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Bustine di zucchero #47: Wisława Szymborska

In una poesia – in ogni poesia – si scopre sempre un verso capace di imprimersi nella mente del lettore con particolare singolarità e immediatezza. Pur amando una poesia nella sua totalità, il lettore troverà un verso cui si legherà la sua coscienza e che lo accompagnerà nella memoria; il verso sarà soggettivato e anche quando la percezione della poesia cambierà nel tempo, la memoria del verso ne resterà quasi immutata (o almeno si spera). Pertanto nel nostro contenitore mentale conserviamo tanti versi, estrapolati da poesie lette in precedenza, riportati, con un meccanismo proustiano, alla superficie attraverso un gesto, un profumo, un sapore, contribuendo in tal senso a far emergere il momento epifanico per eccellenza.
Perché ispirarsi alle bustine di zucchero? Nei bar è ormai abitudine zuccherare un caffè con le bustine monodose che riportano spesso una citazione. Per un puro atto spontaneo, non si va a pescare la bustina con la citazione che faccia al proprio caso, è innaturale; si preferisce allora fare affidamento all’azzardo per scoprire la ‘frase del giorno’ a noi riservata. Alla stessa maniera, quando alcuni versi risalgono in un balenio alla nostra coscienza, non li prendiamo preventivamente dal cassettino della memoria. Sono loro a riaffiorare, da un punto remoto, nella loro imprevista e spontanea vividezza. (D.Z.)

Szymborska

Fra i vari desideri e risentimenti, esiste anche la vendetta. Persino nella poesia. Ma come fa la poesia a bramare vendetta, verso chi o che cosa? La poesia è, in fondo, il prodotto di una mano mortale, lo dice la poetessa Wisława Szymborska, e ce lo ricorda un’altra importante poetessa italiana, Biancarmaria Frabotta, con la sua raccolta Da mani mortali. Cito la Frabotta perché, pur nella diversità di temi e ispirazioni, prendendo i versi iniziali dalla sezione Gli eterni lavori: «Sono come le pulci, i poeti/ acquattati nel pelo del mondo», credo sia possibile ravvisare seppur una modesta consonanza in quella, direi felice, antiretorica che accomuna i due nomi, e nel caso della poetessa polacca una forma antiretorica lucida, disillusa ma fiduciosa e meravigliata. Inoltre la semplicità del verso della Szymborska riflette proprio una modestia che si pone al di fuori della scienza e della teoria del poetare; attitudine, sottolinea Pietro Marchesani, da sempre perseguita e confermata quando, dopo il Nobel, data la crescente attenzione verso la poetessa, la sua riservatezza si espresse in questi termini: «Preferirei rivendicare il diritto di non scrivere sulla mia poesia. Quanto più l’attività creativa mi assorbe, tanto meno sento la voglia di formulare un credo poetico». Tuttavia, al rifiuto di prendere l’abito del vate e i toni elegiaci si sovrappone lassertività di questa mano mortale che detiene il potere della scrittura e che, per riprendere l’affermazione di Lucrezio, come una goccia d’acqua scava man mano la pietra, procedendo quindi allo «sbaraccamento del sublime» a favore del quotidiano «[…] perché il quotidiano è il sublime» (Valeria Rossella), un quotidiano da cui emergono i dettagli, gli indizi che lo sguardo poetico è pronto a recepire con stupore. Ecco allora che proprio lo stupore della poetessa verso il mondo e la vita, è sempre Marchesani a ricordarlo, non sta nei «grandi numeri»; al contrario, dalle «piccole eternità» di una poesia emergono gli spazi di senso che sono il risultato di un alternarsi limpido e accurato del silenzio e del suono. Il mondo, nella definizione della sua storia come cammino irto di disumanità e tragedia, ci consegna un dolore e una memoria, e queste due cose, sebbene preziose e mai da dimenticare, non devono schiacciarci col loro peso, ma essere sostenute con la leggerezza, la meraviglia quale stordimento dellanimo davanti la contemplazione dellusuale miracolo di esistere. La perseveranza, latteggiamento non sospetto della mano umile e risoluta risiede nel movimento di mostrare un mondo stupefacente «con catene di segni», perpetuando, a fronte della drammaticità della storia, la sua migliore vendetta: la gioia di scrivere.

 


Bibliografia in bustina
W. Szymborska, Uno spasso (a cura di P. Marchesani), Milano, Scheiwiller, 2003.
W. Szymborska, La gioia di scrivere (a cura di P. Marchesani), Milano, Adelphi, 2012.
B. Frabotta, Da mani mortali, Milano, Mondadori, 2012.
V. Rossella, La magia di Wisława Szymborska, minimalista e metafisica, articolo apparso sul Corriere della Sera, 27 dicembre 2011.


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