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Come governare una società di corpi liberi?: Dysphoria Mundi, Paul B. Preciado (di Omar Suboh)

«Come creare un’illusione di libertà», scrive Paul Preciado parafrasando Foucault, «in una società tesa a massimizzare la produzione, il consumo e l’accesso al piacere? La risposta è la fabbricazione di una soggettività dipendente e depoliticizzata».
Il nodo teoretico su cui si avvitano le 579 pagine di questa opera monumentale, come ha affermato Judith Butler, potrebbe essere riassunto in questa citazione: Come governare una società di corpi liberi? 

Partiamo da un presupposto filosofico ineludibile: la disforia di genere è la condizione epistemico–politica–planetaria della contemporaneità, intesa come patologia psichiatrica di una epoca intera, dalle origini della sua prima diagnosi all’inizio del XX secolo da parte degli psichiatri tedeschi Emil Kraepelin e Eugen Bleuler; il termine dysphoria nasce dall’ibridazione del prefisso dys–, la negazione, e dall’aggettivo phoros, che rimanda al verbo trasferire – come nella parola metaphora è possibile ritrovare lo stesso aggettivo –.  L’idea che suggerisce è quella di un carico impossibile da sostenere, qualcosa da rilasciare, e che, per equazione in ambito psichiatrico, rimanda a un disturbo dell’umore invalidante, al punto tale da rendere la vita quotidiana insostenibile.
Da questa iniziale genealogia prende avvio Dysphoria Mundi (Fandango, 2023), il cui titolo esplicita ancora di più la patologia dei nostri tempi, una malattia planetaria che necessita di essere diagnosticata per essere curata e, di conseguenza, superata attraverso un cambiamento di paradigma radicale – il cui programma viene lentamente illustrato nel corso dell’opera, in una commistione e attraversamento continuo di tutti i generi della scrittura: dal diario al memoir, alla poesia e la narrazione autobiografica, al manifesto politico e programmatico, la filosofia e la sociologia, per approdare a un definitivo superamento di tutti i generi: la cui espressione scelta da Preciado è Ibridazione antidisciplinare: «Un libro in transizione, che si sottrae a ogni genere letterario o saggistico prestabilito», o ancora: «un quaderno filosofico–somatico».
La questione dei corpi in mutazione, delle loro ibridazioni macchiniche, delle categorie con cui siamo stati educati dal principio a oggi rivelatesi dannose, strumentali, incapaci di imbrigliare il mondo nella morsa del concetto: è la base da cui partire. La logica occidentale riconduce ogni gesto e ogni azione a principi di causa ed effetto – erede della logica aristotelica –, ma è qui che, alla luce dei tempi, il mostro rivela il suo vero aspetto: la pandemia di Covid–19 è il vaso di Pandora che ha scoperchiato, una volta per tutte, il volto autentico di quello che l’autore chiama sistema petrosessorazziale – laddove con queste tre parole contenute in una, si inseriscono le principali dinamiche di potere che hanno guidato la storia della civiltà dalla prima apparizione del capitalismo mondiale a oggi, ovvero lo sfruttamento sistematico delle risorse del pianeta, e quello dei corpi razzializzati e sessualizzati: la struttura intrinsecamente connessa di tutte le forme di oppressione –.

 

 

