– Nie wieder Zensur in der Kunst –
Pubblicato il 6 novembre 2014 da gianni montieri
BOYHOOD DI RICHARD LINKLATER: UN MODERNO POEMA AMERICANO
Boyhood di Richard Linklater è un film durato dodici anni. Esatto, ci sono voluti dodici anni di riprese, dal 2002 al 2013, per portare a termine questo, come definito dallo stesso regista, “esperimento”, durante i quali Mason (Ellar Coltrane), che all’inizio del film è un bambino, poi un ragazzino e infine un adolescente in partenza per il college, scopre il mondo che lo circonda, cresce, lotta, si innamora, insomma, vive la sua giovinezza. Dodici anni in cui non è cambiato solo il protagonista, ma anche i suoi genitori (due grandissime interpretazioni di Patricia Arquette e Ethan Hawke), separatisi quando Mason era un bambino, e sua sorella Samantha, di pochi anni pù grande di lui, con cui ha un rapporto di odio e amore. Dodici anni durante i quali è cambiata anche l’America, passando dall’attentato alle Torri Gemelle all’America post 11 settembre e alla guerra in Iraq, dalla presidenza Bush a quella di Obama, il tutto affrontato senza drammatizzazioni o patriottismo, contrariamente a quanto accade nella maggior parte dei film americani, perché l’intento di Linklater è stato quello di adottare una prospettiva distaccata da questi grandi eventi, che restano sempre, quasi pudicamente, sullo sfondo.
Presentato in anteprima al Sundance Film Festival, la culla del cinema indipendente Made in USA, e a numerosi altri Festival in giro per il mondo e premiato con l’Orso d’Argento alla regia al 65° Festival cinematografico di Berlino, Boyhood ha portato avanti una sfida non semplice e ad alto rischio: ogni anno, per dodici anni, il regista ha riunito tutto il cast e la troupe per girare solo alcune scene, con gli attori che hanno accettato di crescere e percorrere un lungo cammino da tradurre in un film. Il risultato è un’incredibile esperienza cinematografica, un film indimenticabile. Anche altri registi, come Truffaut (la celeberrima saga di Antoine Doinel) e Reitz (la trilogia di Heimat), ma anche lo stesso Linklater (la deliziosa serie composta da Prima dell’alba, Prima del Tramonto e Before Midnight, sempre con il fedelissimo Ethan Hawke), hanno seguito attori e personaggi per anni nei loro cambiamenti fisici e personali, quindi, se vogliamo, l’idea di base non è forse originalissima. Ma è proprio il minimalismo di fondo, il suo essere così umanamente vero, senza dover ricorrere a scene madri o a facili sentimentalismi e buonismi, che piano piano, al termine di quasi tre ore di film, ci conquista nel profondo.
Il Mason coricato sul prato che osserva le nuvole e il cielo dei primi minuti del film è lo stesso degli ultimi: ne ha passate tante, ha visto la sua famiglia sgretolarsi, la madre cambiare molti uomini con risultati fallimentari, ha ascoltato gli Arcade Fire e i Coldplay, si è innamorato, è stato lasciato, si è arrabbiato, ha perso alcuni amici per strada, ha sofferto (perché “La vita non regala sponde”, è un cammino difficile, come dice saggiamente Ethan Hawke a Mason durante una partita a bowling).In questi dodici anni il suo viso è cambiato sotto i suoi occhi non solo per lui ma anche per noi spettatori, che non possiamo non affezionarci a questo personaggio. E qui sta davvero la vera potenza del film, che rende l’esperimento pienamente riuscito e promosso a pieni voti. Boyhood non è semplicemente una cronaca di eventi, è un moderno poema americano.
© Nicolò Barison
Categoria: Attualità, cinema, recensioniTag: Arcade fire, Boyhood, cinema, Coldplay, Ethan Hawke, Nicolò Barison, Patricia Arquette, recensioni, RICHARD LINKLATER, Sundance festivali
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