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Infinite quest: Introduzione alla meditazione – Intervista a Francesco D’Isa e Adriano Ercolani

Domanda e risposta: due entità complementari, eppure l’una genera l’altra, in un interscambio potenzialmente infinito, mai esausto, mai uguale a se stesso. La sintesi dell’incontro, il binomio preferito della conoscenza. E della curiosità. “Intervista” è solo il nome che ne racchiude l’atto e l’intenzione ma, in questa rubrica, protagonista sarà il dialogo – l’incontro – lo scambio. 
Esseri umani che hanno una visione e che si sono imbattuti nel proprio labirinto personale. Perdersi significa anche attraversarlo. E magari raccontarlo.
Creatività, arte, progetti, riflessioni, esperienze e uno sguardo rivolto al futuro, in quell’orizzonte  magnetico che è la parola.

Giulia Bocchio

 


La prima volta che ho sentito parlare di meditazione ero alle elementari e una maestra che sostituiva un’altra maestra, in un’ora di supplenza, ci propose un esercizio strano in palestra. Insolito per noi: seduti per terra, a gambe incrociate, dovevamo tenere gli occhi rigorosamente chiusi e ascoltare il suo racconto. E provare a immaginarci dentro. Il silenzio doveva essere assoluto, ambizione vera in una classe di bambine e bambini di circa nove anni.
Ha cominciato a intavolare la descrizione di uno spazio aperto, libero, naturale ecc… affascinante, eppure, dopo pochi minuti il desiderio di aprire gli occhi e sbirciare, su di me, ebbe la meglio. C’era anche la curiosità di verificare cosa stessero facendo gli altri, vedere le loro smorfie, la loro posizione. E così scoprii che la maestra stessa, nel condurci verso questo giocoso stato trascendentale, teneva gli occhi ben aperti.

Oggi anche la spiritualità ha un suo mercato e all’interno c’è un po’ di tutto, non è facile orientarsi, ma è fondamentale riconoscere che la meditazione ha un valore filosofico che non si riduce a pratiche influenzate dalle mode del momento. D’altra parte la nostra cultura occidentale influenza profondamente la comprensione, l’accesso e le modalità relative alle pratiche meditative. Non solo la società della performance ha un’indole cannibalica nei confronti del tempo – che in quest’ottica assume i connotati dell’immediatezza, della produttività, di un perenne stato attivazione dell’io e dell’ego – ma riscoprire una dimensione spirituale, legata a insegnamenti millenari è altrettanto labirintico. Richiede, in certi casi, il dissolvimento dell’identità individuale. Potrebbe non bastare un’intera esistenza: se non avete mai meditato e se non ne sapete nulla di meditazione, questo libro può offrirvi strumenti utili per iniziare a districarvi fra le diverse tradizioni spirituali o le numerose scuole: è un percorso complesso, un mosaico di culture, letture e pratiche potenzialmente illuminanti o fallimentari. Dipende. C’è anche chi (un certo Carrère) ha scritto un libro su come non riuscire fare Yoga.
Non è il caso di Francesco D’Isa e Adriano Ercolani che,  nella loro Introduzione alla meditazione (Edizioni Tlon), con grande chiarezza espositiva, tracciano un potenziale sentiero…

 

 

 


Francesco, Adriano bentrovati. Introduzione alla meditazione è un libro che sceglie una limpida sintesi per tentare di fare ordine intorno a pratiche e saperi molto complessi e che hanno origini lontane nel tempo e nello spazio. Come nasce l’idea di scrivere questo testo a quattro mani?

Francesco D’Isa: La nostra idea è nata da una sintesi di due esperienze. In primo luogo, il nostro rapporto con Edizioni Tlon: la casa editrice ha tra le sue missioni quella di rendere accessibili i concetti filosofici a un pubblico più ampio e dato che conoscevano il nostro impegno nel campo della meditazione ci hanno fornito lo spunto per farne un libro. In secondo luogo, i nostri webinar di filosofia della meditazione con Daniele Capuano ci hanno fatto capire quanto questa richiesta fosse presente. Lavorando con il pubblico abbiamo potuto affinare la nostra capacità di trasmettere idee complesse in un formato accessibile, il che ha indubbiamente influenzato l’approccio che abbiamo adottato per il nostro progetto. Sulla base di queste esperienze, abbiamo capito che poteva servire un testo che potesse far comprendere a chiunque le radici filosofiche della prassi meditativa, così come le sue somiglianze e differenze in base ai tanti contesti culturali in cui si è sviluppata.

Adriano Ercolani: Come ha detto Francesco, il libro è scaturito dalla comune collaborazione con Edizioni Tlon e dall’esperienza condivisa dei webinar con Daniele Capuano. Non a caso, una settimana dopo il nostro Introduzione alla meditazione, per gli stessi tipi, è uscito Introduzione all’esicasmo di Capuano, che è una sorta di testo speculare e complementare al nostro: noi partiamo da una riflessione generale, da uno sguardo panoramico per poi dedicarci nei singoli capitoli agli aspetti particolari dell’esperienza meditativa nelle diverse tradizioni; Daniele, al contrario, parte da una tecnica peculiare come l’esicasmo per poi allargare, grazie alla sua sterminata erudizione e alla sua spiccata intelligenza filosofica, il discorso a una riflessione universale, accostando la pratica diffusa nella tradizione cristiana ortodossa, ad esempio, all’Advaita Vedānta e al Sufismo. Colgo l’occasione per ringraziare Matteo Trevisani, all’epoca editor di Edizioni Tlon, per averci offerto l’opportunità di scrivere questi testi.

