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Interviste credibili # 1 : Davide Tosches

Comincia oggi un ciclo di chiacchierate informali con musicisti, artisti, scrittori, poeti. La prima (non) intervista è al musicista piemontese Davide Tosches. (GM)

Gianni: Ciao Davide, prima tre domande di servizio : Hai un asino?
Davide: No, al momento ne sono sprovvisto, ma sto facendo delle valutazioni molto serie in merito

Gianni: Vivi nei boschi?
Davide: Passo nei boschi molto tempo e fra un mese mi trasferirò in una casa nel bosco, lì succede tutto, lì si respira la verità.

Gianni: Sei un cantautore?
Davide: Sono un musicista che suona tanti strumenti tutti a caso, un cantautore non ho ancora capito bene che cos’è, quindi non posso essere un cantautore. Come se io dicessi a te che sei il Dalai Lama o una sedia.

Gianni:“Il lento disgelo” è il titolo del tuo ultimo album (va bene se lo chiamo così? o preferisci Cd?); lo ascolto da quando me l’hai spedito (senza autografo, vabbè) e se dovessi definirlo in due parole direi: “aperto e avvolgente”. L’apertura mi viene in mente, perché le tue musiche (mi era successo anche con “Dove l’erba è alta” il tuo disco precedente) mi fanno sentire, letteralmente all’aperto, in balìa di un vento basso, costante. Questo avvolge, insieme alle parole e, in un certo senso, conforta. Che ne pensi?

Davide: Album va benissimo, per l’autografo provvederò quanto prima. Ti ringrazio molto, sono lusingato del fatto che possa essere considerato un disco che conforta e avvolge, del resto io faccio una musica molto “amichevole” in un certo senso, la sincerità è importantissima nel comporre musica, almeno per me. Quel che vedi se mi conosci, è quello che ascolti nei miei dischi. Poi, una cosa importante è sicuramente la mia irrinunciabile necessità di creare musica partendo da immagini, fenomeni naturali, emozioni; quando parti da queste cose, parti dal reale, o almeno dalla tua visione del reale, quindi non si può mentire, perché non c’è il contributo del pensiero razionale. Magari sarei anche in grado di scrivere canzoni che parlino di fatti di cronaca o altre cose che non ho vissuto, ma in questo momento proprio non mi interessa, non mi stimola.

Gianni: Si riesce a leggere e a scrivere ascoltando le tue canzoni, per come la vedo io è un merito, altri dicono di no, qual è la tua idea in proposito?
Davide: Sei la prima persona che me lo dice, di solito mi dicono che la mia musica ti trascina via da quello che stai facendo. Però mi fa piacere, anche se non so dirti molto riguardo a questa cosa, perché io non sono in grado di leggere o scrivere ascoltando musica, forse perché quando la ascolto, sono sempre molto attento. Riesco a dipingere o disegnare però, soprattuto ascoltando Lester Young o Duke Ellington.

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Gianni: Parlami della Controrecords
Davide: La Controrecords l’ho fondata nel 2009, per l’uscita del mio primo disco. Disco che non interessava praticamente a nessuno, così ho fatto da me e oggi siamo una dozzina di artisti, tutte persone splendide che condividono una visione musicale comune, quella dell’impegno, necessaria per fare dischi seri e curati. È più un collettivo che un’etichetta vera e propria, nessuno a parte l’artista ci guadagna niente, ognuno è il manager di sé stesso, ma con il supporto degli altri, quando necessario. Il concetto che sta alla base dell’etichetta è: se tu non fai niente, non succederà niente e se tu non sei il primo a credere al tuo talento e al tuo messaggio, non ci crederà nessuno. Dai, mandami una demo.

Gianni: (ok te la mando) Ho letto sull’ultimo numero de Il Mucchio un interessante (forse) articolo sulla nuova (o non ancora nuova) (o già vecchia) scuola musicale torinese. Esiste questa scuola torinese? Senti di farne parte? Trattasi di minchiata?
Davide: Non esiste alcuna scuola torinese, esistono persone che hanno voglia di collaborare e fare musica, ma sicuramente negli ultimi anni, hanno prevalso i singoli autori rispetto ai gruppi. Torino ha sempre avuto un grande fermento musicale fin dagli anni 70, ma l’attenzione non si era mai focalizzata sugli autori come in questo momento. Ci sono molte persone in gamba, se dovessi fare una lista comprenderebbe almeno una quindicina di nomi e non è poco per una città relativamente piccola e che negli anni si è guadagnata la fama di città grigia dove succede poco e niente.

Gianni: Quali sono i musicisti che non potresti fare a meno di ascoltare?
Davide: Troppi, ma proviamo a sparare qualche nome, anche se ne dimenticherò moltissimi: Joe Henry, Bruce Cockburn, Piero Ciampi, Bill Frisell, Frank Sinatra, Smog, Mimmo Locasciulli, World Party, Elvis Costello, Alice Cooper (fino al 1976), Tom Waits (fino a Mule Variations), 16 Horsepower, Jim White, Megadeth, Rush, Andrew Bird, Steven Wilson, Living Colour, Deacon Blue, Yma Sumac. Dai mi fermo, altrimenti occupo tutto il sito e il vostro provider si incazza.

Gianni: Il tuo album imprescindibile?
Davide: Closing Time di Tom Waits.

Gianni:Mi piace molto come usi le parole insieme alla musica. L’effetto per chi ascolta è che nessuno dei due aspetti assecondi l’altro ma che l’armonia tra suoni e testi sia quasi spontanea, è così?
Davide: È così, è assolutamente necessario per me che se un brano abbia un testo, quel testo debba già avere un suo suono. Non scrivo con strutture ben definite, non scrivo in rima, ma le adatto, appunto in modo spontaneo alla musica, come fanno le piante fra di loro per creare un bosco.

