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La Bibbia. Simon Reynolds, Post Punk 1978-1984

In principio Dio creò il rock, pensò di riposarsi col progressive ma mentre dormicchiava sereno, in un angolo del pianeta qualcuno si prese le mele più marce cadute dall’albero e diede origine al punk. Mettiamola escatologicamente così e non per scherzo, perché per noi adolescenti del 1978 senza Internet e senza Ryan Air era difficile capire cosa stesse succedendo in un luogo lontano lontano che immaginavamo abitato da musicisti in divisa da college concentrati per 15 minuti circa su mellotron, dodici corde e flanger e da dove invece improvvisamente cominciavano ad arrivare scariche elettriche e cortocircuiti di basso inferiori ai 4 minuti. Come era possibile tutto ciò? Ricordo qualcosa di quei giorni confusi: i servizi di Michael Pergolani corrispondente londinese per l’Altra Domenica, gli articoli di Popster (il suddetto Dio protegga nei secoli a venire Carlo Massarini), le trasmissioni di Radio Montevecchia quando la meteorologia lo permetteva e le gite alla fiera di Sinigaglia alla caccia dell’ultimo bootleg. I nomi ce li giocavamo poi tra di noi. Le gite di classe dove nel solare Re-La-Sol di “le bionde trecce gli occhi azzurri e poi…” si cercava la dissolvenza al drammatico Mi minore di “Three imaginary boys” (e anche in questo caso resterà nella memoria il compagno che portò quella cassetta c90). Ma le nostre conoscenze erano frammentarie, legate a rare trasmissioni radiofoniche e televisive o agli articoli che comparivano sul Mucchio Selvaggio e Rockerilla. Conoscevamo i nomi dei gruppi, spesso introvabili e ci affidavamo più al gossip che a una conoscenza del fenomeno. Sì, certo sapevamo che tra il Pop Group e le Slits c’era qualche legame affettivo, (qualcuno ci vedeva anche un’emulazione negli italici Kaos Rock e Kandeggina gang), tutti sapevamo che Robert Smith era stato il chitarrista di Siouxsie, ma oltre questo non si andava. Era difficile vedere un legame antropologico, culturale, progettuale tra i vari gruppi; qualcosa magari lo si intuiva dai cambi di formazione, dalle note di copertine, ma molto molto poco. Abbiamo avuto pazienza però e 40 anni dopo ecco la rivelazione. Simon Reynolds per mano di Minimum Fax ci ha consegnato la BIBBIA: 776 pagine di ricerca minuziosa sui 6 anni che hanno ribaltato la storia della musica, ma soprattutto noi. Pagine dove quei solchi e quei nastri si inseriscono in situazioni culturali ben più complesse e strutturate di quello che ai tempi ci poteva arrivare. Fanzine, case discografiche, manifesti, biglietti di concerti, performance, articoli di giornali, cassette in edizioni limitate, tutto viene scandagliato per raccontare a noi poveri umani da dove usciva e si diffondeva quel verbo. Dai P.I.L. ai Propaganda attraverso Pere Ubu, Lydia Lunch, Devo, Raincoats.
La cronaca di quei 6 anni ci viene finalmente rivelata in tutte le sue minuzie, per coglierne così appieno lo splendore, ma anche i suoi drammi, le sue contraddizioni e le sue ramificazioni e l’effetto che lascia non è una pietosa nostalgia per i tempi andati ma la realizzazione di un principio per cui, tutto quello che è successo in quegli anni ci è veramente rimasto dentro e non si è limitato a essere moda o atteggiamento, ma un vero e proprio canone che ha influito culturalmente sugli anni a venire e non solo nel campo musicale. Reynolds non tralascia nulla ma soprattutto non cade nell’errore della biografia enciclopedica. L’approccio è molto più complesso, l’analisi affronta i legami e i nodi tra i vari protagonisti, tra cui sono comprese anche le piccole case discografiche indipendenti dell’epoca, la cui storia si rivela altrettanto interessante quanto i musicisti. La bibbia quindi; la rivelazione di un qualcosa che sapevamo essere importante e a cui adesso possiamo attribuire se non una logica quanto meno una traccia per rileggerlo e ri-farlo nostro, perché tanto ci era sicuramente sfuggito e proprio a questo proposito, visto il rischio di prendermi alla lettera, il consiglio che vi do è quello di chiudere il libro e stare il più lontano possibile da ogni forma di connessione telematica, perché ogni rivelazione divina ha il suo rovescio nel male e nella tentazione e il rischio di correre su Discogs è veramente enorme. Io ho già peccato padre e ripetute volte.

I giovani hanno il diritto biologico di godere dei tempi in cui vivono. Se sei davvero fortunato, la tua smania ormonale è simultanea all’affermarsi della nuova era: il bisogno tipicamente adolescenziale di meraviglia e fede, in altre parole, coincide con un periodo di oggettiva abbondanza. I primi anni del post punk (fra il 1978 e il 1982) furono proprio questo: una fortuna. Mi ci sono avvicinato altre volte ma non ho più ritrovato l’euforia di quel momento. di sicuro, non sono più stato altrettanto concentrato sul presente.

© Jacopo Ninni

Simon Reynolds, Post punk 1978 -1984, Minimum Fax, Roma, 2018


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