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Pas de deux # 1

Due poeti contemporanei scelgono un testo di un autore straniero e lo traducono per Poetarum silva. Un confronto sulla traduzione tra diverse sensibilità. Un’occasione per scoprire poeti che non si conoscono o riscoprirne altri con un vestito nuovo. I post non avranno cadenza regolare, perché soggetti alle tempistiche dei traduttori invitati, ma ci auguriamo che diventino un appuntamento abbastanza regolare. Cominciamo con un poeta spagnolo molto giovane David Leo García , le due traduzioni sono di Lorenzo Mari e Antonio Bux.

La redazione

***

AGUA CORRIENTE

Tanto arreglar grifos para ver correr el agua, el agua
que riegue tu simbología de las cosas que perecen, el agua
que preste agua a tu sed incalculable, el agua
que te ayude a mirarlo todo por vez primera,
como si no hubieras pestañeado jamás,
como si los objetos hubieran dejado de inventarse,
esperando, no ya ser hasta siempre, sino haber sido desde siempre, agua
para comunicar tus órganos, para limpiarte el cráneo y convencerte
de que no eres objeto ni lavabo y convencerte
de que tienes que cumplir tus días de hombre, agua
para beber, para procurarte una eternidad,
como si ser eternos nos eximiese de ser torpes,
como si por ser eternos no se nos fueran
a estrellar los vasos de agua contra el suelo.

(David Leo García, da “Demanda de sol”).

 

Traduzione di Lorenzo Mari

ACQUA CORRENTE

Tanto aggiustar di rubinetti per vedere scorrere l’acqua, l’acqua
per coltivare la tua simbologia di cose che periscono, l’acqua
per prestare acqua alla tua sete incalcolabile, l’acqua
per aiutarti a guardare tutto per la prima volta,
come se non avessi mai sbattuto le ciglia,
come se gli oggetti avessero smesso di essere inventati,
aspettando, non già di essere per sempre, ma di essere stati da sempre, acqua
per connettere i tuoi organi, per pulirti il cranio e convincerti
che non sei oggetto né bagno e convincerti
che devi compiere i tuoi giorni come uomo, acqua
da bere, per procurarti un’eternità,
come se essere eterni ci esimesse dall’essere impacciati,
come se per il fatto di essere eterni non ci scivolassero
frantumandosi a terra i bicchieri d’acqua

***

 Traduzione di Antonio Bux

ACQUA CORRENTE

Tanto aggiustare rubinetti per veder correre l’acqua, l’acqua
che irrighi la tua simbologia delle cose che periscono, l’acqua
che dia acqua alla tua incalcolabile sete, l’acqua
che ti aiuti a vedere ogni cosa per la prima volta,
come se non avessi mai sbattuto le ciglia,
come se gli oggetti avessero smesso d’inventarsi,
aspettando, non d’essere per sempre, ma essere stati da sempre, acqua
per collegare i tuoi organi, per lavarti il cranio e convincerti
che non sei né oggetto né bagno e convincerti
che devi compiere i tuoi giorni d’uomo, acqua
da bere, per procurarti un’eternità,
come se essere eterni ci dispensi dall’essere rozzi,
come se per essere eterni non ci mandassero
a gettare bicchieri d’acqua contro il suolo.

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BIOGRAFIA

 

 

David Leo García è nato a Malaga nel 1988. Ha pubblicato Urbi et Orbi (2006, Premio Hiperión) convertendosi nel vincitore più giovane della storia del premio, e Demanda de sol (2007). Ha ottuto, durante l’anno 2007/2008 una borsa di studio presso la Fondazione Antonio Gala di Córdoba. È autore anche di Dime qué (Barcelona, DVD, Premio Cáceres 2011). È presente nelle antologie La inteligencia y el hacha (2010, a cura di Luis Antonio de Villena), e Tenían veinte años y estaban locos (2011, a cura di Luna Miguel).

