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George Saunders – Dieci dicembre (raccontato da Andrea Pomella e Gianni Montieri)

dieci dicembre

George Saunders – Dieci dicembre – ed. Minimum fax – euro 15,00 – ebook 7,99 – traduzione  di Cristiana Mennella

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La versione di Andrea 

Ho letto Dieci dicembre di George Saunders (Minimum Fax, traduzione di Cristiana Mennella) su suggerimento di Gianni Montieri. Gianni era talmente preso dai racconti di Saunders da dimenticarsi di scendere alla fermata giusta della metropolitana. Mi sono detto che in un libro non può esserci niente di più promettente di questo.

E così ho comprato Dieci dicembre e l’ho letto. L’ho letto due volte, a distanza di un mese. Non mi è mai capitato di leggere un libro due volte a distanza di un mese. O forse sì, tanto tempo fa; quella volta il libro era Una questione privata di Fenoglio. Possono essere tanti i motivi per cui uno sente il bisogno di leggere un libro due volte a distanza di un mese. Il mio motivo è che la prima volta che ho letto Dieci dicembre le mie aspettative sono andate deluse.

Dieci dicembre è un libro su cui c’è una pressoché totale unanimità di giudizi. Giudizi che dirli lusinghieri è riduttivo. Eppure, in quei racconti, al principio ho sentito qualcosa di stridente. Nella “voce straordinariamente intonata” e “piena di grazia” di cui parla Thomas Pynchon (uno tra i tanti, stellari endorsement di cui può fregiarsi l’opera di Saunders) ho annusato un certo odore di plastica bruciata. Provo a spiegarmi meglio. Al riparo di un’abilità narrativa portentosa, Saunders costruisce esuberanti storie che raccontano l’istituzione della famiglia e le piccole grandi sofferenze prodotte dalle piaghe dell’America contemporanea, filoni che hanno nutrito il cuore della migliore letteratura d’oltreoceano. Ma lo fa con un rifiuto del conformismo così smaccato da mettere in piedi ogni volta uno spettacolo originalissimo di tecnica. Il terrore di apparire convenzionale innerva ogni frase di Saunders, e questo terrore finisce per falsarne la voce. Ho avuto, in altre parole, l’impressione di trovarmi nel più splendente e moderno lunapark, e di cercare a ogni nuovo giro di giostra l’emozione di una vertigine nuova, per finire col rendermi conto che quella vertigine non era poi tanto migliore di quella che provavo da ragazzino in certi vecchi, miserevoli parchi giochi di periferia.

Perciò, quello che a detta di tutti è il capolavoro di un funambolo della nuova narrativa americana, a conti fatti mi è sembrato poco più che il solito, vecchio trucco postmoderno. Tanto che l’unico racconto che mi è parso davvero indimenticabile è il lapidario Croci, due pagine così nette e dolorose da dire più di quanto non riescano la maggior parte dei romanzi in circolazione.

Allora ho lasciato passare qualche settimana, dopodiché ho preso la decisione di rileggere Dieci dicembre da cima a fondo. Al secondo tentativo sono riuscito a entrare meglio nei meccanismi cognitivi che servono a decifrare i racconti di Saunders. È come se il mio cervello si fosse adattato alla lente deformante che Saunders pone tra i nostri occhi di lettori e le sue storie. E quello che prima mi sembrava poco più che un inganno ottico, in seconda lettura si è trasformato in uno strumento più conforme alla natura del mio sguardo. Ho potuto così godere della vertigine, senza che fossi in continuazione distratto dall’invadenza del congegno. Per questa via ho scoperto l’enorme cuore pulsante di questo scrittore, un cuore così felice da farti pensare che ci siano esseri umani completamente invasi dal dono della narrazione. E George Saunders è innegabilmente uno di questi (leggete Le Ragazze Semplica, una o due volte, a seconda di quanto siete bravi, per farvi un’idea di quello che sto dicendo). Autori che sarebbero capaci di intrattenerti anche solo scrivendo un saluto su un post-it.

