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“Italics” di Gian Maria Annovi

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Titolo: Italics

Autore: Gian Maria Annovi

Editore:  Nino Aragno Editore, 2013

Continua, infierendo fra storia reale e spazio mediatico, il percorso poetico di Gian Maria Annovi, che si arricchisce di un nuovo tassello: il libro Italics, appena uscito per la nuova collana di Nino Aragno Editore “i domani” curata da Maria Grazia Calandrone, Andrea Cortellessa e Laura Pugno.

Si parte dal suo libro precedente Kamikaze (e altre persone), dove si coniugavano in un rapporto costante corpo-frammento e terrorismo, in relazione alla grandissima conformità e allo strapotere dell’informazione (soprattutto televisiva), per giungere ad Italics, dove la narrazione stessa si spezza, propone una mappatura dettagliata di luoghi letterari e geografici, reali e inesistenti, in cui si colloca al limite un mondo disordinato.

Italics  si svolge in cinque tempi o spazi d’azione, dove i personaggi, figure d’ombra in continua disintegrazione, mutanti del pensiero e del corpo, non riescono mai pienamente a relazionarsi con una realtà ostile, violenta e profondamente inquieta.

I testi inclusi nell’opera sono stati scritti fra il 2002 e il 2012, “ma coprono simbolicamente un arco temporale che va dall’ottobre 2002 al 10 settembre 2001″, come scrive l’autore nelle note al testo scegliendo di saltare un evento: una giornata fatidica di disturbo mondiale come l’ 11 settembre del 2001; la data indimenticabile è la soglia da cui si può partire o arrivare per cominciare a parlare di un nuovo mondo, di un nuovo occidente geografico, di una connessione bizzarra di elementi destabilizzanti. Per la scrittura di Annovi 11 settembre è l’inizio di un secolo, un precipitare.

Città chiave di questa narrazione restano per questo, i due poli geografici estremi: Los Angeles e New York, che rispettivamente aprono e chiudono il libro.

La scrittura di Annovi procede per singhiozzi, rastremature, come scrive Laura Pugno nella quarta di copertina; uno scrivere “asintotico” di “straniamento spaziale e temporale”.

Si comincia con la serie TT/DUET (The Tempest in Los Angeles), acronimo dell’ultima opera di Shakespeare e delle Twin Towers; i personaggi sono: le Dramatis Personae, che scorrono nell’immenso oceano mediatico, dove ogni prospettiva si propone come realtà, realtà in diretta.

Le voci dei protagonisti si sciolgono fuori campo, azionano, muovono il pensiero ma sempre fuori campo, come maschere efficaci e oratori dal deserto: “se le vostre voci mi bordano/la testa e/ non protestano per questo/ patetico stato/ attesto che questa vita/ pro capite/ non basta:/ che il capitale è il torto/ capita che si veda/ nella carne disfatta dei sogni/ nella materia che sa/ far male”. Il contrasto fra azione e passività è reso con efficacia, così si trasforma in strumento, nastro da maneggiare con cura perché produce e falsa la realtà con esatte imposizioni di sistema, dalla scelta dei cibi alla pubblicità di noi stessi: “ cali banalmente/ dagli schermi/cosa di buio/ stregati dall’utero catodico/ i tuoi gemiti gemelli/ sono la pienezza dei nostri/ stomaci/ fast food e fasti/ di plastiche/ il reale concima/non coincide/ con la riavvolta realtà/( decide il taglio nel nastro)/ tali tele bani-/ shed products are sponsored by/ us.

L’epilogo è la fine dei corpi, che sembravano addormentati di terroristi e ostaggi, uniti nella morte, dopo l’intervento delle forze speciali russe al teatro “Na Dubrovka”.

Altra considerazione da fare, altra metamorfosi che riguarda la serie Self Eaters (Autofagi), è il mutamento che avviene attraverso il corpo, il cibarsi di se stessi, appartenersi in maniera estrema, promuovere un’arte deformata che prova a ricrearsi: SELF-EATERS#1 “non distingue le dita delle mani/ dalle dita dei piedi non distingue/ la cartilagine dall’unghia/che è la cosa morta che/ gli cresce/e se ne nutre:/ si allunga dunque e flette e piega/gli arti di plastilina/l’arte è lui: contorsionista bambina/ deformata dall’idea di perfezione”. Sottraendo brevi tratti e brevi interruzioni, si assiste ad un processo di ribellioni, follie collettive, che caricano il presente di elementi stranianti: <Interruption> “ne catturano uno il gruppo dei vicini/ con megafoni spranghe videofonini”; in questi testi l’elemento della violenza registra i suoi massimi effetti nello smembramento, nella decapitazione di pezzi, quasi come fosse un corpo da ri-assemblare e l’ombra costante in tutto ciò della ripresa video, della costante connessione, di un elemento scenico costantemente filtrato: “attorno al tavolo operatorio/ allestito di fretta nella palestra/ chi gli taglia la mano/ la coscia/ chi gli mozza la testa/………………………./ stride nel microfono/ la voce di chi prega/ poi spartiscono le parti/ in fogli di stagnola”.

