da “Gli oggetti trapassati”
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La città all’alba interseca le rette
con chiarezza, disegna dei percorsi
di vuoto, elimina il peso del cemento
per scrostare i palazzi immobili:
la luce dischiusa
a mostrare le ossa del reale.
Chi per le strade s’aggira è dannato
al giorno, quando si ribalta
improvvisa la materia senza
speranza e il rigurgito occupa
lo spazio sgombro, pioggia senza origine.
Ogni mattina l’inerzia apre porte,
il passaggio della soglia è un gesto
che non prova terrore, non ha importanza.
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Scricchiolano le buste al passaggio
delle ruote. Uno stuolo di corpi sembra
la strada che ammassa le esistenze scartate.
La metamorfosi del mondo diventa
degradazione, gli occhi raccolgono
l’evento della trasformazione
come una condanna. L’auto procede
il suo viaggio minimo tra tappeti
di oggetti trapassati, l’elenco impossibile.
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«Qui si fa la storia», mi ha detto ieri
la figura che prevede il percorso.
E nella storia ci cammino, ci navigo
nella storia che percola.
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«Di qui non passi». Ora la strada è chiusa,
un camion con tre uomini la sbarra.
«Perché non dovrei passare, dall’altra
parte non esisterò più per voi
sono ora meno che niente». L’indifferenza
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dello sguardo, poca cosa la stupida
mia presenza. Mi spingo a guadare
al di là, ma s’allunga l’ombra del veicolo
raggiunge le colline e si unisce con la notte.
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Due tempi. Il Tempo
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«I nostri giorni come resti, sparsi
e accartocciati tra grovigli e cumuli.
Ingoia tutto il fuoco degli indefinibili.
I nostri eventi come diluiti
rimasti in una fossa scheletriti».
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Sul precipizio di una valle, le mura
della città bianca alle spalle. Guarda
l’antica Gerusalemme, comincia
qui l’inferno.
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Provo a modularti una fiaba,
scarto fogli e storie lette, udite,
ma nel fondo non trovo il repertorio
adatto, s’è bruciato al fuoco dell’infanzia.
Ne restano le teste mozze degli eroi
i corpi sparsi e ammonticchiati
gli oggetti magici anneriti.
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È terribile l’incapacità di darti un mondo,
tutto ingurgita lo spazio che raccoglie
i nostri morti, le cose inutilizzabili.
Anche la nostra memoria per diritto,
dove ogni gesto è un passo alato,
si unisce alle carcasse spente.
Posso solo coprirti gli occhi, evitarti
la paura.
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Fate e boschi
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Il primo ricordo è il sonno: «svegliati»,
sussurra una voce di là dal tavolo.
I libri assopiti tra le pentole,
la luce degli alberi apre le finestre
e il risveglio è un guardare i luoghi.
Il mio ritorno è sempre nei luoghi,
la geografia ordina i punti della memoria,
crea la carta con reticoli da percorrere.
«È troppo presto per dormire, c’è ancora il sole.
Un estate in anticipo di molti giorni
è un dono della tua stagione, corri».
Già guardo fuori affamato d’infanzia,
la polvere annulla i confini tra l’asfalto
e lo sterrato, una frontiera ancora
cartograficamente ambigua. Fate
e boschi sono apparsi in provincia,
la periferia ammassa immagini
ancora in vita, disperatamente.
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Bernardo De Luca è nato a Napoli nel 1986. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca presso l’Università di Napoli “Federico II”, con una tesi incentrata sulla poesia di Franco Fortini. Sue poesie sono apparse in volumi collettanei (Delle coincidenze, a cura di F. De Cristofaro e C. De Caprio, Ad est dell’equatore, 2012; Cyop&Kaf, Buio, catalogo mostra giugno 2007). Ha collaborato all’ultimo volume dell’Atlante della letteratura italiana (Einaudi, 2012) e scritto saggi in rivista su Fortini, Sereni, Mesa. È redattore del mensile di cronache, disegni e reportage «Napoli Monitor».
5 risposte a “Inediti di Bernardo De Luca”
il disordine storico dei luoghi -annunci della fine- assorbe tendenzialmente e disgrega anche le vite delle persone, “anche la nostra memoria … si unisce alle carcasse spente”, invece la scrittura è mossa, piena di immagini e di fantasia: bella tensione, in questo poeta
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ottime.
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mi è piaciuta molto la penultima.
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Ottime. Apprezzato il continuo confronto con l’esterno.
c.
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[…] poesia di Bernardo De Luca (che su Poetarum avete già letto qui) è una lotta con le cose, con lo spazio gremito, con la materialità del mondo. Il titolo Gli […]
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