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Storie di un’altra storia: I prigionieri (di Mauro Germani)

Il racconto di oggi, tratto dalla raccolta Storie di un’altra storia, di Mauro Germani, si intitola I prigionieri.

Di chi sono i volti che sembrano emergere da queste righe?  Ombre dimenticate, figure misteriose che non hanno più alcuna percezione del tempo e della storia.
Eppure s’insinua un dubbio leggendo: e se quei prigionieri fossero i pensieri, i limiti, i grovigli che generiamo noi stessi, attraverso il nostro pensiero? 

Goya, Saturno che divora i suoi figli

Oggi ho passato in rassegna i miei prigionieri. Come al lume di una fiaccola, ho visto brillare i loro volti nel buio. Eccoli – tra tempo e tempo – incerti di se stessi, in bilico davanti al mio sguardo. Io so come trattarli, come distinguerli a uno a uno, dentro la profondità della notte. Aspettano da me un segnale, un cenno antico, una liturgia tramandata negli anni. Obbediscono docili, non fanno resistenza alcuna. C’è chi mi guarda sottecchi, quasi con una certa vergogna, e chi – all’opposto – sembra addirittura sfidarmi, col viso alzato e gli occhi fissi su di me. Anche questo, in fondo, fa parte del misterioso rito che insieme celebriamo da molto tempo. 
Quanti sono in tutto? A essere sincero, non so il loro numero preciso. A volte, improvvisamente, compare una figura inaspettata che avanza verso di me dal buio, fino a mostrarsi in un chiarore di fiamma, in un balenio sinistro che mi sorprende. Di solito, dopo un’esitazione iniziale, apre la bocca e parla. Allora la sua voce – che ovviamente risuona nel vuoto e trema nell’ombra – mi riporta al passato, a un momento preciso della mia vita, che avrei voluto scordare per sempre. Ci sono, infatti, prigionieri che restano a lungo nell’ombra, muti, abbandonati a loro stessi, come inutili fantasmi. Aspettano che io passi vicino, così da farsi notare, da emergere dalla loro notte, da sfuggire per un attimo all’assedio del cupo silenzio che li affligge. Tutto, infatti, dipende da me, dai miei controlli, anche se oggi mi risultano più faticosi. Non sempre mi addentro nell’oscurità più fitta e nelle zone più remote. È ormai, forse, una questione di pigrizia o di stanchezza, comprensibile col passare degli anni, o addirittura una forma di paura diffusa nei confronti di coloro che chiamo i prigionieri dell’oblio, i più lontani, e spesso i più temibili. Che sarà successo ai loro volti e alle loro voci? – mi chiedo.
È una domanda che mi inquieta e preferisco lasciarla senza risposta.
Così, nelle mie perlustrazioni, compio quasi sempre gli stessi giri, ostentando una certa sicurezza, ma può capitare talvolta che un prigioniero, di cui non rammento la fisionomia e nemmeno la voce, venga da me involontariamente illuminato. I suoi occhi, allora, un poco spiritati e abbagliati da una luce violenta e improvvisa, s’incontrano con i miei, e scorgo sul suo viso un’espressione beffarda che mi spaventa. Quanti anni ci hanno apparentemente diviso?
Oh, il mio labirinto buio, il mio carcere segreto, le mie celle costruite con gli anni, coi patimenti e i ricordi di una vita intera! Come conoscere completamente ciò che vi accade? E chi sono davvero loro, i prigionieri, che io credo di dominare? Quei volti un tempo così familiari mi si rivelano spesso diversi, irriconoscibili, a volte addirittura pericolosi. Non è tremendo, tutto questo?
Certo, non possono scappare, sono costretti da sempre in quegli oscuri meandri, non hanno vie di fuga, ma fino a che punto io li possiedo? Sono proprio loro, a volte, a limitare la mia libertà, a cercarmi, a chiamarmi e persino ossessionarmi.
Sì, perché sono instancabili, hanno una resistenza davvero incredibile e alcuni sono maledettamente insistenti. Impossibile per me ignorarli.
S’impongono di sera, specialmente, quando la mia giornata volge al termine e vorrei un po’ di pace. Essi, con le loro figure sconvolte e un po’ deformi, incominciano ad animarsi, a prendere vita, a reclamare il diritto di esistere ancora. Mi fanno credere di essere al mio servizio, di obbedire ai miei ordini, di recitare quella parte che io conosco da sempre. Sono bravissimi – lo ammetto.
Fanno i prigionieri, i miei sudditi, i miei schiavi e io ogni volta cado nell’inganno, penso di possederli, di incatenarli al mio volere.
Mi sento il padrone assoluto con diritto di vita e di morte su ciascuno di loro, ma so che la verità non è questa, è ben altra.
In alcuni momenti di lucidità, mi rendo conto di essere io il vero e unico prigioniero dentro tutto quel buio.

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