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Speciale Premio Strega Poesia 2023: Vivian Lamarque, L’amore da vecchia (una rubrica a cura di Annachiara Atzei)

Sono entrata nel mondo letterario di Vivian Lamarque anni fa, acquistando la raccolta “Poesie 1972 – 2002” edita da Mondadori, nella mia libreria di fiducia. Da quel momento, ho cominciato a seguirla e a cercare di comprenderne i modi della scrittura che tocca temi complessi, come quello dell’abbandono, della perdita e dell’identità, con apparente leggerezza e inconfondibile sensibilità.
Ad un linguaggio semplice e a uno stile poetico lineare, però, non corrisponde un vissuto sempre altrettanto sereno. Lamarque (questo è il cognome coniugale), infatti – come è ormai noto – è nata a Tesero da madre valdese e all’età di nove mesi viene adottata da una famiglia cattolica di Milano. Questa frattura ha segnato la sua vita e i suoi versi che tuttavia non sono mai contaminati dal risentimento e dal giudizio. Ha scritto poesie e fiabe e si è occupata della traduzione di Prévert, Baudelaire, Valéry e La Fontaine. Inoltre, dal 1996 collabora con il Corriere della Sera e nel 2013 ha raccolto nel testo dal titolo Gentilmente Milano una selezione dei suoi articoli.
Il suo ultimo lavoro, L’amore da vecchia (Mondadori), al quale Poetarum Silva ha già doverosamente dedicato spazio, è tra i finalisti del Premio Strega Poesia 2023. Qui, emergono, con la grazia che contraddistingue la poetessa, il senso del ricordo e dell’immaginazione che, con la maturità, si fanno ancora più vivi e presenti.
Stavolta, la parola va a all’autrice che parla delle crepe dell’esistenza, della capacità di comprendere gli altri e, naturalmente, d’amore.


Il titolo del libro va dritto al punto. Inizio, quindi, proprio col chiederle: com’è l’amore da
vecchia?

È un amore diffuso. Rivolto alla foscoliana “bella d’erbe famiglia e d’animali”.
Amore non solo per uomini. Il libro è diviso in nove sezioni: ci sono Poesie con foglie, Poesie per gli Animali addormentati, Poesie Familiari (per la figlia Miryam e i nipoti Micol e Davide e per la mamma Maria Rosa, il padre Dante e molte altre). Poesie Cinematografiche (dedicate ai cinematografi milanesi che un tempo erano 133 e oggi 19) e Poesie Ferroviarie. E Poesie Autobiografiche e sull’ultima tappa che ci attende (ma è un tema che sfioro sorridendo) e Poesie sulla Poesia. Avrebbe dovuto esserci anche una sezione di Poesie Dedicate ma, come dico in una nota, il libro era già troppo affollato, come un tram nell’ora di punta. Aspetteranno il prossimo.

 

Vivian Lamarque, foto di Dino Ignani


Facciamo un passo indietro, alla sua infanzia: lei ha origini valdesi ed è stata adottata a nove mesi da una famiglia cattolica assai diversa da quella d’origine. In che modo questa vicenda influisce sulla sua scrittura? Poesia e autobiografia coincidono?

Tutta la mia vita e tutta la mia poesia ronzano come api lì attorno. Io biografico e io poetico si inseguono. Ho tentato invano di separarli. Ho iniziato persino a scrivere una storia della mia vita, pensando qui metto la storia e là, separate, resteranno le poesie. Invece, come nei versi andava sempre a infilarsi la storia, così ora nella storia cercano di imboscarsi i versi. Le adozioni sono tutte diverse. Nei modi, nei tempi (io non ero più una neonata, ero una quasi- bambina). A metà del secolo scorso, le adozioni nascondevano segreti e misteri. I bambini crescevano ignorando tutto e solo malamente, improvvisamente, drammaticamente – spesso già adulti – scoprivano la verità.
La mia fu anomala anche perché era una famiglia importante, abbiente, che abbandonava e una famiglia semplice, modesta, che adottava. Per di più il babbo adottivo – che mi adorava – morì dopo solo tre anni. Io ne avevo 4 e lui 34.

Lei vive a Milano, in un appartamento che si affaccia sopra otto corsie di autobus. Come mai questa scelta? Il rumore circostante e la scrittura possono conciliarsi?