Meditazione, yoga, Zen: sono termini che l’immaginario della nostra società occidentale ha interiorizzato, ma che vengono citati all’interno di contesti e orizzonti di senso surrettizi, che il mercato, spesso, ci vende. Ma non si tratta semplicemente di corsi o prodotti.
Ci sono persone che praticano determinate discipline senza conoscere nulla delle stesse, questo perché sono trasversali, ramificate, ibride. Richiedono studio, dedizione, tempo. L’attitudine alla conoscenza – e al pensiero filosofico – è già una forma di meditazione?

FD: Hai perfettamente ragione, termini come meditazione, yoga e Zen sono entrati nel linguaggio comune della società occidentale, ma spesso vengono utilizzati in un modo molto superficiale e consumistico. Tuttavia è importante ricordare che non si tratta semplicemente di corsi o prodotti: si tratta di pratiche e discipline profonde che richiedono molto impegno, pratico ma soprattutto esistenziale. Quando guardiamo indietro nella storia della filosofia occidentale, scopriamo che la meditazione è sempre stata intimamente legata alla pratica filosofica. Basti pensare agli esercizi spirituali dei pitagorici, agli scettici antichi, ai misteri eleusini, a Plotino o alle varie forme di meditazione praticate dai filosofi cristiani. Queste erano tutte pratiche che univano la riflessione filosofica e la meditazione. Con il nostro lavoro, abbiamo cercato di riportare queste pratiche alla loro radice, eliminando la patina consumista con cui sono spesso presentate nella nostra società. Non vogliamo che la meditazione sia vista come un prodotto esotico da consumare, ma come una pratica profonda e significativa che fa parte del patrimonio culturale sia dell’Occidente che dell’Oriente.

AE: Gli occidentali hanno aperto i testi di yoga, hanno visto le figure e hanno ridotto il vertice di una vera e propria civiltà spirituale ad una alternativa più impegnativa ed esotica rispetto al pilates e a zumba. Zen ormai è diventato, in un paradossale capovolgimento del suo significato, il nome di ristoranti “all you can eat”, la “meditazione” ormai viene messa ovunque, come un prezzemolo dalle virtù d’una panacea per tutti i mali: dai problemi di coppia all’incapacità di chiudere una vendita, dalla scarsa lucidità di un tennista sotto rete a disfunzioni nell’intimità. Parliamo, invece, di un’esperienza che è al fondamento della cultura umana, anche occidentale: i grandi capolavori iconici della “nostra” identità, dalla Cappella Sistina alla Divina Commedia, dalla Venere di Botticelli al Faust di Goethe, in maniera diversa mostrano allegoricamente il percorso di ascesa e trasformazione interiore del meditante, il famoso Viaggio dell’Eroe, studiato da Joseph Campbell e codificato da Chris Vogler, che è alla base non solo di tutti i classici della letteratura sacra, e non, ma anche di tutti i blockbuster della storia hollywoodiana. Pierre Hadot, Peter Kinglsey, il grande Giorgio Colli hanno studiato e illustrato ampiamente come le radici della filosofia occidentale affondino nello stesso humus sapienziale da dove sono fiorite, lungo i secoli, le tradizioni del Taoismo, dello Yoga, della Qabbalah, del Sufismo.

Meditazione, Occidente e società della performance: quest’ultima, lo sappiamo bene, ha fretta. Oggi quasi tutto è immediatezza, like, commercializzazione. Lavoro e relazioni sono due corsie di sorpasso che consumano il silenzio e il tempo da dedicare autenticamente a se stessi e alla propria salute. All’interno del libro c’è un passaggio lapidario di Francesco: l’essenza dell’insegnamento di Siddhārtha Gautama è che la vita fa schifo, almeno finché non si scopre attraverso la meditazione che lo schifo non esiste.
Dal momento che la prima delle quattro nobili verità scoperte Siddhārtha Gautama è la sofferenza e che la sofferenza è causata dalla brama, dall’incessante desiderio, raggiungere la retta visione significa (anche) slegarsi dal proprio io confusionario: un percorso complesso, specie all’interno del contesto culturale nel quale annaspiamo. La cultura influenza il modo in cui meditiamo?

