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Tullio De Mauro, Linguistica educativa, scommessa e risorsa

26 novembre 2005, Università degli Studi “La Sapienza” di Roma. Nella sala gremita tutti ascoltano con attenzione l’intervento conclusivo del seminario nazionale Lend Lingue e culture: una sfida per la cittadinanza. L’intervento è di Tullio De Mauro e porta il titolo Linguistica educativa: una scommessa  per linguisti e insegnanti, una risorsa per l’educazione linguistica democratica. Prendo appunti, entusiasta. Nei mesi successivi, rivedo in continuazione il video – su una cassetta VHS – della registrazione di questo intervento. Stiamo preparando gli atti di quel seminario nazionale che ha rappresentato una tappa fondamentale per l’educazione plurilingue in Italia. Quegli appunti e quelle ripetute visioni mi permettono di ricostruire la sintesi dell’intervento di De Mauro, così come, su sua autorizzazione, sarà pubblicato nel numero monografico, il n. 5/2006, anno XXXV, della rivista “Lend”. Riporto qui il testo, ricordo riconoscente tra le tante letture di testi di Tullio De Mauro alle quali mi sono formata, alle quali ci siamo formati in tanti. Credevamo e continuiamo e credere nella linguistica educativa, scommessa e risorsa. Di quell’invito pronunciato in maniera chiara e inequivocabile abbiamo fatto tesoro, sprone e insegnamento. (Anna Maria Curci)

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Tullio De Mauro, Linguistica educativa: una scommessa  per linguisti e insegnanti, una risorsa per l’educazione linguistica democratica

Linguistica educativa ed educazione linguistica democratica sono le due espressioni, i due concetti, i due poli, tra cui si muoverà il mio discorso, i due poli tra cui mi piacerebbe che tutti potessero sempre muoversi.[i] Di recente, proprio qui a Roma, una valorosa docente universitaria di glottodidattica, che mi autorizza a fare il suo nome, Bona Cambiaghi – ha detto, a proposito dell’espressione “educazione linguistica democratica”, che, a sentirla, avverte “un odore di anni settanta”. Non ho intenzione di polemizzare, voglio ora constatare assieme a voi qualcosa.
Il legame tra l’eredità socioculturale della lingua e cittadinanza è evocato nelle stesse articolazioni del vostro seminario. E non è evocato guardando al passato. La stessa espressione di Pécheur, “sfida della cittadinanza”, rinvia al futuro, rinvia alla sfida che ci attende. Al futuro delle lingue in Europa guarda anche un convegno che si svolgerà a Firenze tra due giorni, dedicato proprio alle sfide della cittadinanza. È quasi inutile, ma fatemelo sottolineare: il convegno non è indetto da una cricca di parrucconi, ma dalla Regione Toscana, dall’Unione Industriali Toscani, dalla Camera di Commercio. Alcuni aspetti del futuro dell’Europa plurilingue sono stati indicati qui nelle relazioni che avete ascoltato per esempio da Hans-Jürgen Krumm. Più precisamente, Krumm ci ha detto “attraverso programmi di educazione plurilingue dobbiamo guardare al futuro di una democrazia europea”.
Il nesso tra educazione, e in particolare educazione linguistica, e coesione culturale e sociale, è stato messo in evidenza, così mi pare, nelle relazioni di Pécheur e Coste. Il secondo nesso è quello tra educazione civile e democrazia. Questo è stato colto nelle relazioni di Krumm, di Edelhoff, di Audrey Osler.
Nell’antico mondo greco Aristotele aveva già rilevato la stessa coesione tra il linguaggio e la coesione sociale: senza il linguaggio verbale non vi è nessuna coesione sociale; per questo è dato il linguaggio, per vivere in gruppi e in comunità. Per lui, già per lui, l’educazione al discorso era parte dell’arte che chiamava “politica”. In effetti, le buone pratiche linguistico-educative sono fondamentali per muovere verso una cittadinanza consapevole e realmente democratica. L’educazione è luogo privilegiato di realizzazione del diritto alla parola, non solo nelle scuole ordinarie, ma anche nel lifelong learning.
Oggi il lavoro dell’insegnante è quanto mai complesso e, tenendo conto dei principi sanciti nel documento “Non uno di meno”, vale la pena di ribadire alcune buone pratiche nell’educazione linguistica:

È necessario che tutti coloro che insegnano si mettano in grado di fare un salto nella loro conoscenza della linguistica studiando e producendo ricerche empiriche sui processi di insegnamento/apprendimento e su come avviene o non avviene l’apprendimento all’interno di una classe.
Romano Madera, un anno fa, in un convegno all’Università di Milano Bicocca, aveva ricordato come la pratica sia fondamentale per formulare “le domande” che devono portare ad un incremento della riflessività in quei luoghi densi di cultura intellettuale: la scuola, l’Università.
Viviamo in un momento di crisi culturale e spesso ci chiediamo: perché insegniamo quello che insegniamo? Il canone è messo in crisi e dobbiamo cercare un dialogo continuo tra teoria e pratica, tra orizzonti della cultura intellettuale più complessa e valutazione delle esigenze dell’apprendimento e insegnamento. Non possiamo esimerci dalla ricerca scientifica e critica sui processi di apprendimento e sui metodi glottodidattici, ossia su ciò che chiamiamo linguistica educativa. Nella ricerca possono e devono incontrarsi ricercatori e insegnanti, scienze e pratica. Lo sviluppo della linguistica educativa crea un raccordo prezioso con le pratiche educative e con l’educazione linguistica democratica.

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[i] Per considerazioni più ampie rinvio a Insegnare italiano oggi. L’educazione linguistica è ancora una “questione democratica, intervista a T. De Mauro, “Cooperazione Educativa”, LII. (mag.giu. 2004), pp. 9-13, T. De Mauro, Silvana Ferreri, Glottodidattica come linguistica educativa, in Miriam Voghera, Grazia Basile, Anna Rosa Guerriero (a cura di), E.Li.C.A., educazione linguistica e conoscenze per l’accesso, Guerra Edizioni, Perugia 2005, pp.  17-28, e al volume collettaneo GISCEL,  A trent’anni dalle “Dieci tesi”. Il punto sull’educazione linguistica democratica, atti del convegno di Roma, marzo 2005, Franco Angeli, Milano, in stampa. Sui presupposti teorico-linguistici dell’educazione linguistica sono tornato in Crisi del monolinguismo linguistico e lingue meno diffuse, in “LIDI, Lingue e idiomi d’Italia”, I, 1 (2006), pp. 11-37.

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