 

 

25 risposte a “Pas de deux # 1”

  1. In spagnolo l’opera presenta una straordinaria compattezza e continuità accentuata in modo anche parossistico dai ripetuti enjambement. In più credo che disorienti noi italiani la presenza di tante sibilanti e, tutto sommato, così poche liquide in un testo che parla d’acqua.
    Non credo però che questo dipenda solo dalla necessità della lingua (nella quale le sibilanti sono percentualmente tanto presenti sempre) ma anche dall’ipotetico superamento del dualismo che fa dello scorrere la premessa necessaria dell’essere. Se non fosse che poi la chiusa ci e si sottrae in due versi l’illusione prospettata.
    Tanto per riparare rubinetti per poi schiantare a terra i bicchieri d’acqua così volutamente lasciata scorrere.

    Vi propongo quindi una terza versione (la mia) un po’ più “asciutta” eppure un po’ più “liquida”.

    Tanto riparar rubinetti per veder scorrere l’acqua, l’acqua
    che reidrata la tua simbologia delle cose che si inaridiscono, l’acqua
    che presta acqua alla tua sete inconoscibile, l’acqua
    che ti aiuta a guardare tutto per la prima volta,
    come se non avessi mai sbattuto le palpebre alla luce,
    come se gli oggetti avessero smesso di inventarsi,
    in attesa, non di esser per sempre, ma piuttosto di esser sempre stati, acqua
    per raggiungere i tuoi organi, per lavare il cranio e convincerti
    che non sei oggetto né lavello e convincerti
    che devi svolgere i tuoi giorni da uomo, acqua
    per bere, per procurarti una qualche eternità,
    come se essere eterni ci sottraesse all’esser goffi,
    come se essere eterni ci impedisse di schiantare
    a terra in frantumi bicchieri d’acqua.

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  2. Non conosco lo spagnolo e le sue sfumature e non mi fido quindi assolutamente di una mia prima lettura, che può cadere nel tranello di un’apparente somiglianza all’italiano. Fin dal primo verso ho come l’impressione che nella traduzione di Mari ci sia più la ricerca di un compromesso tra il rispetto della lingua madre e l’adeguamento all’italiano (correre/scorrere d’acqua) che in alcuni punti risulta un po’ sforzato (“coltivare” invece che “irrigare” è decisamente interpretativo) mentre in quella di Bux leggo una trasposizione quasi “matematica” che rispetta sicuramente la lingua d’origine, ma che in italiano risulta fredda e in alcuni punti poco eufonica (“Tanto aggiustare rubinetti” per esempio). Sono impressioni, che nulla tolgono al lavoro dei due traduttori. Grazie

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  3. Grazie per il post. Molto bene Ileana, non era un testo semplice anche perché di un autore bisogna conoscere bene il modo di lavorare, e di David ho iniziato solo ora a saggiarne le peculiarità. Penso che la tua traduzione sia la meglio riuscita delle tre, effettivamente, proprio per le prospettive di aderenza al tema che hai saputo mantenere e rendere meglio nella nostra lingua. Io ho un problema traducendo in italiano, lo confesso, tendo a “spagnolizzarmi” e quindi ad adattare l’italiano allo spagnolo e non viceversa. Questo perché credo che la traduzione sia un tradimento rispetto al testo originario, e davvero, essendo anche un dilettante, mi dispiace allontanarmi troppo, anche solo musicalmente o concettualmente, dal testo. Credo che la tua traduzione invece sia ben bilanciata, ti faccio i miei complimenti, e ringrazio poetarum per l’ospitalità e Jacopo e i lettori per la loro partecipazione.

    Tuttavia credo sia un testo non semplice, anche perché, leggendo il poeta in questione, gioca molto tra l’ironia e la consapevolezza, mutando repentinamente il flusso del ritmo, scalando la tensione per poi tornare a renderla propulsiva mantenendo comunque una compattezza interna (penso specialmente ad altri testi dello stesso). È un piacere confrontarsi, per una crescita comune.
    Di questo testo particolarmente credo sia il distico finale il nodo focale, dove ho avuto particolari difficoltà nello scegliere l’interpretazione e la giusta coesione tra senso e musicalità.

    A presto per nuovi confronti, magari su altri testi e autori.

    Un saluto

    Antonio B.

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  4. P.s.