FD: La nostra società della performance, come la definisci, è caratterizzata da un’incessante ricerca di immediatezza, velocità e gratificazione istantanea. In questo contesto, il tempo dedicato al silenzio, alla riflessione e alla cura di sé può sembrare un lusso che pochi possono permettersi. Eppure, è solo in questi momenti di quiete e introspezione che “non sprechiamo tempo”. In effetti la meditazione può essere vista come un viaggio attraverso il quale capovolgiamo la nostra visione del mondo. Invece di vedere l’io come il bene supremo, ad esempio, lo riconosciamo come una delle illusioni più ingannevoli e dannose. Questo richiede un grande sforzo ed è un processo che può essere molto impegnativo, soprattutto nel contesto culturale in cui viviamo. Dobbiamo anche affrontare il problema del dolore, che a mio parere (Camus mi benedica) è uno dei problemi filosofici più importanti. La meditazione è la risposta migliore al dolore che abbia mai trovato, sebbene non ne possa comunque giustificare l’esistenza. La cultura influenza senza dubbio il modo in cui meditiamo e come interpretiamo i frutti della meditazione. Ma penso anche io con la filosofia perenne che ci sia una porzione universale nel processo meditativo, che trascende le particolari tradizioni culturali o religiose.

AE: Mi fa piacere che citi una definizione che dà il titolo al libro, forse, più noto dei nostri editori, Maura Gancitano e Andrea Colamedici. La meditazione per me non è una tecnica, una dottrina, uno strumento: è uno stato, una dimensione interiore. Tutto ciò che descrivi (la società della performance, i social, l’astinenza dopaminica da like etc.) coinvolge, seduce, eccita, inganna il nostro ego, ne è proprio in un certo senso il regno e l’emanazione. Consentimi di citare un passo di Ramana Maharshi, luminoso esponente dell’Advaita Vedanta nel Novecento: “L’individualità che identifica la sua esistenza con quella della vita del corpo fisico come ‘Io’ si chiama ‘ego’. Il Sé, che è pura Consapevolezza, non ha senso dell’ego. Né il corpo fisico, che in sé è inerte, ha il suo senso dell’ego. Tra i due, cioè tra il Sé o Pura Consapevolezza e il corpo fisico inerte, sorge misteriosamente il senso dell’ego o ‘nozione dell’Io’, l’ibrido che non è nessuno dei due, e che fiorisce come entità individuale. L’ego, o essere individuale, è alla radice di tutto ciò che è futile e indesiderabile nella vita, perciò deve essere distrutto con tutti i mezzi possibili. Allora resterà risplendente solamente Ciò che sempre è. Questa è la Liberazione o Illuminazione o Realizzazione del Sé”.

La meditazione è un evento interiore, esattamente come la percezione del dolore. Qual è il loro rapporto, quanto l’una può influenzare l’altro e qual è la vostra esperienza personale? 

FD: Da un punto di vista personale, posso dire che la meditazione è stata per me la risposta più efficace e significativa al dolore. Filosofica, perché ti permette di rileggerlo con uno sguardo senza occhi: se cerchi di abitare al di là del bene e del male, che sono i nostri più grandi filtri sull’immensità della realtà, non vi troverai il dolore. Ma la meditazione è anche e soprattutto una risposta pratica alla sofferenza, perché ci fornisce gli strumenti per gestirlo. Attraverso la meditazione possiamo imparare a osservare il dolore senza giudizio, ad accettarlo come qualunque altro elemento dello spettacolo del mondo. Purtroppo però non elimina l’ospite sgradito dal banchetto universale: per me il dolore rimarrà sempre l’unica porzione inaccettabile di infinito. Ma grazie alla meditazione, possiamo imparare a conviverci, e a non aver paura – anzi gioire – della prospettiva di una sua inevitabile fine.

AE: Come sa chiunque conosca la mia storia personale, ho avuto la benedizione di vivere accanto a una donna straordinaria, la cui esistenza terrena è stata precocemente interrotta da una malattia incurabile, ma il cui esempio spirituale permane sempiterno nella memoria di chiunque l’abbia conosciuta. Melissa meditava da quando era nata, sostanzialmente, seguendo gli insegnamenti del guru indiano Shri Mataji Nirmala Devi: il modo con cui ha affrontato le complicazioni devastanti della patologia, l’elegante sprezzatura, l’ironia, l’entusiasmo per la vita e insieme il distacco supremo, sono stati rimaste talmente impresse in chi l’ha conosciuta che ho sentito il richiamo a condividere alcuni aneddoti accaduti nei suoi ultimi giorni, in un contesto apparentemente inopportuno come i social. Ebbene, nonostante la straniante omologazione del contenitore che tutto mescola e appiattisce, quei racconti sono in qualche modo usciti dal flusso e, come fossero frammenti dell’agiografia di un bodhisattva, hanno avuto un effetto terapeutico su diverse persone: conservo diverse testimonianze di persone la cui vita è stata trasformata dalla semplice lettura di quelle storie: chi è uscito dalla depressione, chi ha deposto propositi suicidi. Ecco, credo questa sia l’evidenza del potere trasformativo dell’esperienza meditativa, in grado di sublimare il dolore più cieco e insensato in un’esperienza di trasformazione fino al distacco e al conseguimento della pace interiore, con uno splendore così intenso da poter illuminare anche la vita degli altri.

 

Infinite quest, una rubrica a cura di Giulia Bocchio

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