L’autore ci accompagna in un viaggio volto alla transizione epistemica – Preciado, all’inizio del libro, ci racconta della sua terapia, del patentino di disforia diagnosticata, per ottenere la modifica dei suoi documenti anagrafici, passando da Beatriz a Paul, con tanto di riferimenti precisi alla cura ormonale intrapresa e al monitoraggio clinico a cui è sottoposto –, intesa come stravolgimento di tutti i paradigmi scientifici e politici che hanno consentito sino a oggi di governare i corpi, architettando una soggettività costitutivamente sfruttabile dai governi e dal mercato, l’edificazione di una barriera indissolubile basata sul dominio del patriarcato nazionalista, bianco ed eterosessuale come le due coordinate principali entro cui normativizzare l’intero spettro individuale e collettivo, destituendo di fatto ogni comunità della sua funzione cooperativa e diplomatica.
L’età moderna, partendo dalla lettura dell’AntiEdipo di Gilles Deleuze e Felix Guattari, prima dell’avvento dell’ideologia neoliberista, era essenzialmente fondata, per gli autori, sul fordismo, e marcatamente schizofrenica; lo slittamento semantico e semiologico a cui siamo andati incontro ci ha proiettato in un’ epoca che l’autore chiama neoliberalismo cibernetico e farmacopornografico: essenzialmente disforico. Tra le prime motivazioni per cui Preciado insiste sulla questione della farmacologia – tema centrale dell’opera, che costituirà l’ossatura principale, occupando tutto il blocco del quinto capitolo dei sette complessivi (il più lungo), con ampie digressioni intorno alle questioni più urgenti e assillanti della nostra attualità –, perché essa è erede della sistematizzazione della psichiatria e della psicanalisi novecentesca, al punto tale che oggi chi non accetta di sottoporsi ai trattamenti farmacologici è considerato come homeless polidipendente, gli stessi che stigmatizzano ogni categoria emarginata ma, al contempo, amplificano qualsiasi godimento possibile rendendolo accessibile in ogni momento – e qui ritroviamo l’altro passaggio epocale, il passaggio definitivo dall’era analogica a quella digitale –.  

Se con Mark Fisher avevamo appreso che il capitalismo non è l’unico mondo possibile, inteso come pura realtà le cui alternative sono impossibili anche solo da immaginare, Preciado si inserisce in una continuità semiotica con il filosofo per ampliare il discorso a tutte le forme di potere esistenti e gettare le basi per un suo superamento onnicomprensivo.
L’estetica petrosessorazziale ha imposto le sue forme di organizzazione politica e sociale attraverso una serie di dispositivi tecnologici, sempre più all’avanguardia con il progredire delle scoperte scientifiche, a partire dal Seicento: il capitalismo coloniale e il connubio stretto con la combustione di energie fossili altamente inquinanti sfruttate senza pietà. Per Preciado a essere governata, e di conseguenza sfruttata, è la coscienza stessa delle personə – ma non solo, l’attenzione per gli animali, la dissidenza contro ogni forma di allevamento intensivo ecc., sono alcuni dei tanti argomenti analizzati dall’autore –, ingabbiate nel binarismo di genere e di coppia, all’interno di una cornice le cui tecnologie di produzione della coscienza sono fabbricate da una comunità di pochissimi privi di ogni rappresentanza – «Vale più un cazzo di mille fighe», scrive Preciado alternando le analisi ballardiane a quelle di Rocco Siffredi –. Il capitalismo del carbone, e del suo sfruttamento, consiste tutto nella estrazione e capitalizzazione del consumo di combustibili fossili – idrocarburi ad alto tasso di carbonio, come il petrolio –, gli inquinanti chimici sono dotati di una carica tossica tale da non poter essere smaltita nell’arco della vita e di una generazione umana intera, in quanto è un tempo che eccede la scala biologica della specie, la quale sembra destinata a disintegrarsi irreversibilmente. La naturalizzazione dei veleni, l’estetizzazione dell’inquinamento: «A Wuhan l’aria era irrespirabile ben prima che comparisse il virus». 

