In una poesia – in ogni poesia – si scopre sempre un verso capace di imprimersi nella mente del lettore con particolare singolarità e immediatezza. Pur amando una poesia nella sua totalità, il lettore troverà un verso cui si legherà la sua coscienza e che lo accompagnerà nella memoria; il verso sarà soggettivato e anche quando la percezione della poesia cambierà nel tempo, la memoria del verso ne resterà quasi immutata (o almeno si spera). Pertanto nel nostro contenitore mentale conserviamo tanti versi, estrapolati da poesie lette in precedenza, riportati, con un meccanismo proustiano, alla superficie attraverso un gesto, un profumo, un sapore, contribuendo in tal senso a far emergere il momento epifanico per eccellenza.
Perché ispirarsi alle bustine di zucchero? Nei bar è ormai abitudine zuccherare un caffè con le bustine monodose che riportano spesso una citazione. Per un puro atto spontaneo, non si va a pescare la bustina con la citazione che faccia al proprio caso, è innaturale; si preferisce allora fare affidamento all’azzardo per scoprire la ‘frase del giorno’ a noi riservata. Alla stessa maniera, quando alcuni versi risalgono in un balenio alla nostra coscienza, non li prendiamo preventivamente dal cassettino della memoria. Sono loro a riaffiorare, da un punto remoto, nella loro imprevista e spontanea vividezza. (D.Z.)
Probabilmente mai in Pavese il sentimento amoroso, profondamente lirico e nostalgico aveva avuto esiti così toccanti e struggenti come nelle ultime poesie che compongono la raccolta postuma Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Dieci poesie, fra cui due in inglese che conobbero in Beppe Fenoglio, conterraneo di Pavese, un traduttore d’eccezione (per converso, Fenoglio tradusse in inglese la poesia Verrà la morte e avrà i tuoi occhi). A rimarcare il tormentato quadro malinconico, ci pensano le note del diario Il mestiere di vivere che descrivono la condizione di posseduto, di dominato dall’amore per l’attrice Constance («Connie») Dowling: «20 marzo Mon coeur reste encore à toi. Frase di degnazione, da maggiore a minore. Perché rallegrarsi tanto? | È chiaro che son io il beneficato. Echomai ouch echo. Come possedere senza esser posseduto? Tutto dipende da questo». Il mio cuore ti appartiene, scrive in francese. Questo sentimento incalzante lo conduce a liricizzare Connie nei simboli a lui più cari come la terra, la morte, il sangue, la luce, a volte legati dalla congiunzione “e” per esprimere in pienezza le peculiarità attribuite all’amata («Sei la luce e il mattino», «Sei la vita e la morte», e ancora «Tu eri la vita e le cose»), altre descrivendo caratteristiche proprie di lei («Hai un sangue, un respiro», «Sei radice feroce.|Sei la terra che aspetta», «Sarai tu – ferma e chiara»). Da un simile amore si palesa una disperata speranza che all’inizio è silenziosa perché «Tra la vita e la morte | la speranza taceva», poi «si torce | e ti attende ti chiama». Come un vento di marzo, Connie Dowling nel suo passo leggero «ha violato la terra», riaprendo un’antica ferita. Lei è, mutuando un verso da una poesia di Paul Eluard, tutte le donne che Pavese ha conosciuto, tutte quelle che ha amato. In certe storie infelici, uno dei due è più forte, ed è a volte colui o colei che se ne va. Chi resta, conserva la traccia, l’orma di chi aveva preso posto nella sua interiorità. Connie è stata per il poeta un raggio di luce che, però, aveva scavato dentro la sua terra, generando dolore. Pertanto Pavese non fu estraneo a quel solco di cui recita una celebre poesia di Emily Dickinson:
Che sia amore tutto ciò che esiste
È ciò che noi sappiamo dell’amore;
E può bastare che il suo peso sia
Uguale al solco che lascia nel cuore.
Bibliografia in bustina
C. Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Torino, Einaudi, 1951; ora in C. Pavese, Le poesie, Torino, Einaudi, 1998, p.134, rist. Milano, Mondadori, 2012 (Classici della poesia).
C. Pavese, Il mestiere di vivere, Torino, Einaudi, 2000, p.392.
Per la traduzione delle poesie pavesiane (To C. from C. e Last blues, to be read some day e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi), si veda Beppe Fenoglio, Quaderno di traduzioni (a cura di Mark Pietralunga), Torino, Einaudi, 2000, p. 197, 199, 201.
Per la poesia n° 1765 di Emily Dickinson, si veda la traduzione in AA.VV., Luna d’amore, Roma, Newton Compton (cura e traduzione di Luciano Luisi), 1994, p.11
2 risposte a “Bustine di zucchero #10: Cesare Pavese”
L’ha ripubblicato su Matteo Mario Vecchio.
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L’ha ripubblicato su Lette(ratura).
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