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Pierre Drieu La Rochelle, un dandy delicato malato di assoluto (di Mauro Massari)

«(…) Non voglio credere che se ne va,
eppure è certo che se ne andrà.
Fin davanti alla ghigliottina,
l’uomo non crede mai

al definitivo»
Drieu La Rochelle, Gilles

 

 

Nelle fotografie appare in giacca di buon taglio, mouchoir de poche piegato con cura, gilet e cravatta annodata stretta. Gli occhi liquidi, melanconici, di chi guarda in macchina ma è lontano, altrove. Questo raccontano gli scatti, patinati, affascinanti, di Pierre Drieu La Rochelle. Viveur nebuloso, soldato impavido della Prima Guerra, romanziere incapace di parlare d’altro se non di se stesso, le stigmate del suicidio mai troppo nascoste, fragile, infinitamente fragile, un dandy delicato malato di assoluto. Verlaine e Rimbaud nello zaino dei lunghi mesi in frontiera, si immagina poeta, è un poeta, a ventiquattro anni pubblica Interrogation, pagine giovani disseminate di quel cinismo che sarà suo compagno, ininterrottamente. «Mi sono rivolto a coloro che hanno il dono dell’inquietudine e verso di loro grido» scrive nelle sue poesie, centocinquanta copie e l’inizio di un lungo sanguinamento: Drieu sanguina, scrive con il sangue restituendo su carta l’uomo che è. Scrive e corre Drieu, consuma amori e sigarette, sfreccia in una vita veloce, senza cintura, marcia bassa e giri del motore al limite del cedimento, noncurante del rischio, del burrone dietro la curva, di quello che lascia su una strada che mai fu rettilineo. A ventiquattro anni sposa Colette Jeramec, sogna viaggi esotici e tutte quelle avventure sconsiderate, vuote nel significato quanto debilitanti, imprescindibili per chi, come lui, è predestinato allo schianto. È il 1920, ancora versi, Fond de Cantine: la seconda ed ultima raccolta di quel ballo lento e cadenzato che è la poesia, prima di dedicarsi al romanzo.
Sono les années folles di un sonnambulo nella notte illuminata a giorno, tra promesse surrealiste e stravaganze dada, Aldous Huxley, André Breton, Maurice Martin ed una profonda, controversa amicizia con Louis Aragon. È proprio quest’ultimo a presentargli l’eterno Alan di Fuoco Fatuo, Jacques Rigaut. La Rochelle subisce presto il fascino dissonante dell’amico, un legame profondo, complice ma con punte di abisso, fiammifero tanto più che albero, ciò che davvero lo affascina in Rigaut è il fatto che piacesse agli uomini quanto alle donne, anche a quelle donne a cui Drieu non piaceva affatto. Gonzague è Rigaut, Rigaut è Alan: La Rochelle restituisce per frammenti di specchio rotto il ritratto componibile dell’amico dada.
«Gonzague fallì, del resto, il suo lavoro, e fuggendo l’orrore in cui era impiegato, andò altrove, già disgustato da quello che avrebbe dovuto fare, posseduto da un’unica, assoluta smania: quella di passare da una cosa all’altra. Aveva imposto quello stile lunare, lunatico alla sua testa. Passava lunghi momenti dal parrucchiere, faceva la manicure e la pedicure, vagava negli hammam, nei bar, dove giocava, telefonava, beveva, telefonava ancora, intratteneva mille chiacchiere.  Pranzava e cenava a destra e a manca. Si prodigava in visite. Non che fosse prestante – era troppo pigro e troppo timido – ma sei o sette case in cui transitare almeno una volta ogni otto giorni sono utili a colmare la settimana».
Comprensione, distanza, compassione, ricreare l’amico dall’interno, identificarsi con lui, fino ad Addio a Gonzague la terribile lettera scritta dopo il suicidio di Rigaut nel 1929.
«Morire è ciò che potevi fare di più bello, di più forte, di più».
L’Homme couvert de femmes nel 1925, seguono, frenetici, Une femme à sa fenêtre, Le feu follet, Gilles, Beloukia…  Eppure, al netto di qualsiasi declinazione, di una ricca bibliografia, la vita di La Rochelle «può essere riassunta nella biografia delle donne che ha amato» citando Aragon in una intervista di Frédéric Grover.
Parigi è teatro di passioni tragiche e per Drieu, vulnerabile, oscuro, il tragico è casa. Innamorato dell’amore («preferisco l’amore alle innamorate») salta da un letto ad un altro, da una camera d’albergo, in cui brucia di dramma e tormento, à la maison di qualche prostituta, ristoro effimero e bugiardo per lo spirito. È circondato da donne ma irrimediabilmente solo, ossessionato dalla gelosia e dal paranoico senso di persecuzione che contraddistingue i suoi grandi amori, si avvelena di speranze che non nutre, è veggente nefasto, per se stesso quanto per gli altri, cerca all’esterno una salvezza illusoria, navigando a vista, col vento contrario, in un disordine interiore: la sua debolezza. Ma l’amore, lo sa bene, è un incidente che può prolungarsi.
Appena quarantenne pubblica Journal d’un homme trompé, diario del suo ricorrente alter ego Gille, un viaggio in Spagna per elaborare la delusione di un tradimento, un fantasma senza pace che scivola tra la folla rimuginando, logorandosi lentamente, facendosi domande a cui non c’è risposta diversa dal silenzio.
«E mentre le parlavo lei pensava, nella penombra della stanza, ad un altro […] Ama il piacere ch’essi le danno? Sì. Sì, all’inizio. Ne ha e ne ha avuto un immenso bisogno. Al pari di tutte le donne, ha atteso a lungo questo piacere; da quando lo ha trovato ne va in ricerca […] Ma alla fine, per che cose soffro? Per la menzogna.»
Il resto è politica: incoerente nelle sue idee aderisce al Parti populaire français per poi lasciarlo due anni dopo, collabora con Vichy, si avvicina alla Russia stalinista, sposa la causa fascista.
È il 1944 scrive il Journal d’un délicat sussurrando in una Parigi livida, ferita dalla guerra, la noia sfinita, i passi senza scampo di un uomo stanco. Tenta la morte che non gli obbedisce, la chiama, la cerca ancora come un’amica, non vuole funerali religiosi, nessun uomo sulla vettura a trasportare il cadavere, solo donne, così dice, blagueur, così chiede a testimonianza inesauribile di quello che è stato, perché la morte non basta.
Si uccide il 15 Marzo del 1945. Ingiusto dire si sia tolto la vita alla fine di una guerra che Drieu, collaborazionista, ha interamente percorso dalla parte sbagliata quando la distanza tra vivere e morire resta un fraintendimento, quando si gioca alla vita per distruggersi, per chi come lui ha amato, nelle contraddizioni, solo donne pronte ad abbandonarlo con il suo demone più spaventoso, il più lucido incubo, la solitudine. Lasciar solo lui, proprio lui, che il biglietto d’uscita lo conserva nella tasca destra della giacca da un pezzo, forse da sempre.

 

 

Di Mauro Massari

 

 


In copertina: Alberto Manfredi


 

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