La pandemia di Covid–19 ha impresso una svolta neoconservatrice mondiale, imponendo un nuovo regime climatico e somatopolitico – altra categoria importante per Preciado, la somateca come «corpo e psiche, da intendersi non come dati naturali ma come costruzioni storiche, insieme alle loro estensioni culturali e tecnologiche» –. Il controllo dei corpi viventi, la biopolitica di foucaultiana memoria, legata ineludibilmente alla dimensione culturale e politica sempre determinata dal genere – la questione sessuale è imprescindibile dall’ordine del discorso, tutt’altro che relegata alle aspirazioni di una comunità come quella LGBTQIA+, ma che riguarda tuttə –. Appropriazione dei corpi e i grandi temi ecologisti e femministi da parte di ampie categorie di potere sono stati capitalizzati, facendo leva anche sul bisogno di riconoscimento dei più elementari diritti civili, innescando un motore irrefrenabile di dipendenze farmacologiche e di sostanze di varia natura: passando dagli psicofarmaci alle droghe, alla pornografia e ai web junkies – i drogati del web, dove in Cina sono stati costruiti degli appositi campi di disintossicazione dalla eroina digitale, i cui effetti sono ormai provati, in quanto producono sulla chimica del cervello effetti di dipendenza identici a quelli delle sostanze –.
La metafora del virus attraversa tutto il testo, così come William Burroughs teorizza in Playback from Eden to Watergate che il linguaggio stesso sia un virus. L’alfabeto, la scrittura, il tempo articolato è un virus che ha infettato il nostro corpo: il linguaggio è materia plastica e organica, transita dal corpo alle macchine e viceversa: la scrittura è infezione, contaminazione della macchina morbida (soft machine) – espressione con cui Burroughs denota il corpo umano –, e l’unico modo per uscirne per lo scrittore statunitense è possibile attraverso le pratiche meditative e all’assunzione di pelote e ayahuasca per «fermare la macchina da scrivere». Perché un nuovo tempo ha inizio ogni volta quando il linguaggio partorisce parole mai pronunciate prima. 

