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La familiarità della disperazione nel Kentucky di Chris Offutt (di Alice Pisu)

 

“La cosa più preziosa che ho sono un paio di stivali da cowboy di pelle di struzzo accanto al letto. Quel poco che ho me lo tengo vicino perché questa casa non mi convince”.

Nel racconto che apre Di seconda mano (trad. Roberto Serrai, minimum fax), Chris Offutt usa la prospettiva di una trentenne che mette in fila i propri fallimenti per tracciare un sommesso desiderio di redenzione. Disposta a tutto, anche a lasciare scalza il banco dei pegni pur di far contenta la figlia del suo compagno, la donna sente la propria esistenza di seconda mano come quella bicicletta comprata cedendo la sola cosa di valore che aveva. Il significato della perdita è reso nel dettaglio di oggetti dimenticati, abbandonati in una casa infestata dallo spettro di un matrimonio fallito, o lasciati in un luogo di disperate compravendite tra sogni infranti e speranze recise, “come una cappella prima dell’esecuzione”. Nei racconti brevi rimasti sino ad ora inediti anche negli Stati Uniti, Chris Offutt immortala esistenze alla deriva, disperate, incapaci di credere in un riscatto perché annientate dagli eventi e sovrastate dall’ineluttabile. Originario di Lexington, Kentucky, incluso da Granta tra i venti migliori narratori delle ultime generazioni e insignito nel 1996 del Whiting Award per la narrativa e la saggistica, Offutt inizia a essere amato dai lettori italiani con i libri di racconti Nelle terre di nessuno e A casa e ritorno, a cui seguiranno i romanzi Country Dark, Il fratello buono e il memoir Mio padre, il pornografo, tutti editi da minimum fax. La dimensione dell’infanzia nell’intera produzione narrativa e memoriale di Offutt si rivela lo scenario primario di violenza. Le immagini di soprusi in una scuola elementare in pietra calcarea tra due colline ripide definiscono uno degli aspetti centrali nell’indagine dell’autore: il racconto dell’assenza di affrancamento, l’impossibilità di immaginare una salvezza da un avvenire predefinito. Il Kentucky è il luogo d’elezione per dare forma a un aspro ritratto sociale attraverso il racconto delle sue vicende surreali, le dinamiche opache, le tetre rappresentazioni di istinti triviali, le risse e le sparatorie, le morti silenziose sotto le stelle, i servigi sessuali imposti come merce di scambio da poliziotti consapevoli di poter distorcere a piacimento ogni residua forma di giustizia.
“Come sempre, nel Kentucky, a prescindere da cosa succedeva tutto restava più o meno uguale”. Sono gli ultimi a dominare le storie di Offutt: delinquenti dediti alla famiglia, uomini schiacciati dai compromessi, donne oppresse dai vincoli e alla ricerca di una fuga dalla realtà, adolescenti incapaci di concepire una reale emancipazione. Il retaggio violento di un’America raccontata nelle miserie quotidiane di piccole comunità del Sudest rende tale costellazione di storie private l’emblema dell’incapacità di un paese di fare i conti con la propria memoria, tra tentativi di rimozione e fugaci esperimenti di salvezza. La collocazione del racconto della labilità delle relazioni in comunità chiuse permette a Offutt di esplorare il contrasto tra le norme sociali e le istanze di libertà nelle realtà maggiormente conformiste, come accade nel racconto Dalle mie parti, dove l’attempato protagonista vive la fugace euforia del ritorno dopo trent’anni nella terra d’origine. Il malcelato intento di esibire la giovane moglie e il nuovo pick-up provocherà una triste serie di eventi che lo porteranno a pagare il prezzo della sua sprovvedutezza e dell’assenza di protezione nel territorio. Il paesaggio naturale fa da contrappunto alle vicende narrate. La descrizione minuziosa dell’uccisione di una cerva colpita con una bottiglia di whisky poi squarciata per estrarne il fegato ne Lo Zoo Celeste è l’immagine di una comunità radicata in un ambiguo senso di appartenenza.
“Gli organi della cerva, lentamente, cessarono di funzionare. Gli animali che si cibavano di carogne voltarono il muso verso l’odore di sangue fresco che filtrava tra gli alberi. Un caprimulgo fece udire il suo richiamo. La notte proseguì come se non fosse successo niente di importante”.