Così, ora davvero non so dove sia la verità di questo libro, e quando Gianni mi ha chiesto di farne una recensione per Poetarum, dentro di me mi sono detto: “Cosa potrò mai scrivere senza rischiare di passare per un lettore affetto da schizofrenia letteraria?” In realtà quella che azzardo è una recensione che non può essere considerata come una vera e propria recensione, per il semplice fatto che Saunders è un autore che non può essere considerato come un qualsiasi altro autore. E d’altronde non è neppure necessario che io scriva una recensione coi fiocchi, dal momento che in rete di recensioni coi fiocchi ai racconti di Saunders se ne possono trovare a dozzine, molte delle quali sfoggiano anche più dei canonici fiocchi, quindi è del tutto inutile che io mi aggiunga a questa schiera. A chi non è piaciuto il libro, consiglio di provare a rileggerlo, proprio come ho fatto io. A chi è piaciuto in prima battuta, faccio i miei più vivi complimenti. A chi non l’ha ancora letto (e si presume che una recensione debba rivolgersi in primo luogo a questa categoria di persone), dico: male che vada comprerete un libro e ve ne ritroverete due, due libri diversissimi tra loro, e solo per questo sarà valsa la pena di averci provato.

 © Andrea Pomella

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La versione di Gianni

Quella che segue potrebbe essere una recensione appassionata, ma sarà obiettiva, ve lo garantisco. Ho letto Dieci dicembre due volte. Alla prima lettura saltavo le fermate della metropolitana, alla seconda prendevo appunti. La prima volta, come si fa con un libro di racconti, ho cominciato dall’inizio e ho seguito l’ordine dettato dall’indice. La seconda volta ho cominciato dalla fine, dal racconto che ha lo stesso titolo del libro e che mi aveva commosso particolarmente. Poi ho cominciato a zigzagare, rileggendo prima quelli di cui ricordavo meno cose, che, apparentemente, mi avevano impressionato di meno. In realtà, ma l’ho capito dopo, stavo facendo una delle più banali prove di matematica, stavo cambiando l’ordine dei fattori per verificare se, e cosa, cambiasse nel prodotto. La matematica applicata a Saunders non sbaglia, il prodotto non cambia. Cambiava solo la percezione del lettore. La meraviglia si trasformava in gratitudine. L’ammirazione lasciava spazio al rispetto. L’istinto faceva sedere accanto a sé il ragionamento. La prima lettura mi aveva fatto pensare che non avessi letto nulla dello stesso livello quest’anno, la seconda lettura l’ha confermato e mi ha spiegato il perché.

In questi racconti non ci sono luoghi veri e propri, non vengono nominate città, gli interni non sono descritti dettagliatamente, non c’è mai un protagonista; o meglio l’attore principale non esiste senza gli altri personaggi della storia. Saunders lo indica, lo fa vedere con chiarezza e poi gli sfuma i contorni fino a renderlo parte del coro. Alla fine sono tutti protagonisti, contano tutti alla stessa maniera. Nessun racconto è scritto nello stesso modo. C’è quello scritto in prima persona, c’è la voce fuori campo, c’è il diario sgrammaticato, c’è il narratore esterno, c’è un racconto che è composto da una e-mail. Saunders non è banale, mai, oppure le prova tutte per non esserlo, ci riesce e, in fondo, è questo che conta. Ma quello che ci fa innamorare di uno scrittore non è mai la sua tecnica e nemmeno il talento. Ci fa innamorare, invece, quanto di quel mix tra esercizio e dono arrivi dalla pagina a toccarci il cuore, senza retorica. Mi è parso mentre leggevo e rileggevo che quelle parole messe in fila andassero a scovare dei punti nascosti da qualche parte dentro di me e che, una volta trovati, facessero loro una carezza. Cose come questa: «E poi siccome non gli aveva complicato la vita facendo la saputa erano rimasti lì sdraiati a fare progetti, tipo perché non vendiamo qui e ci trasferiamo in Arizona e compriamo un autolavaggio, perché ai bambini non compriamo il Sapientino, perché non piantiamo i pomodori, e poi si erano messi a fare la lotta e lui (chissà perché le era rimasto impresso) mentre la teneva stretta era scoppiato in una risata sbuffa di disperazione, fra i suoi capelli, come uno starnuto, o come se gli venisse da piangere. L’aveva fatta sentire speciale, lasciandosi andare così.»