    Tuttavia credo che ciascuna delle tre traduzioni rilevi dei risvolti interessanti. Questo per far capire a molti, che anche essendo lo spagnolo una lingua più vicina a noi, rispetto a molte altre, comporti delle difficoltà non di poco conto, anche trovandoci in poesia.
    Questo mi rende felice e consapevole del difficile “mestiere” del traduttore, o di chiunque in generale si cimenti nel “gioco della tradimento letterario”.

    Ancora a presto

    Antonio

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  5. belle, le traduzioni, ognuna a suo modo. Ho apprezzato molto quella di Mari che trova soluzioni da poeta a volte anche coraggiose, e per questo efficaci.
    Nella traduzione proposta da Ileana mi è piaciuto il fatto che abbia riportato sia nel terzultimo che nel penultimo verso il “como si ser eternos nos eximiese”, perché è la chiave per far funzionare la chiusa. Tuttavia trovo perfetta la scelta operata da Mari “come se essere eterni ci esimesse dall’essere impacciati, / come se per il fatto di essere eterni non ci scivolassero / frantumandosi a terra i bicchieri d’acqua”, che riporta tutto al quel “como si … nos eximiese” padroneggiando la lingua italiana.
    bravi tutti.

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  6. Grazie a chi ha commentato finora, approfondendo molti degli aspetti legati al testo. Le due, ora tre, traduzioni proposte seguono strade diverse, nella conferma che la prossimità linguistica (ad esempio tra spagnolo e italiano) può essere molto ingannevole. Lavoro spesso troppo poco sulle sonorità della lingua, come rilevato da Ileana, e questo nella traduzione di poesia si paga. Mi ha tratto in errore, come si diceva, la stessa scelta ironica e digressiva, dell’autore, che usa pochissime liquide e molte sibilanti in un testo che ci si aspetterebbe viceversa molto ‘liquido’. Work in progress, then… Come molte traduzioni, del resto, che non possono dirsi definitive, per quanto vicine o vicinissime al bersaglio… Perchè il bersaglio non c’è, e se c’è si sposta molto rapidamente…

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    • trovo che lei invece abbia lavorato e molto sulle sonorità della lingua d’arrivo, non sulle liquide, che non c’erano e non andavano forzatamente introdotte, ma proprio sulla musica e sul ritmo del testo, come ho già detto, operando spesso scelte coraggiose, efficaci.

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  7. Vi ringrazio per la cortese accoglienza, nello spazio da voi scelto. E vi ringrazio per avermi consentito il piacere di provare a tradurre questa. Penso che aver letto le vostre traduzioni mi abbia facilitato il gioco, soprattutto per provare a staccarmi un po’ di più dallo spagnolo. A tradirlo un po’ di più per cercare di catturare quell’ironia impotente che mi pare tutta la sottende.
    Concordo con voi: lo spagnolo nella sua apparente parentela stretta con l’italiano tira dei brutti tiri…

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  8. Mi pare una partenza davvero ottima per questo nostro tentativo di dare spazio alle diverse sensibilità traduttrici. Non conosco lo spagnolo, quindi baso la mia opinione soltanto sul tradotto. Mi pare che il testo di Lorenzo scorra (o corra come l’acqua proprio) in maniera più limpida, paga forse la scelta di “rinuncia” di cui spesso si parla in traduzione, ovvero adeguare il testo alla nuova lingua, piuttosto che tradurlo fedelmente. Trovo, ad esempio, bellissimi i quattro versi finali resi da Lorenzo. Per quanto riguarda la versione proposta da Antonio Bux, trovo riuscita bene la parte centrale, mentre forse l’incipit e la chiusa risentono troppo di quella fedeltà allo spagnolo ammessa dal traduttore stesso.
    Sono contento anche dell’intervento di Ileana che è assolutamente nello spirito di questa rubrica e che regala una versione assai convincente. Il suo “riparar” (ad esempio) mi suona meglio dell’aggiustar di Lorenzo, e dell’aggiustare di Bux.

    Grazie a tutti.

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  9. Grazie Gianni, “riparar” é un’ottima scelta. Mi sono accorto subito che la mia versione ha due versi riuniti in uno solo, il che ovviamente non é intenzionale… L’a capo é intuitivo, ma se voleste correggere, mettendolo dopo “convincerti”… :) [comunque si capisce, si capisce]

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  10. Ogni volta che incrocio Lorenzo sulla mia strada, mi risveglio dai doveri dalle corse dalle beghe famigliari e vedo il buon uso dell’intelligenza-passione. Poesia, tradotta o composta una mollichina al giorno per essere presenti alla profondità del mistero.