Non su otto corsie di autobus, su otto corsie: anche di tram, di filovie, anche e soprattutto di automobili. E per fortuna, con tanti pedoni. Sono loro, le persone, che mi interessano. Anche a me disturbano alcuni rumori, ma non quelli stradali. Li vivo, come nel verso di Sandro Penna, come “il dolce rumore della vita”.
Mi disturba invece, per esempio, chi tiene alto il volume dei televisori e molto, moltissimo, in treno, le voci registrate che ricordano ai passeggeri questo e quello, continuamente, e per di più in due lingue. Se un viaggiatore disturba col suo cellulare gentilmente glielo segnalo e lui abbassa la voce. Invece contro le voci registrate non posso far nulla, mi disturbano la lettura, la scrittura, il bel guardare fuori dal finestrino.
I rumori stradali li vivo come un ronzio, un sottofondo (nonostante abiti al secondo piano e non abbia i doppi vetri!) e i clacson mi mettono addirittura allegria. Siamo un po’ matti noi poeti, vero? Quello che mi preoccupa è la qualità dell’aria che respiro. Come fumassi centinaia di sigarette.

La raccolta tratta il tema dello sfuggire del tempo, ma non è la prima volta che lei si confronta con questo argomento. Già ne Il signore d’oro, pubblicato nel 1986, scriveva: “Dai giorni della vita l’invecchiata mano magra chiamava la giovinezza…”. Cos’è cambiato da allora?

Sì, è un tema centrale per me. In tutti i miei libri ne trova l’eco. E non credo sia molto mutato negli anni. Ma ora, ottantenne o quasi, annaspo un po’ di più: …Come quando/ sul più bello del ricamo/ finisce il filo da ricamo?

Nei suoi versi, lei racconta anche delle sue crepe interiori, eppure si astiene sempre dal
giudizio. Come ci riesce?

Da giovani si giudica, da vecchi si comprende. E a questo proposito le vorrei ricordare la mia poesia a pag. 101 de L’Amore da vecchia, intitolata La cicatrice, che recita: “Che anche lei/ la cicatrice/ persino lei/ la cicatrice/ possa/ un giorno/ diventare/ quasi/ felice?”

Alla fine della lettura, l’impressione rimane quella di una grande leggerezza e vitalità. È questa la sua filosofia di vita?

La lievità, l’autoironia, una vista – pur da miope – cui non sfuggono neppure le più minute tra le
bellezze che ci circondano, sì, mi hanno molto aiutata ad attraversare i sentieri a volte impervi della vita.


Cinque poesie da “L’amore da vecchia” (Mondadori, 2022)

Sorr

Sarà per l’età la stagione
però com’è strano com’è
possibile, come, innamorarsi
di un nome?
di un nome?
di un nome.
Ma sotto c’è lui?
Un poco, una piuma leggera
metà, c’è il più
manca il ma.
Sapeste che bello il suo
nome che gioia un accento
e ogni tanto anche un wapp
con dentro metà di un paterno
sorriso, oggi un sorr
domani un iso
il paradiso.
*

Al mare

Al mare come era per amore nervosa.
Tutte le notti chiudeva nella doccia
l’orologio a muro per non sentire
sempre tic-tac tic-tac.
Poi un giorno basta fine
non le dava fastidi più.
Lo lasciò in pace appeso al suo bel muro
e da lì lui con le sue lancette
ora quieto le diceva dor-mi dor-mi
le chiudeva gli occhi e tac
lei si addormentava
*

Treno di dentro

Quando nel finestrino di notte nel treno
non vedi fuori vedi dentro
lo scompartimento, strani incontri
puoi fare con questa vecchina occhialuta
rotonda stupita che tiene in mano un’erbetta
nel frattempo appassita, che scrive
qualcosa di continuamente spezzato
che va sempre a capo e intanto rosicchia
che cosa? dita? noci ? matita? nel finestrino

si specchia, aggiusta frangetta, rosicchia
qualcosa rosicchia che cosa? dita?
matita? la vita?
*

Carta da ricalco

Sul vetro terso della finestra con carta-ricalco
e affilata matita di ricalcare lei tenta della vita
ogni singolo giorno non manchi un’alba all’appello
né un mezzogiorno.
Ben tesa la carta? Combaciano disegno
e contorno? Oh che non manchi quel minuto
quell’ora, che non manchi nessuna, che nel ricalco
non sposti la luna.
Che non si perda neppure lo spuntare del tram
da lontano, quel volo da quel ramo a quel
ramo, con le dita conto e riconto che non si perda
un secondo del mondo.
E con l’udito ricalca pompieri ambulanze sirene
e del merlo il fischiare e di Guappo giù in strada
l’educato sottovoce abbaiare
e il sottile righìo che sul vetro fa la matita
il dolce rumore, caro Sandro Penna, della vita.
*

Garzantina universale due

Sono una poetina di coccio
normale, su un carretto di poeti
di ferro, che male.
*

 

Speciale Premio Strega Poesia 2023
Una rubrica a cura di Annachiara Atzei

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