
La presenza di Hölderlin nella poesia italiana reca tracce visibili e significative, dal dialogo a distanza con Giacomo Leopardi, ben evidenziato dallo studio di Elena Polledri, al confronto ravvicinato, spesso tramite l’esercizio paziente della traduzione, con la sua opera: Stefano D’Arrigo, Giorgio Vigolo, Leone Traverso, Andrea Zanzotto sono solo alcuni dei nomi da menzionare in tale contesto. Il tributo al poeta tedesco di Zanzotto, che del premio letterario Friedrich Hölderlin fu insignito nel 2005, è ampio e dettagliato e merita di essere riproposto alla lettura. (Anna Maria Curci)
Andrea Zanzotto
Hölderlin e la traduzione
Il mio primo incontro con Hölderlin è avvenuto nel momento in cui stavo entrando all’università, avevo diciassette anni e iniziavo le frequenze a Padova. Un amico mi fece avere una vecchia edizione di Hölderlin in caratteri gotici, assicurandomi che avrei riconosciuto senza alcun dubbio un grande poeta, e io cominciai, col poco tedesco che avevo, a decifrarlo. In quel periodo esercitavo il massimo bricolage tra varie lingue e materie cercando di imparare un po’ di questo e un po’ di quello al di fuori dei programmi ufficiali. L’incontro con Friedrich Hölderlin è stato tanto intenso quanto quello con Rimbaud, e i due incontri sono avvenuti quasi contemporaneamente. Ho poi sempre cercato di capire veramente che cosa mi attirasse con tanta insistenza in questo grande. Ho incontrato a poca distanza di tempo le prime traduzioni; circolava quella di Vincenzo Errante. Era ampia e, quando l’ebbi sott’occhio, con quella mi aiutavo a capire. Presto si avvicendarono altre ben note traduzioni, a cominciare dall’«assaggio» di Contini, al lavoro fondamentale di Traverso; più tardi il lavoro insigne di Vigolo e quello notevole di Mandruzzato, che non posso mancare di ricordare, perché tutti motivo di confronti oltre che di consultazione, che segnarono il lungo mio cammino. L’amicizia con Giuseppe Bevilacqua mi fu preziosa, oltre che per l’avvicinamento a Celan anche per gli incontri con Hölderlin. Ora Reitani apporta decisivi avanzamenti a tutta la precisazione dei testi hölderliniani e alla loro comprensione capillare. Per quanto riguarda il fantasticato apprendimento di molte lingue, sono rimasto poi nel sacco dell’approssimatività. Ma continuai a memorizzare poeti, mi fornivo una specie di nutrimento poetico in varie lingue e per questa via Hölderlin prese una preponderanza del tutto particolare. In generale le mie letture sono sempre state un po’ casuali, ma erano incontri forti e persino sconvolgenti. Io non ho mai cominciato a compiere una lettura a tappeto di Hölderlin, pur avendo in seguito cercato di acquisire quanto era accessibile per la sua conoscenza; ho preferito lasciarmi andare alla sensazione dello scoprire e riscoprire, all’apertura di libro quasi magica. Mi soffermai più volte su quelle singole poesie che sembravano poter ricadere, come per rara coincidenza, nel mio campo di attenzione/memoria, e mi veniva fatto di ricordare specialmente la poesia rivolta «alla veneranda nonna», dato il grande amore che avevo per le mie, tanto che, molto tempo dopo, diedi una imitazione in dialetto nella parte finale di una sezione di Mistieròi ad esse dedicata: «… dann segne den Enkel noch Einmal,/ Daß dir halte der Mann, was er, als Knabe, gelobt» («Benedisè/ ancora ‘na òlta ‘l vostro nevodet,/ parché ades che l’è ‘n òn, debòto consumà,/ par voaltre ‘l mantegne quel che, tosatèl, l’à lodà»). Poteva poi balzare agli occhi la singolare poesia dedicata a Socrate e Alcibiade, anche perché ne aveva dato una bella traduzione in dialetto Giacomo Noventa.
Ma soprattutto all’inizio ci fu un’urgentissima ricerca di letture utili all’autoidentificazione; nessun poeta, anche amatissimo, aveva scritto come Hölderlin certe poesie che mi aiutavano a ritrovarmi. Evidenzio qui un frammento soprattutto, che mi toccò proprio fin dall’inizio, e che ho subito tradotto. Ho compiuto un esercizio di auto-riconoscimento attraverso quella traduzione, perché trattava di un vissuto che era mio, in quel momento (e che rimase forse costante nella mia vita), anche se quella cui Hölderlin si riferiva era una diversa situazione.
Si trattava cioè di un particolare tipo di suo necessario isolamento dove appare il Knabe incompreso: «Da ich ein Knabe war…» («Quando un pargolo io era/ sovente dal frastuono/ dalla sferza degli uomini/ in salvo un dio mi trasse./ Giocavo allor sicuro e buono/ con i fiori del bosco/ e le aurette del cielo con me giocavano;/ e come tu delle piante il cuore allieti/ quando verso di te rami teneri tendono,/ così il mio cuore allietasti/ Elio padre e come Endimione/ ero il tuo favorito, o santa Luna!/ O voi tutti fedeli/ amichevoli dèi, oh conosceste/ Voi come vi predilesse l’animo mio»). Rigiro talvolta tra le mani quei foglietti e traduzioni, ricordo di riletture e di incroci con altre traduzioni, e della formazione di un mio Hölderlin, quasi metafisico, divenuto anche lui, per me, uno di quei Götter. Nei miei libri cominciò così a entrare «di straforo» la sua presenza, come epigrafe e fors’anche come spinta a percorsi fonico-ritmici in qualche poesia. Entrò con commossa spontaneità nella seconda sezione di Dietro il paesaggio una citazione da Die Heimat, come esergo di Sponda al sole: «Ihr teuern Ufer, die mich erzogen einst…» («Voi care sponde, che m’educaste un giorno»). Le Ufer, in fondo queste sponde, il fiume, le colline sono il mio paesaggio solighese che ha qualche affinità esteriore con la Svevia di Hölderlin, anche se ora è difficile per me riconoscerlo attraverso tutte le alterazioni subite. Analogie fondamentali però sussistevano: la presenza costante della montagna, come orizzonte privilegiato e partitura del mondo, i pochi passi dal paese che portavano a un clivo, a un boschetto dove sentirsi vicini/lontani rispetto alla propria casa. Per me questa era davvero una necessità nell’infanzia e nella prima giovinezza, perché non mi sentivo capito, ero anch’io sotto la pressione di fattori psicologici negativi come le prime frustrazioni amorose o analoghi misconoscimenti. Certo le tensioni di Hölderlin erano assai diversamente motivate, ma la sacertà dei paesaggi che «salvano» era la stessa.
(da: Andrea Zanzotto, Con Hölderlin, una leggenda, pubblicato in: Friedrich Hölderlin, Tutte le liriche, a cura di L. Reitani, Milano 2001 e, in parte, in La soglia sull’altro. I nuovi compiti del traduttore, La Bottega dell’Elefante, dicembre 2007, 190-191)
4 risposte a “Hölderlin e la letteratura italiana: Andrea Zanzotto”
che bello questo contributo e quanta umiltà in Zanzotto.
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Grazie Anna Maria
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“nutrimento poetico in varie lingue e per questa via Hölderlin prese una preponderanza del tutto particolare”.
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Umiltà e studio e grazia: qualità per il migliore ascolto, che Zanzotto conferma anche in questa tappa fondamentale nella storia della ricezione in Italia di Hölderlin. Un saluto riconoscente a tutti voi che vi siete soffermati su questa pagina.
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