di  un anziano e cattolico economista, amico delle banche. Non è un libro sul ritiro dal mondo dello sci della Compagnoni (anche se avrebbe potuto esserlo, vedi nozze con Benetton). È una storia, invece, sui nostri giorni, sul nostro piccolo mondo che naviga tra falsità e vacuità, tra il voler essere e il non riuscirci, sul continuo farsi passare per qualcun altro, qualcosa che non si è. Siccome le piccole vite si muovono in piccoli gruppi, in spazi concentrati, ecco che fa la sua comparsa e diventa il luogo, lo strumento, l’illusione, la bellezza, la decadenza, il fagocitatore, lo sfruttato: il quartiere Monti di Roma. Quartiere un tempo covo di prostitute, «ma le puttane scelgono sempre i quartieri migliori», ora diventato in. Masneri ci racconta questo mondo, ebbene sì, fatto di radical chic, ma li racconta in maniera nuova, efficace e molto divertente. L’aperitivo nel bar giusto; la corsa per gli inviti all’inaugurazione di una mostra dove non si può non esserci; il film, magari indipendente, visto nel cinema che deve essere quello e non un altro, all’ora giusta. Case dove fanno bella mostra di sé copie accatastate (ad arte) di: Domenicali, Micromega, Internazionale, Adelphi allineati come soldatini, Meridiani e vini pregiati piazzati sulle mensole giuste. Le Clarks, ovviamente. I jeans sdruciti come dev’essere. L’eloquenza brillante, la scopata giusta, i loft (che poi a Roma sono finti lo sanno tutti). Presenziare sopra ogni cosa, diventare altro da sé, avvicinare il potente, fingendo che qualcosa cambi e di sentirsi meno soli. La storia viene raccontata da due amici, una editor e un ghostwriter/escort, nel tempo di una spesa nella pregiatissima Sma di Monti, una domenica pomeriggio. La conversazione è intervallata dai continui dietrofront fatti col carrello, perché mancano le verdure bio o l’ananas che brucia i grassi. Leggi questo libro e, mentre ridi, pensi con tristezza al vuoto sul quale stiamo seduti, vuoto al cui scavo abbiamo contribuito. Il Monti che risucchia i protagonisti del romanzo è un po’ lo specchio del paese che ha risucchiato prima gli ideali, poi le idee. Masneri non giudica, osserva e acutamente registra. La distinzione tra uno di sinistra e uno di destra ma davvero deve farla l’Adelphi in borsa? Lo scrittore riesce a rendere bene l’idea di quello che ha fatto la sinistra italiana con Pasolini, sfruttandolo a proprio piacimento, all’occorrenza; lo fa prendendo Roberto, immobiliarista, uno dei personaggi principali, e facendogli usare il mito di Pasolini, dei suoi luoghi, per  alzare il prezzo delle case, l’allegoria (piaccia o no) è perfetta. Michele Masneri scrive bene ed è coraggioso. Finito il libro si ha voglia di nascondere la propria copia del Domenicale dentro La Nuova Venezia, in un’equazione che suona: meglio pirla che fighetto.

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Nota fuori campo

Scrivo questa recensione il giorno primo febbraio 2014 a Venezia, nella biblioteca di Ca’ Foscari alle Zattere, caso ha voluto che io avessi con me, oltre al libro di Masneri, anche Trentasei moderni di Franco Fortini (Manni editore, 1996). Il primo dei trentasei ritratti che Fortini fa ad autori del secondo Novecento è ad Alberto Arbasino, l’incipit che usa è estratto da un racconto di un funerale fatto dallo scrittore di Voghera:

… ma a Villadeati in quella domenica ormai lontana come ‘Via col vento’ la banda del paese suonava monferrine da una loggia e c’era ‘Tutta Milano’. Giangiacomo (Feltrinelli) dava le salsicce a Wally Toscanini che diceva (come Gadda) ‘che bontà, che bontà’, seduta sul prato, Giannalisa e Inge vestite di rosso si parlavano in tedesco…

Sono i funerali di un noto editore, Fortini sottolinea come Arbasino “abbia un orecchio quasi infallibile per cogliere i mutamenti nella lingua conversativa dei ceti medi e medio-alti”. Fatte le debite proporzioni, di tempo e tempi, tra realtà e finzione, ecco come Masneri racconta i funerali di Angelino il barbone di Monti:

[…]«Di sfuggita: troppa gente, chiesa gremita, c’erano proprio tutti» e cioè nell’ordine: gli uffici stampa di Marsilio e Guanda e Ponte alla Grazie e Voland; due vicedirettori della Stampa e di Internazionale; l’antico fondatore del Manifesto, Zadie Smith, almeno tre finalisti allo Strega, Dariush, la signora Galliana, proprietaria del bar della piazzetta; il segretario generale del Quirinale, la signora Clio, con gesso; una gran delegazione di parrucchieri e vetrinisti; Pigi Battista; tutti i single e i possessori di cani, il capogruppo del Pd al Senato, un deputato negro d’An; Rula Jebreal e Julian Schnabel, in pigiama nero-lutto[…]”.

Fine della nota fuori campo. Provate a leggere questo libro e poi ditemi se Masneri, senza sputare sentenze, ma con l’orecchio all’Arbasino, non abbia saputo raccontare molto bene, divertendo, la deriva finto-chic/vuoto–patina che abbiamo preso.

@ Gianni Montieri

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