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Christine Lavant a 100 anni dalla nascita

Lavant

Cento anni fa, il 4 luglio 1915, nasceva a Groß Edling, presso St. Stefan nel Lavanttal in Carinzia, Christine Thonhauser (da sposata: Habernig), che dalla valle natia, Lavant,  prese il nome d’arte. La sua fu una vita di disagio e grandi sofferenze, di riconoscimenti e felicissime intuizioni, nella quale la creazione poetica e l’attività di scrittrice di racconti si distingue per la tenacia della ricerca e la tensione, solco costante nell’esistenza, tra slancio e scavo. Scrittura che racchiude gli opposti, è quieta e potente, lieve e incisiva, ascetica e concreta, è preghiera umile e ribelle. Lo sguardo si sofferma sull’esistente con visionarietà vertiginosa e sinestesie corpose, tratti, questi, che caratterizzano  anche i suoi Appunti da un manicomio. Per ricordarne l’opera propongo qui alcune sue liriche, tratte dalla raccolta Die Bettlerschale (“La ciotola del mendicante”) nella mia traduzione e, di seguito, nell’originale tedesco.  (Anna Maria Curci)

[Mi sembra spesso come se la terra]

Mi sembra spesso come se la terra
si sottraesse in soffio ora al mio sguardo,
e al suo posto un paesaggio straniero circondasse
ogni visione, come in una lingua di ideogrammi.
Forse so ancora i nomi di alcune cose
e dico: nube, brezza, pero, luna! –,
ma a ciascuna aderisce quella stessa mitezza
legata un tempo solo all’immagine della madre morta.
E serrata è anche la nuova contrada,
simile ad un giardino abitato da un signore
che mi attende per un tempo molto di là a venire.
Ora questo mi lascia in tutto così sola,
che a volte mi sollevo da me stessa,
per mettere alcunché di familiare nello spazio
dal quale la terra si fugge in soffio.

 

[Mir ist es oft, als ob die Erde sich]

Mir ist es oft, als ob die Erde sich
jetzt atemleise meinem Blick entzöge,
und eine fremde Landschaft tritt für sie,
wie eine Bilderschrift, um alles Schauen.
Wohl weiß ich noch die Namen mancher Dinge
und sage : Wolke, Tauwind, Birnbaum, Mond ! –,
doch haftet jedem solche Sanftmut an,
wie früher nur dem Bild der toten Mutter.
Und auch die neue Gegend ist verschlossen,
gleich einem Garten, den ein Herr bewohnt,
der mich erwartet für viel spätre Zeit.
Das lasst mich nun in allem so allein,
dass ich mich manchmal aus mir selber hebe,
um was Vertrautes in den Raum zu tun,
aus dem die Erde atemleise flieht.

 

* * *

[Permettimi d’essere triste]

Permettimi d’essere triste
sotto i tuoi occhi, le stelle.
Forse non vedono che sono triste,
ché la conchiglia della luna è voltata dall’altra parte
e non ascolta i miei discorsi.
Di giorno, certo, la fronte del sole
non medita su me che m’imbrunisco –
permettimi d’essere persa del tutto
nei cespugli della malinconia.

 

[Erlaube mir traurig zu sein]

Erlaube mir traurig zu sein
unter deinen Augen, den Sternen.
Vielleicht sehen sie nicht, daß ich traurig bin,
denn die Muschel des Mondes ist abgewandt
und hört nicht auf meine Gespräche.
Bei Tag denkt sicher die Sonnenstirne
niemals über mich Dämmernde nach –
erlaube mir, gänzlich verloren zu gehen
in den Büschen der Schwermut.

(qui per ascoltare la poesia letta dall’autrice)

* * *

C’è odor di neve…

C’è odor di neve, pende il pomo del sole
così bello e rosso ai vetri della mia finestra;
se ora scaccio da me la febbre,
questa diventa una donnola, che il vicino cattura,
e non ci sarà nessuno a scaldare le mie dita fredde.
Forse per il villaggio passan cantando oggi i bimbi come Magi
e certo arriveranno anche dalle mie sorelle.
Sono un po’ più triste di ieri,
eppure mi manca tanto per essere devota.
Il pomo, mi piacerebbe farlo entrare
e vorrei odorare la buccia di nascosto,
solo per annusare che sapore ha il cielo.
La donnola si rannicchia selvatica e stanata,
e forse ora striscerà dal vicino
perché il mio cuore così stretto si contrae.
Chissà se il cielo si inginocchia,
quando si è troppo deboli per giungere in cima?
Il pomo, l’ha preso qualcun altro…
eppure in fin dei conti la mia stanza è buona
e forse molto più calda di un albero pieno di neve.
Anche a me fa male solo mezza testa
e inoltre nel mio sangue
il sonno va su e giù con un fiore
e solo per me canta i canti dei Magi.

