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Il demone dell’analogia #74: Incontrarsi e dirsi addio

«Una strana amicizia, i libri hanno una strana amicizia l’uno per l’altro. Se li chiudiamo nella mente di una persona bene educata (un critico è soltanto questo), lì al chiuso, al caldo, serrati, provano un’allegria, una felicità come noi, esseri umani, non abbiamo mai conosciuto. Scoprono di assomigliarsi l’un l’altro. E ognuno di loro lancia frecce, bagliori di gioia verso gli altri libri che sembrano (e sono e non sono) simili. Così la mente che li raccoglie è gremita di lampi, di analogie, di rapporti, di corti circuiti, che finiscono per traboccare. La buona critica letteraria non è altro che questo: la scoperta della gioia dei libri che si assomigliano».
Mario Praz

Collage digitale by Dina Carruozzo Nazzaro

 

La nostra sorte non può essere cambiata: ecco perché ci muoviamo come ciechi nelle tenebre, affrontando i sentieri dei sensi e i labirinti della mente, senza nemmeno cercarci l’un l’altro. E quando ci incontriamo in qualche luogo e crediamo che ciò sia dovuto al caso, nel nostro animo balena una luce e scopriamo la verità. Eppure accade che, in qualche occasione, ci si debba lasciare nel volgere di pochi attimi. La ricerca è stata vana: il fato ci ha riservato una strada che porta a una meta dove si può soltanto incontrarsi e dirsi addio.

Da Incontrarsi e dirsi addio di Ferenc Körmendi (trad. di S. Gigante)

Ricordo il contesto di questi versi. A Parigi, seduta da sola alla terrazza di una brasserie della Butte aux Cailles, un calice di Sauternes, i miei occhi fissi su una giovane donna sulla trentina, i capelli castani appoggiati alle spalle, la bocca a cuore con quelle striature impercettibili che danno volume e voluttà, stivaletti bianchi al polpaccio, la mente persa tra le pagine di una rivista di moda. Qualche incrocio di sguardi imbarazzati, un paio di sorrisi da bambine colte con le dita nel boccale della Nutella. E poi il mio MacBook che si apre come la valva di una conchiglia metallica e io che cerco di fotografare l’emozione con le parole. E domande, tante domande, sui grembiuli a quadretti rosa o azzurri, sui gusti, sull’orientamento.
Non quello professionale.
*
Per un po’ sì

Le donne vanno oltre la mia comprensione.
Camminano tronfie come se portassero figli e grandi notizie.
Sono nata orfana, per scelta,
e rifiuto di essere guidata da una cosa inutile
come la necessità.
Scrivendo di me riesumo il mio cadavere,
così come l’ho lasciato, sull’argine di uno sfizio.
Vorrei una vita più nostra,
una gondola lunga dall’Adriatico all’Atlantico
e poi la tregua, nel marciume di una rimessa.
(intervallo)
Ho strappato ali di farfalla e antenne di cerambice
per amore del furto e delle tinte cangianti.
Nelle piazze, negli alveari

ho tentato di fallire, con tutta me stessa,
incapace di simulare interesse per le cose vive.
Un orrore tonificante, l’alcol al mio fianco
l’aria di chi ha dimenticato da cosa scappa.
Temo di non essere aggiornata sulla felicità,
preferisco lo scompiglio dell’erba,
il dramma orario delle effimere.
Custodisco incidenti
nella madia dove i miracoli,
in mia assenza, lievitano.

Da Plagiarsi addosso di Gabriella Montanari (preceduta da prosa poetica inedita della stessa autrice)

Multas per gentes et multa per aequora uectus
Aduenio has miseras, frater, ad inferias,
Vt te postremo donarem munere mortis
Et mutam nequiquam adloquerer cinerem,
Quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum,
Heu miser indigne frater adempte mihi.
Nunc tamen interea haec, prisco quae more parentum
Tradita sunt tristi munere ad inferias,
Accipe fraterno multum manantia fletu
Atque in perpetuum, frater, ave atque uale.

Dopo aver traversato tante terre e tanti mari,
eccomi, con queste povere offerte agli dèi sotterranei,
estremo dono di morte per te, fratello,
e a dire vane parole alla tua cenere muta,
perché te, proprio te, la sorte m’ha portato via,
o infelice fratello, strappato a me così crudelmente.
Ma ora, così come sono, accetta queste offerte
bagnate di molto pianto fraterno:
le porto seguendo l’antica usanza degli avi,
come dolente dono agli dèi sotterranei.
E ti saluto per sempre, fratello, addio!

Da Carmi di Catullo (traduzione di S. Quasimodo)

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