Perché Propaganda live ha torto con Rula Jebreal?
Con la defezione del 14 maggio alla trasmissione televisiva di La7, Propaganda Live, Rula Jebreal ha voluto evidenziare lo sbilanciamento del format a favore della presenza maschile, per cui la giornalista ha declinato improvvisamente l’invito precedentemente accettato. La notizia ha destato scalpore, anche perché la trasmissione cult del pubblico di sinistra, condotta da Diego Bianchi, ha fatto nel tempo della difesa della diversità una delle sue principali battaglie.
Tuttavia il chiarimento imbarazzato di Bianchi, più che chiarire l’accaduto, ha finito per confermare che qualche ragione in fondo la Jebreal l’aveva. La difesa non funziona perché non si tratta di competenze, quanto di struttura, di ruoli, direzione, e potere decisionale, ma per altre e meglio argomentate ragioni rimando all’intervento di Giulia Blasi (l’articolo è qui).
Per quanto mi riguarda invece, intendo sottolineare qui il conflitto di prospettive: Jebreal in qualità di giornalista avrebbe dovuto informare il pubblico a casa sulla complicata e grave questione israelo-palestinese e, nel difendere la sacrosanta parità di genere, ha scelto di rinunciare a offrire la prospettiva palestinese, la quale mai come in questi giorni è stata relegata a qualche manchette da poco sui giornali. Ed è un peccato che a pagare la querelle sia stato proprio questa prospettiva.
Il secondo punto riguarda il fatto che Propaganda Live è una trasmissione intelligente, a tratti brillante, che da anni cerca di squarciare il velo di ipocrisia intorno al fare televisione per apparire il più possibile antiretorica e sincera. Non ultimo, la trasmissione applica sui temi trattati una moralità, per dirla con Fortini, scevra da moralismi, per cui non è viziata da atteggiamenti inquisitori o dallo sviluppo di tesi incalzanti e precostituite, insomma è di parte, ma antepone sempre l’umano al politico, e in questo rispetta profondamente lo spettatore.
Ora, però, nella ripetitività delle stagioni, è accaduto come uno slittamento per cui si è passati, forse inevitabilmente, dall’antiretorica, alla celebrazione autoreferenziale dell’antieretorica. Voglio dire che col tempo la cristallizzazione del format, il successo di pubblico, hanno generato una sorta di autocompiacenza stucchevole, un’indulgenza eccessiva verso se stessi, che ha preso il sopravvento sulla freschezza delle idee, finendo per soggiacere a una ritualità (lo spiegone, Memo Remigi, ecc.) che a tratti ricorda le intuizioni di Fabio Fazio ai tempi di Quelli che il calcio.
Allora qual è il punto con Propaganda live?
Di sicuro un punto è che essere di sinistra vuol dire non solo professare o mostrare contenuti fondati sull’uguaglianza e i diritti, ma darsi forme e modelli, rigore e ideali, e applicarli per quanto possibile al medium, dunque alla parità di genere, ma in qualche misura alla turnazione degli ospiti e, perché no, dei musicisti, addirittura anche della conduzione. E questo porta con sé la messa in discussione rischiosa oltre che di se stessi, del mercato televisivo, dell’audience, su cui la trasmissione e la rete vivono.
Se è indubbio che molti degli ospiti televisivi delle trasmissioni televisive vengono scelti in base alla quantità, allo share che producono, vuol dire che non sempre è la qualità l’obiettivo finale, bensì un abile dosaggio delle due componenti. Quindi il medium, per giunta in una tv privata, ha già in seno le sue forti contraddizioni, ovviamente Propaganda live non può esserne esente, e forse questo è uno dei motivi per cui anche i suoi ospiti nel corso delle stagioni si sono sempre più avvicinati per notorietà a quelli delle altre trasmissioni.
Per finire, e tralasciando la faccenda del musicista di Propaganda live Roberto Angelini, multato per lavoro nero ai danni di una rider che effettuava consegne per il suo ristorante, un altro problema della televisione da cui la trasmissione non può andare esente, è il suo spiccato urbanocentrismo. La televisione italiana in genere parla il romanesco di Diego Bianchi, di Paolo Bonolis, o il milanese di Gerry Scotti e Ezio Greggio.
Beninteso, non è una questione di dizione, ci mancherebbe.
La questione ci riporta al principio, al diniego di Rula Jebreal per la parità di genere. Nel senso che la democrazia è rappresentanza uniforme dei territori e dei luoghi, e anche qui a mancare a volte è la reciprocità prospettica. Non basta andare nei luoghi remoti o indifesi per sottoporli al proprio cono di luce, occorre anche uno sguardo periferico che sia diretto verso il centro.
Di fondo, basterebbe comprendere che l’Italia è abitata da qualcosa come 60 milioni di persone, e invece stando alla tv e ai giornali, sembra che si tratti di un’isola dei famosi. Il fatto è che solo chi appare nella società dello spettacolo esiste per davvero.
Debord, Popper, Pasolini, McLuhan? Sappiamo bene che la storia non si tramanda alle generazioni successive, per cui il gioco riesce eccome. Il risultato, sotto gli occhi di tutti, è l’attuale democrazia demagogico-populistica.
Dopo aver sviluppato queste riflessioni, preso atto di alcune ragioni di fondo della vicenda, per non cadere nel relativismo è però necessario porre ancora un’ultima domanda: siamo così sicuri che Propaganda live sia equiparabile qualitativamente alle altre trasmissioni? Oppure, nonostante i difetti, nel panorama attuale, la trasmissione di Bianchi e compagnia, risulta ugualmente uno dei migliori programmi in onda?
Personalmente voto per …
© Sandro Abruzzese
3 risposte a “Perché ‘Propaganda live’ ha torto con Rula Jebreal?”
Con tutto il rispetto, Propaganda live non mi piace.
Diego Bianchi mi abita accanto, lo vedo al bar del quartiere, ma non mi suscita nulla.
Mi chiedo sempre come personaggi del genere abbiano tutto questo credito. Cosa che non avviene a tutti, pur avendo talento, valori e tanto da dire.
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Per carità, Falcone, simpatie e antipatie per Diego Bianchi non sono messe in discussione. Però non è di questo e su questo che scrive Sandro Abruzzese.
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[…] comparso in precedenza qui su Poetarum […]
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