Se ogni elemento è in relazione tra il soggetto e il potere, anche un evento come l’incendio alla cattedrale di Notre–Dame a Parigi può essere letto attraverso la lente di ingrandimento del filosofo che scorge le rovine del proprio tempo e si appresta a costruire il futuro dalla catastrofe: «Facciamo delle sue rovine un monumento punk, l’ultimo di un secolo che finisce il primo di un secolo che inizia», ovvero: quello decisivo, segnato dall’esplosione di una pandemia che modificherà le abitudini di chiunque, tra cui Preciado stesso, costretto a letto e malato a Parigi.
Proustianamente, l’autore ripercorre alcune delle sue relazioni più importanti, soffermandosi sulle biblioteche condivise per esempio, passando in rassegna i vari autori letti, quelli  amati e quelli odiati – «una biblioteca è una biografia scritta con parole altrui», oppure: la biblioteca è «una protesi testuale dellə lettorə» –; ed è così che si imbatte nelle parole del filosofo Günther Anders, autore atipico, marito di Hannah Arendt, volato in Giappone per assistere a un congresso sulla bomba H, che redigerà un diario importante per Preciado, considerato come una mappa per orientarsi nel presente –«Hiroshima, dice Anders, non designa una città, ma lo stato del mondo» –, e trarrà da lui la lezione per cui il compito della filosofia oggi è mettere in chiaro le conseguenze a cui stiamo andando incontro sulla base della «specializzazione tecnologica al servizio della dominazione, della distruzione e della morte».
Arrestare la macchina della violenza è l’unica cosa che conta. Hiroshima è una apocalisse già avvenuta. Quello che la pandemia da Covid–19 ha alimentato sono le nuove pratiche di potere che hanno sancito lo stato di eccezione permanente come la nuova normalità accettata, e l’espulsione dalla communitas per chi non si sottoponeva alle rigide norme di controllo che hanno condotto al tracciamento dei corpi, al patentino digitale,  al confinamento, alla quarantena a priori, a una nuova necrobiopolitica come tecnologia della morte. Ma non solo, la sua gestione ha generato una crisi generale e più profonda delle «infrastrutture della coscienza, della percezione, del senso e della significazione del mondo».
Come scrive Preciado, «Wuhan è una Černobyl disabitata dopo un’esplosione virale», dove il mondo reale coincide con quello virtuale, l’irrealtà acquisita – in questa direzione è suggestivo il racconto dell’assalto di Capital Hill di Jake Angeli, guida del movimento complottista QAnon, la cui «saturazione semiotica» ha coinciso con la sovrapposizione tra loro di simbolismi mai visti insieme, come quelli del paganesimo pop vichingo precristiano e delle tradizioni del fascismo europeo; un golpe che l’autore definisce digitale, in quanto «il suo obiettivo non era tanto la presa del potere, quanto la creazione di una immagine, di un meme, del video TikTok di una bravata ripresa in verticale e andata a finire male» – e la mutazione epistemico–politica investe il rapporto che intercorre tra malattia e transizione di tutte le forme di potere esistenti. Se l’AIDS fu la prima pandemia televisiva della storia, fu anche il laboratorio mondiale per testare farmaci rivenduti a caro prezzo come l’Azt – considerato il trattamento più costoso nella storia della farmacologia –, per cifre che si aggiravano dagli otto ai diecimila dollari –, e di come i governi trasalirono sull’importanza del libero accesso alle cure perché investiva principalmente categorie già discriminate in partenza. I virus sospingono l’ontologia della modernità verso quello che Derrida ha definito spettrologia, o hauntology nella riformulazione fisheriana.
La questione dell’identità è l’altra colonna portante dell’intero libro, che viene ripercorsa attraverso la critica serrata di alcune forme di neoconservatorismo che affermano la volontà di normalizzare socialmente la transidentità, senza mettere in discussione l’attuale sistema egemonico di potere. I patriarcalisti antigender, che vorrebbero affermare l’immutabilità biologica del genere, contrapposti agli anarcomutanti che affermano, invece, l’impossibilità di ridurre la soggettività e il desiderio alle categorie binarie della mascolinità o della femminilità, eterosessuale o omosessuale. Basti pensare al movimento denominato Terf, espressione di un femminismo che si oppone all’identità trans.
Per Preciado è necessario attingere a un linguaggio nuovo, lo stesso dei mudra della tradizione buddista – eseguiti con mani e piedi, la cui funzione è quella di attrarre la benevolenza e scacciare la paura, per avvicinarsi all’illuminazione –, intesi come «collezione di gesti proibiti i cui movimenti del corpo escono dalla coreografia sociale prestabilita». In questa direzione è necessario orientare tutte le energie per rovesciare la piramide dei rapporti di potere esistenti, perché il sapere è potere, e trasferire dall’ordine verticale delle società neoliberiste a una nuova configurazione orizzontale e virale di questo sapere non gerarchizzato è l’unica rivoluzione possibile: attraverso alcune pratiche che Preciado individua nella prospettiva transecofemminista e decoloniale: «La rivoluzione che avanza non negozierà quote di rappresentanza o gradi di oppressione. L’intersezionalità non può tradursi banalmente in una somma di identità subalterne. L’intersezionalità è un progetto di emancipazione postidentitario», il quale presuppone una emancipazione cognitiva dalle categorie dominanti – tra cui l’autore si richiama alla pratica del Autobiohackeraggio, ovvero il cambiamento della propria struttura cognitiva – avverso alla narrazione storica egemone, contro ogni fascismo e contro il cosiddetto femminismo naturalista. Ma affinché tutto questo avvenga è necessario ricostruire quelle reti andate perse, delineare rappresentazioni alternative, abolire ogni forma di violenza istituzionalizzata. Le istituzioni, ormai trasformate in vampiri, sono organi del dispositivo petrosessorazziale a cui è necessario opporsi, ed è con una lettera di speranza e di invito alla costruzione del nuovo presente che Preciado conclude questo viaggio, auspicando che ognun ritrovi in sé lo stesso spirito di Günther Anders: quello di rimanere bambinə di proposito, raggiunta la consapevolezza che ormai siamo abbastanza maturi per unirci a loro.       

 

Di Omar Suboh

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