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    • e poi si dirá che invito la mia claque… :) grazie maria beatrice, ma cerchiamo di mantenere la rotta aperta da Poetarum Silva, fortunatamente, non da me in primis :)

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  11. Trovo che questa sia un’iniziativa di assoluto interesse. La traduzione di poesia, nella sua impossibilità, acquista senso solo come dialogo che si apre fra due testi: qui, questo senso di condivisione, si amplia felicemente. Invio anch’io il mio piccolo contributo:

    Tutto questo riparare rubinetti per veder scorrere l’acqua, l’acqua
    che innaffi la tua simbologia delle cose periture, l’acqua
    che dia altra acqua alla tua sete incalcolabile, l’acqua
    che ti aiuti a guardare tutto per la prima volta,
    come se non avessi mai sbattuto le ciglia,
    come se gli oggetti avessero smesso di inventarsi,
    nell’attesa, non già d’essere per sempre, ma da sempre essere stati, acqua
    per congiungere i tuoi organi, pulirti il cranio e convincerti
    che non sei un oggetto né un bagno e convincerti
    che devi compiere i tuoi giorni di uomo, acqua
    per bere, per procurarti un’eternità,
    come se essere eterni ci esimesse dall’essere impacciati,
    come se, in quanto eterni, i bicchieri
    d’acqua non ci sfuggissero schiantandosi per terra.

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  12. Grazie Valerio, credo molto anch’io nell’iniziativa di Poetarum Silva, per quanto si affacci su un’impossibilità, come quella di tradurre poesia, che però tiene avvinti e appassionati molti di noi, e altri, che poi – si spera – verranno. Quanto alla tua versione, apprezzo i primi versi, che consegnano un’eleganza e un’attenzione fonetica che finora non avevo trovato così piena. “Nell’attesa”, come già “in attesa” di Ileana, è ottima scelta per il gerundio “esperando”. Anche “congiungere” è una formidabile alternativa. Quanto agli ultimi versi, non so se si tratta di errore di battitura o meno, ma stando a tutte queste versioni, almeno, manca un avverbio di negazione all’appello. Grazie ancora per aver sostenuto ed esserti prestato all’esperimento.

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    • credo anch’io, Mari, che l’assenza dell’avverbio di negazione fosse un errore di trascrizione, un’omissione involontaria; aspettiamo conferma da parte di Nardoni per eventualmente aggiungere quel “non” mancante al “ci sfuggissero” che segue.

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  13. L’andirivieni continuo tra testo fonte e traduzioni è in questo caso particolarmente ricco, obbliga, come un dito puntato che sa guidare, con la voce soave di chi sa affascinare, a ritornare sulla lettera dell’originale e sulla resa, in una conversazione serrata tra fedeltà e interpretazione. A ben vedere, anche l’aderenza al testo fonte – caratteristica espressa con efficacia dalla traduzione di Antonio Bux – è interpretazione e il distacco dall’originale per una scelta consapevole – già dalla prima lettura mi hanno colpito i due versi conclusivi nella traduzione di Lorenzo Mari – è ascolto attento. Si sono aggiunte poi, ulteriore arricchimento, le traduzioni di Ileana Izzillo e di Valerio Nardoni e ogni versione ha dischiuso un nuovo aspetto, rendendo evidente, a dispetto della fluida semplicità del primo sguardo, la complessità del testo di David Leo García. Sono molto grata per questo esempio brillante di “etica dell’ascolto”.

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  14. Devo dire che la poesia di David Leo è complessa, piena di sbalzi d’umore e caratteristiche differenti, e abbiamo scelto una poesia molto difficile, per l’occasione.
    Sicuramente David è uno tra i migliori poeti della sua generazione. Ho tradotto altre cose sue, apparse anche sul mio blog, per un’antologica di poeti nati tra metà anni ’70 e metà ’80 della poesia spagnola.

    Grazie anche ad Anna Maria Curci per l’ultimo commento, che leggo solo ora….

    Un saluto

    Bux

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