I temi di Saunders sono quelli classici della letteratura americana che più ho amato. La famiglia (come Carver). Il quotidiano (come Carver). La vita fuori dalle metropoli (come Carver). Il mondo dove il sogno americano non si è realizzato (come Carver). George Saunders non scrive come Raymond Carver nemmeno un po’, ma, tra una storia e l’altra, il buon vecchio Ray mi è venuto in mente diverse volte. Ad esempio nei dialoghi tra due o più persone, Carver era un maestro in questo . Scrivere un dialogo dove parlano più soggetti è molto difficile, pochi ci riescono, Saunders ci riesce. E poi, mi pare che Saunders possegga lo stesso sguardo compassionevole di Carver. Prova pietà, non è cinico. Ho, infine, la sensazione lavori parecchio su ogni singolo racconto, su ogni parola, proprio come Carver. Fine del passaggio nella terra di Raymond.

George Saunders scrive talmente bene che te la fa sembrare facile, ti fa credere che quella roba lì, quella roba perfetta, sia uno scherzo. Provateci e se qualcuno ci riesce mi telefoni. Molto spesso potrebbero venire in mente le fiabe, per delicatezza e per il senso del gioco, per l’apparente leggerezza. Vi verranno in mente e saprete esattamente che le favole non c’entrano ma una certa grazia e una purezza riservata ai bambini, quella sì. Troverete racconti brevissimi e fulminanti come Croci. Futuristici e inquietanti come Fuga dall’aracnotesta. Da restare sgomenti come Giro d’onore o Le ragazze Semplica. Da lasciarci qualche battito di cuore come Dieci dicembre. Più o meno vi ho detto tutto quello che volevo dirvi di questo libro, sia io che il mio amico del piano di sopra ci siamo tenuti distanti dalla recensione classica ma il cuore del libro ve lo abbiamo raccontato. «Un soffio di vento mandò giù dal cielo una raffica di neve vaporosa. Che spettacolo. Perché eravamo fatti così? Capaci di trovare la bellezza in tante cose che accadevano ogni giorno?»

 @ Gianni Montieri

14 risposte a “George Saunders – Dieci dicembre (raccontato da Andrea Pomella e Gianni Montieri)”

  1. complimenti ad enrambi ho fra le mani adesso DIECI DICEMBRE e sto leggendo il racconto le ragazze semplica..senza avere la vs raffinatezza di critica mi sono resa conto dal mio primo approccio con SAUNDERS di essere di fronte ad un talento puro,storie commoventi non banali ed una illuminante ed originale osservazione della societa’ americana, non puoi non lasciarti coinvolgere, trovo anch’io una affinita’ con Carver nei temi pur con uno stile assolutamente diverso …in attesa di PASTORALIA e dopo NEL PAESE DELLA PERSUASIONE grazie anche a mfax per la pubblicazione

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    • Grazie Giulietta, mi pare che anche tu viaggi nel campo dei perduti di Saunders :-) buon proseguimento di lettura

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  2. Due recensioni straordinarie per un libro che, a questo punto, non si può non esperire (perché mi sembra sia questa, più che la lettura, la posta in gioco). Grazie di cuore.

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  3. Sì, impossibile non volerlo leggere e sarà anche per me un prossimo regalo necessario, ma voi, voi… e stata commozione leggervi, commozione accogliere quello che come fratelli volevate (riuscendoci) trasmettere. Mi sento sorella e capita raramente. Grazie del regalo.
    c.

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  4. […] Quella che segue potrebbe essere una recensione appassionata, ma sarà obiettiva, ve lo garantisco. Ho letto Dieci dicembre due volte. Alla prima lettura saltavo le fermate della metropolitana, alla seconda prendevo appunti. La prima volta, come si fa con un libro di racconti, ho cominciato dall’inizio e ho seguito l’ordine dettato dall’indice. La seconda volta ho cominciato dalla fine, dal racconto che ha lo stesso titolo del libro e che mi aveva commosso particolarmente [continuate a leggere Qui] […]

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  5. E’ da un anno che il libro è accanto alla sveglia e alla lampada, sul comodino.
    Spero che i libri di poesia si diradino per far spazio alla grande narrativa. Questa grande narrativa.
    Nino

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