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Sandro Penna a Napoli da “Dadapolis” di F. Ramondino e A. F. Müller

250420101238Penna anni trenta

Sud. Sul golfo l’aria notturna restava calma. Brillavano i lumi entro di essa da una parte e dall’altra, e fitti nel basso salivano verso l’alto diradando. Io come nascosto nel buio della «Villa» guardavo la strada che seguiva il mare, bellissima e deserta. Lontani da me camminavano su quella due giovani di cui udivo chiaro il suono della voce. Si fermarono a un tratto sotto la luce di un fanale e vidi distintamente sul buio dei loro vestiti il bianco della mano cercare e trovare altro bianco: due lembi di carne apparvero, e le mani ritraendosi, restarono indifesi e teneri contro il fanale sotto la sua luce. Le parole s’erano fatte più basse ma restavano calme pure nel silenzio. Uno dei due giovani insisteva, parlava di quel suo lembo chiaro all’amico, mostrava poi come un particolare quando vedevo il bianco della mano riconfondersi all’altro bianco. Poi se ne andarono con passo lentissimo, entro il buio e la calma dell’ora. Sul golfo l’aria notturna restava calma e più lontano il cielo lampeggiava in silenzio.
Dopo aver fatto alcuni passi nel buio della villa, vidi un marinaio seduto su di un sedile e un altro marinaio seduto sul sedile seguente. Mi parve chiara la loro separata amicizia e mi divertii allora a sedermi accanto al primo dei due. Era un siciliano dall’espressione maschia e infantile, tutto luci sul volto. Finsi di di non sapere del suo amico vicino e con deliberazione infantile lo urtai d’improvviso quasi a tradimento. Egli rise come di un gioco, di un solletico, e poi subito ne ebbe un poco paura, ma non proprio per sé come si vedeva bene. Allora alzandomi chiamai io stesso il suo compagno e mi sentii felice di essere così semplice. Quando fui in mezzo ai due amici, divisi nello stesso tempo le mie braccia imparzialmente e mi pareva di essere come un contatto di loro due soli, io ormai invisibile presenza. Godevo del loro stupore e della simpatia che fra loro cresceva, io come assente sentendomi davvero felice.Ma ad un tratto saltò fuori un uomo dal mio secondo marinaio. Egli si alzò e disse freddamente di andare in cerca di una donna. Mi accorsi che ne aveva diritto. Prima non l’avevo bene osservato: era il contrario dell’altro. Niente luce infantile in lui: meno pronto meno vivido egli pesava la convenienza della sua voluttà. Non si lasciava sorprendere, non si abbandonava. Conosceva la convenienza dell’itinerario fissato. Quando sparve nel buio, questa volta davvero io e l’amico ci sentimmo soli. I lampi insistevano sul cielo ancora lontani, sebbene meno, e già si udivano lievi brontolii. Qualcosa di quella calma sembrava incrinarsi. Sussisteva la calma ma già un limite pareva voler ricordare lo scorrere del tempo. Poco dopo le prime gocciole rade caddero confondendosi alle nostre e noi fuggimmo in opposte direzioni. Io presi a salire verso la mia casa che mi pareva vicina, leggero sotto la pioggia fresca.
Ma la città sconosciuta senza l’aiuto del giorno con le sue luci e i suoi loquaci abitanti deluse la mia fiducia. Risalivo correndo i «gradini» che il giorno avevo discesi e riconoscevo. Mi fermavo quando lo scroscio dell’acquazzone si faceva più intenso, non so se udivo il calmo riposo attraverso i finestrini ben chiusi alle mie spalle, riprendevo la corsa come nello spavento di un peccato. Ero il solo a non dormire. E del peccato avevo infatti anche la gioia, un poco sfrenata e giovanile. Ma cominciai ad entrare entro vicoli davvero senza fondo. Di questo mi accorgevo solo alla fine e di ognuno dovevo rifare tutto il percorso, davvero come il peccato. Venne il momento in cui mi sentii perduto. bagnato fino alla carne che ormai tendeva a difendersi col calore del movimento come in un bagno freddo, stanco di correre e di correre in direzioni false, mi rividi con acre nostalgia nel gioco leggero dei due marinai, sotto la calma di quell’estate già lontana.

(1939-40)

© in Dadapolis. Caleidoscopio napoletano di Fabrizia Ramondino e Andreas Friedrich Müller, Torino, Einaudi, 1989. Già in Sandro Penna, Un po’ di febbre, Milano, Garzanti, 1973 [La parola viva di Omero].


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