Es riecht nach Schnee…

Es riecht nach Schnee, der Sonnenapfel hängt
so schön und rot vor meiner Fensterscheibe;
wenn ich das Fieber jetzt aus mir vertreibe,
wird es ein Wiesel, das der Nachbar fängt,
und niemand wärmt dann meine kalten Finger.
Durchs Dorf gehn heute wohl die Sternensinger
und kommen sicher auch zu meinen Schwestern.
Ein wenig bin ich trauriger als gestern,
doch lange nicht genug, um fromm zu sein.
Den Apfel nähme ich wohl gern herein
und möchte heimlich an der Schale riechen,
bloß um zu wissen, wie der Himmel schmeckt.
Das Wiesel duckt sich wild und aufgeschreckt
und wird vielleicht nun doch zum Nachbar kriechen,
weil sich mein Herz so eng zusammenzieht.
Ich weiß nicht, ob der Himmel niederkniet,
wenn man zu schwach ist, um hinaufzukommen?
Den Apfel hat schon jemand weggenommen …
Doch eigentlich ist meine Stube gut
und wohl viel wärmer als ein Baum voll Schnee.
Mir tut auch nur der halbe Schädel weh
und außerdem geht jetzt in meinem Blut
der Schlaf mit einer Blume auf und nieder
und singt für mich allein die Sternenlieder.

* * *

La ciotola del mendicante

Tendi l’orecchio, è la ciotola vuota del mendico,
per metà ancora di fango, ma già mezza di pietra
e a te ogni volta tamburella
canti di fame tra pane e vino.
Non distogliere lo sguardo e non fare il sordo!
Da tempo le tue dita sussultano vogliose,
senza controllo ti danza nelle froge
superbia da mendico e furto disdegnato.
Continua solo a spezzare il pane lodato!
Da cima a fondo è già inacidito
dal sale che mi fa sfregare gli occhi
e minaccia di riempire la mia ciotola.
Quando il tamburo all’improvviso il suono smorza
nessun pasto più sulla terra gusto avrà
e il tuo cuore per moto proprio si arrotonderà
nella mano che al mendicare ti forza.

Die Bettlerschale

Horch! das ist die leere Bettlerschale,
halb aus Lehm noch, aber halb schon Stein
und sie trommelt dir bei jedem Male
Hungerlieder zwischen Brot und Wein.
Blick nicht weg und stelle dich nicht taub!
Deine Zehen zucken längst schon lüstern,
eigenmächtig tanzt in deinen Nüstern
Bettler-Hochmut und verschmähter Raub.
Brich nur weiter das gelobte Brot!
Es ist durch und durch schon angesäuert
von dem Salz, das meine Augen scheuert
und die Schale anzufüllen droht.
Wenn die Trommel plötzlich nicht mehr klingt,
wird kein Mahl auf Erden dir mehr munden
und dein Herz wird sich von selber runden
in der Hand, die dich zum Betteln zwingt.

* *  *

[Giallo ambra è il sangue della terra…]

Giallo ambra è il sangue della terra,
infuso di papavero goccia da tutte le specie di gioia
nel tempo, giardino sempreverde,
cresce la mela che io coglierò.

Devo prima, da invetriate ore,
mestizia e assenzio trapiantarti in cuore,
mentre danzano stelle per il mezzogiorno
che la fame ha sciolto in noi.

Presso i nidi di vespe e calabroni
il mio pensiero ruba qualche favo incolto
per avere un pane per te e per me,
e butta sangue giallo la terra come ieri.

Bevi con me tutte le specie di gioia!
Mestizia e assenzio crescono ora per conto proprio,
anche la mela si fa sempre più gialla,
quando è matura, sta la morte nel giardino.

Oh, noi li mangeremo estasiati,
la mela e la morte e i semi neri –
eppure il fuoco delle nostre stelle di fame
arrosserà il sangue della terra e lo moltiplicherà.

 

[Bernsteingelb ist das Geblüt der Erde…]

Bernsteingelb ist das Geblüt der Erde,
Mohnsud tropft aus allen Freudenarten
in der Zeit, dem immergrünen Garten,
wächst der Apfel, den ich pflücken werde.
Muß zuvor aus überglasten Stunden
Weh- und Wermut in dein Herz verpflanzen,
während Sterne durch den Mittag tanzen,
die der Hunger in uns losgebunden.
Bei den Hornissen- und Wespennestern
stiehlt mein Denken ein paar wilde Waben,
um ein Brot für dich und mich zu haben,
und die Erde blutet gelb wie gestern.
Trink mit mir von allen Freudenarten!
Weh- und Wermut wachsen jetzt von selber,
auch der Apfel wird schon immer gelber,
wenn er reif ist, steht der Tod im Garten.
Oh, wir werden sie verzückt verzehren,
Tod und Apfel und die schwarzen Kerne –
doch das Feuer unsrer Hungersterne
wird das Erdblut röten und vermehren.