Fulcro e centro di Italics il poemetto “La Gloriola”, non a caso collocato alla metà del libro, come grande spartiacque, fra luoghi ed esperienze, ma anche e soprattutto fra la divisione dei mondi e un alternarsi di spazi, dall’emigrazione dell’autore stesso negli Stati Uniti, all’immigrazione verso il paese della lingua in cui scrive, l’Italia come altra Italia.

Questo provoca una vera alterità, un isolamento forzato, quasi un esclusione dal sistema, ma proprio in questo Annovi rinnova la sua forza, la sua energica denuncia, quasi un dettato di umanità, di resa testimonianza. “ma se la gloria è gloria/(dunque)/ sappia dire la gloria delle cose/ ad esempio/il nome per dire/ l’ossatura delle piante:/legnanza o legnaggine o/ legnosura oppure semplicemente/ un segno inciso sulla corteccia del/ cevello/ illeggibile se non ti spaccano la testa/ coi manganelli/ sappia dire le cose nuove/ ad esempio/ il nome dei suoi nuovi cittadini/ il nome del paese che ha confini/di corpi affogati e vulcani:/( questo ha un nome impronunciabile)/ lingua che cede e cade dalle gengive/ che dica l’assoluto tremore/ di questa donna: sulla barca che sbanda/ di notte col neonato schiacciato/ tra le cosce/ che non respira”.

Una delle parti più riuscite del libro è Rapture, di cui alcuni testi erano già usciti nella bella antologia Poeti degli Anni Zero (Ponte Sisto 2012) curata da Vincenzo Ostuni.

Il tema di queste poesie è il rapimento, non solo alieno, ma da qualcosa di sconosciuto e lontano, quello del diverso che assume la valenza di una sorta di esperienza mistica di limite.

L’originalità dei componimenti passa attraverso una breve descrizione anagrafica, come se il soggetto, il singolo, rappresentasse numeri, dati, esperienze da registrare, da poter manovrare: “[S.M; 21 anni, studente] vengono a portarci via le donne/ per farci figli le/riempiono di robe loro le/coprono come le/ bestie/ le innestano coi loro bastoni”. Oppure “[R.W. 53 anni, casalinga] a me m’innamorano/ i visi loro cioè/ anche se non hanno/ sorrisi e / vengono per rubarci/ vivi”.

Ora le voci che parlano sono esperienza pura e fanno parte di ogni classe e ceto della società, proprio per ricordare come l’esperienza della diversità sia fondamentalmente esperienze di tutti. “[O.A; 33 anni, negoziante] vengono con navicelle/ di notte mica/ carrette vengono/da tutti i lati/ ma soprattutto/ vengono malati e vuoti”.

L’ultima serie 9/10 (dittico in due tempi), parte da ciò che sosteneva Francis Bacon raccontando della realtà di New York, dove 9/10 (nove su dieci) di questa realtà sembrano inessenziali.

9/10 sono anche le cifre di una data ormai parallela, ferma alla pre-realtà: il giorno prima dell’ 11 settembre. Non senza terrore l’autore prova a raddrizzare il reale, a guardare qualcosa di inosservato, qualcosa che si poteva e si doveva guardare: la memoria di un nuovo secolo e il bilancio di uno appena concluso; in questo Annovi sceglie di guardare, di opporre alla finzione/ reality, la parola e la vita, sempre in controtendenza e oscurata, ma sempre vita: 2. (10.28 am) “Risale in superficie la donna/ che pulisce le torri degli uffici/ nel supermarket vicino a casa/ si vede in fiamme/ riflessa sulle buste di surgelati/ vive senza saperlo/ in un piano-sequenza stravolto/ il suo volto: Monica Vitti che osserva/ l’isola che l’ha resa deserta”.


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