Nella maggior parte delle opere dell’autore, Lexington è il teatro di episodi di ordinaria brutalità, il luogo da cui voler fuggire e, al contempo, il simbolo del ritorno impossibile con il marchio del fallimento. I volti che emergono dalla dimensione atavica di un paesaggio urbano degradato appartengono a giovani disagiati, disabili estromessi dalla comunità, ragazze disperate al cospetto di eremite con la pelle di terra. Ogni storia ruota attorno a un’attesa mancata con ingrandimenti continui su realtà famigliari dalla cornice fragile, tra adulteri consumati per supplire la noia coniugale, fantasticherie sull’ignoto, promesse siglate nella notte e infrante all’alba su una roulotte che si affaccia su un drive-in. Nell’intera produzione di Offutt l’ossessione per le nitide raffigurazioni del vuoto interiore associato all’assenza di infelicità nasconde un debito originario e doloroso con la figura paterna, affrontato nel memoir Mio padre, il pornografo. L’elaborazione del lutto attraverso la gestione dell’eredità letteraria di Andrew J. gli imporrà un’immersione nella sua intera opera, un confronto con la sua scrittura – una combinazione di Salinger e Hemingway –, con i suoi tormenti e gli affanni: lo straziante inabissamento in un mondo oscuro carico di sofferenza, in cui il solo limite “era quello tracciato dalla sua rabbia”. Labili riferimenti a quel padre enigmatico e inaccessibile, figlio della Depressione, sono celati nei tratti di molti dei protagonisti di Offutt, in particolare nelle figure inquiete, preda delle incertezze nel percepirsi improvvisamente nell’età adulta, dominate dal miraggio della libertà totale, da una passione feroce o da un desiderio sconosciuto e non replicabile e, in particolare, in quelle sovrastate da emozioni che non riescono ad affrontare perché “in soggezione davanti alla propria rabbia”. Il ritratto di una desolazione che invade ogni cosa, il racconto della solitudine, il significato dell’alienazione, il peso dello sradicamento, il vincolo della colpa caratterizzano l’intera produzione narrativa dell’autore e in Di seconda mano, trovano una traduzione primaria sul solco dell’esplorazione fisica. Offutt si muove tra immaginari deformati dalle estreme conseguenze della solitudine per calarsi nel sentire di genitori inadeguati, di donne in fuga da matrimoni falliti, di uomini frastornati da immagini inedite delle proprie compagne, di adolescenti che scoprono il significato dell’attesa in relazione alla nuova consapevolezza del corpo. La costante si cela nell’enigma dell’altro, il mistero che riguarda anche la visione di sé, una tensione penosa e irrisolvibile resa nella cristallizzazione dell’istante che precede il crollo. Aspetto che caratterizza racconti come Dove si vive, nello sconvolgimento vissuto da un trentasettenne per l’irruzione di una donna nella sua agenzia di pompe funebri per reclamare un cranio in eredità. O come il racconto Eclisse, nel mostrare l’incapacità di una coppia di coniugi dall’esistenza ordinaria di comprendere le rispettive necessità e i desideri, tra inutili tentativi di sublimarne le carenze. La raffigurazione dell’inafferrabilità dell’altro e delle estreme conseguenze del mancato riconoscimento reciproco conduce a esiti grotteschi scrutati con insistenza dall’autore per compiere un’indagine politica accanto a quella sociale. “Mi domandai se anche altri pensavano a scappare e ricominciare da capo. Ma eravamo scappati entrambi dalle colline per cercare di farcela a Covington, una delle cittadine più conservatrici del Kentucky. Noi non eravamo cattolici, ma in tanti lo erano. Gli piaceva bere e giocare a carte. Era una piacevole differenza, dopo i battisti integralisti con i quali ero cresciuto. I cattolici forse non avrebbero apprezzato il dildo, però”.
È un tenero ritratto femminile a chiudere l’opera, L’ultima stanza, dedicato ai sentimenti del ritorno provati da una donna di settantacinque anni e condivisi con un venticinquenne con cui ragionare sull’effimero, sul piacere, sul desiderio carnale, sulla malattia, sulla necessità fisica di riappacificarsi con l’asperità dei propri luoghi.
“Non sapeva dire dove finisse la terra e iniziasse la sua pelle. Adesso era buio pesto, e la Via Lattea una macchia nel cielo. Un gufo fece sentire il suo basso richiamo. I pensieri di Ruby saltavano come un ragno d’acqua sulla superficie di un torrente. Era arrivata all’ultima stanza. Alla fine tutti quelli che aveva conosciuto se n’erano andati. Non aveva attraversato la vita, era stata la vita ad attraversare lei”. Con Di seconda mano Offutt elegge la forma breve per raffigurare gli esiti di un disfacimento interiore. Le piccole comunità che continua a porre al centro delle sue storie diventano il terreno d’indagine privilegiato per generare parabole sulla miseria dell’umano, sull’inesorabilità del male. Coglie l’istante che anticipa il dramma per dare forma al ridicolo, tratteggiare la vacuità del vivere e calarsi nel quotidiano di esistenze condannate all’immobilità da brutali pratiche di sopravvivenza o dall’illusione di una leggerezza frivola per esularsi da sé, invano.
“Sorrise contro il vento. Era una situazione ideale: il ricordo di nessun ricordo, qualcosa che forse non era successo e che era impossibile confutare”.

 

Di Alice Pisu 

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