 

Christine Lavant (da: Die Bettlerschale, Otto Müller Verlag 1956)

(traduzione di Anna Maria Curci)

 

In una lettera, datata 9 marzo 1956,  che Christine Lavant scrisse a Martin Buber, probabilmente il primo a ricevere direttamente da lei copia del volume, leggiamo:

«Sono poetessa – non sempre, in realtà sempre più di rado, nella vita di tutti i giorni faccio la maglierista. Pare che oggi sia arrivato il momento della spedizione del mio nuovo volume di poesie. […] Ho timore del mio volume di poesie. La maggior parte delle liriche sono frutto di ossessione e di superbia disperata.
La prego di permettermi di inviarLe e La prego di leggere almeno alcune di queste poesie e La prego soprattutto di scrivermi (di farmi scrivere?) se Lei mi ritiene un’anima persa, vale a dire morta, defunta, oppure se Lei crede che per tutti – fino all’ultimo istante in cui sono in carne e ossa –  ci sia ancora salvezza.» (Christine Lavant, traduzione di Anna Maria Curci)

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«Christine Lavant (pseudonimo di Christine Habernig), nata a il 4 luglio 1915 a Groß Edling presso St. Stefan nella valle Lavant (Carinzia), morta a Wolfsberg (Carinzia) il 17 giugno 1976.

La vita di Christine Lavant è segnata dalla povertà e dalla malattia. Nona figlia di un minatore, fin dalla nascita conobbe la sofferenza delle malattie, visse un’esistenza nel perenne ruolo dei deboli, dei bisognosi di aiuto. Crebbe in un ambiente rigidamente cristiano, con il quale non riuscì a identificarsi. Se è vero che le sue poesie e le sue opere in prosa, caratterizzate da un linguaggio densamente metaforico, hanno per argomento un patrimonio culturale cristiano, esso viene ampliato in direzione di una religiosità naturale contraddistinta dal desiderio di sicurezza e di calore. La letteratura è per Lavant un modo di affrontare l’esistenza; negli anni che hanno immediatamente preceduto la sua morte ha rinunciato consapevolmente a questo mezzo di espressione.

Opere: Poesia: Die unvollendete Liebe, 1949, Die Bettlerschale, 1956, Spindel im Mond, 1959,Der Sonnenvogel, 1960, Der Pfauenschrei, 1962, Hälfte des Herzens, 1966 – RaccontiDas Kind, 1948, Das Krüglein, 1949, Maria Katharina, 1950, Baruscha, 1952, Die Rosenkugel, 1956, Wirf ab den Lehm, 1961, Das Ringelspiel, 1963, Nell, 1969 – Raccolte ed edizioni delle opere: Kunst wie meine ist nur verstümmeltes Leben. Nachgelassene und verstreut veröffentlichte Gedichte – Prosa – Briefe, 1978, Versuchung der Sterne, 1984, Gedichte, 1988, Das Kind. Erzählungen, 1989»

da: Manfred Brauneck (a cura di), Autorenlexikon deutschsprachiger Literatur des 20. Jahrhunderts, Rowohlt, Reinbeck bei Hamburg. ed. 1991, p. 458, trad. di Anna Maria Curci)

Alcuni link per proseguire la ricerca “dai margini”

https://poetarumsilva.com/2014/09/11/dai-margini-1-christine-lavant/ 

http://www.goethe.de/ins/it/lp/prj/lit/ueb/lm1/lav/itindex.htm

http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-f7e8abca-1c88-414f-9c3a-556acf9009c4.html

http://cartesensibili.wordpress.com/2013/09/20/anna-maria-curci-traduce-christine-lavant/

http://www.lankelot.eu/letteratura/lavant-christine-appunti-da-un-manicomio.html

http://www.forumeditrice.it/percorsi/lingua-e-letteratura/oltre/appunti-da-un-manicomio/christine-lavant-appunti-di-umanita-da-un-manicomio-subito-per-libera-scelta/file

 

Lavant_zum_100

4 risposte a “Christine Lavant a 100 anni dalla nascita”

  1. Veramente poesie molto belle e toccanti. Di una semplicità rurale e di una musicalità che spaccano la pigrizia della ragione e il cuore.

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