‘E mi sono vista mentre tutto iniziava. Una donna sul punto d’essere annientata. Che stava per venire riprogrammata come modello di fallimento e strazio. Sì certo, ho capito subito che qualcosa non andava’
Un bambino che scompare nel nulla non è mai un fatto naturale ma la natura ha sempre un suo ruolo, ce lo insegna la terra, ce lo racconta l’aria inquinata che respiriamo, le radici che strappiamo, il fungo che ci avvelena. È sparito un bambino strano in questo romanzo così poetico e così grafico di Max Porter, uscito in Italia ormai lo scorso anno per Sellerio, con una traduzione di Marco Rossari.
Strano, però, è solo l’aggettivo che in maniera sbrigativa vuole circoscrivere Lanny, che non si trova più. Ed è attraverso i limiti che si danno con il linguaggio, che i sentieri si perdono.
Non lo troverai descrivendolo, un bambino come Lanny.
Si smarrisce in questo modo l’infanzia che ci ha attraversati in un certo tempo della nostra esistenza. È un passaggio, ma qualcosa rimane, come un fossile. I ricordi hanno l’incredibile capacità di rifiorire, come accade in natura a ogni altro essere animale o vegetale.
Forse Lanny non è nemmeno un bambino, è un profumo di pino, una sensazione, una goccia di rugiada destinata a evaporare. Eppure qualcosa resta: tipo sua madre, tipo suo padre, che sono una coppia non priva di nevrosi e di problemi relazionali.
Interruttori che saltano quando arrivano i problemi veri. Le sinapsi ululano.
Capita.
L’isteria verrà a bussare alla tua porta elegante, perché vivi sostanzialmente nel bosco e tu non gli somigli, preferisci Londra, anche se Londra è una capitale veloce e difficile.
Sono quelli come Lanny ad attirare l’attenzione di Fanghiglio Frondoso, lo spirito che attraversa il sottosuolo e che ha visto le generazioni morire e rinascere, partorire e divorziare, tradire e rianimare. Il mondo è fatto così, è ostinato nella maniera più naturale possibile.
Nessuno può ricordare com’è iniziato tutto questo, sappiamo che vita e morte, giorno e notte hanno condotto le sorti di questo esistere, siamo parte di una concatenazione di fatti e scelte, ma non possiamo avere memoria del principio. E se anche l’avessimo non ci servirebbe, perché attraversare il non visto e il non esperito è in fondo immaginazione e va protetta. Non disincantata.
Questo di Max Porter è un romanzo ipnotico, che utilizza il linguaggio come fogliame in preda al vento, voci che sono uno stormo compatto eppure illusorio. Basta osservare non solo la grafica di alcune pagine, ma il movimento stesso degli occhi durante la lettura: tracciamo onde. Diventiamo parte fisica della sua scrittura.
Cercando di capire, cerchiamo Lenny, sperando di non perderci a nostra volta.
Perché la natura ha denti affilati ma anche labbra sensuali, ha un forte ascendente su di noi, sovrastarla è impossibile ed è questa la nostra salvezza.
E comunque, per quanto ne sappiamo, Lanny potrebbe essere nel tuo giardino o fra le tubature del tuo bagno.
Io andrei a vedere….
A cura di Giulia Bocchio