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Gianni: Invidio molto le foto che posti all’alba su Facebook, com’è vivere fuori dalla città? (ma viverci sul serio, non come Carboni che ci è andato adesso e di colpo costruisce mobili)
Davide: Vivere fuori dalla città è la dimensione naturale dell’uomo, è come la differenza fra respirare spontaneamente o essere attaccati ad una bombola di ossigeno. Le città attuali, sono il primo esempio storico di realtà virtuale, di distorsione della realtà e dell’allontanamento da noi stessi, una sorta di schizofrenia collettiva. Si accetta la follia, che diventa la normalità e si nega la dimensione naturale, che viene percepita come falsa, come romantica e non possibile. Ho amici che hanno paura delle api, dei serpenti, delle spine, della pioggia e del vento, come se fossero cose che non gli appartengono, non mi sembra una cosa possibile, eppure è così. Sai, spesso le persone mi accusano di essere estremista quando faccio questi discorsi, ma la domenica invadono le campagne perché non ce la fanno più e poi ti dicono: “caspita come si mangia bene in trattoria”, oppure “questa è vita”, “hey, ma queste albicocche sono vere!” e altre scemenze del genere che si commentano da sole. Senti, già che ci siamo, dammi l’indirizzo di Carboni che mi serve un comodino. Li farà anche con il piano in pietra di Luserna? Metti una buona parola che sto spendendo un sacco di soldi ultimamente…

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Gianni: La scena musicale indipendente italiana lo è sul serio, o è un’approssimazione giornalistica?
Davide: È sempre un’approssimazione giornalistica, come pure i generi musicali. Poi, indipendente da che cosa, nessuno l’ha ancora capito.

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Gianni: Il nostro è un blog letterario ti va di raccontarmi delle tue letture, i libri che contano per te e, se vuoi, se ce sono, quali sono i poeti che ami?
Davide: Leggo moltissimo, di solito la sera prima di andare a dormire, di giorno chissà perché faccio più fatica, ma a volte capita. Negli anni ho letto e amato moltissimi autori (e li amo ancora) come Erskine Caldwell, Steinbeck, Buzzati (forse il mio preferito), David Goodis, Andrea G. Pinketts, Bukowsky. Negli ultimi anni, ho adorato alcuni libri di Frank Schätzing (Il mondo d’acqua) di Alain De Botton (L’importanza di essere amati), Ray Bradbury (Fahrenheit 451), George Orwell (1984) e altri che adesso non mi vengono in mente, ah sì, anche il libro di Woody Guthrie (Questa terra è la mia terra) e l’unico in italiano di Lenny Bruce (Come parlare sporco e influenzare la gente). Il libro più importante che ho letto negli ultimi anni, è stato forse il diario di Eugène Delacroix, un autentico capolavoro che ha contribuito a consolidare la mia visione della vita. Anche “Un amore” di Buzzati è sicuramente un testo di una potenza incredibile. Poesia, a dirti la verità ne leggo poca, ma per caso, perché mi piace molto. I poeti che apprezzo di più sono Kenneth Patchen, Ezra Pound (non solo per la poesia), Lawrence Ferlighetti, William Blake, Neruda, Eliot, Bukowsky (anche se molti non lo definiscono un poeta) e anche quel poeta rumeno, come si chiama? Ah si, Bacovia, meraviglioso. Dimentico sicuramente qualcuno…

Gianni: Ti ricordo che mi devi un autografo e, almeno un paio di bicchieri, segnatelo.
Davide: Segnato, non ti preoccupare. Tu prendi l’autostrada in direzione Torino e quando sei nei pressi di Chivasso telefonami e ti dico come arrivare da me. Mi raccomando, avvisami almeno mezz’ora prima perché sono molto impegnato.

(c) intervista di Gianni Montieri

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al link qui sotto potrete leggere qualche notizia in più su Davide Tosches:

Toschesbio

9 risposte a “Interviste credibili # 1 : Davide Tosches”

  1. davvero bellissima, Gianni! grazie.

    “Davide: È così, è assolutamente necessario per me che se un brano abbia un testo, quel testo debba già avere un suo suono. Non scrivo con strutture ben definite, non scrivo in rima, ma le adatto, appunto in modo spontaneo alla musica, come fanno le piante fra di loro per creare un bosco.”

    un’immagine perfetta per l’unione di parole e musica, ma vale anche per l’intersecarsi di voci strumentali, vale per il contrappunto; un’immagine-conferma di quello che penso, e cioè che armonia non significa perfezione formale o linearità, perché un bosco non è perfetto né lineare, ma si forma nell’intreccio delle parti, diventa Uno, nonostante la sua natura confusa. Percepisco questo senso di armonia nell’impressionismo musicale, o nella plurivocità delle opere di Ravel (penso a Daphnis et Chloè, la cui Suite non a caso comincia nell’immagine di un bosco che si risveglia), dove tutte le voci apparentemente caotiche convergono in un risultato grandioso. Ma è un’armonia che trovo anche nella musica di De Andrè, dove la scelta del ritmo si sposa con la scelta di un timbro della voce, quella del cantastorie.

    grazie

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  2. mea culpa – non conoscevo Davide Tosches, e già per questo ti ringrazio, Gianni.
    poi ti ringrazio per questo dialogo così fuori dall’ordinario schema dell’intervista asettica e preconfezionata.

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  3. L’impostazione non convenzionale dell’intervista dà modo all’intervistato di estendersi, in evidente souplesse, in profondità e ampiezza, tra scelte e predilezioni. Curiosità destata a dovere, non mi resta che ascoltare la sua musica. Lo farò,

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  4. Quest’intervista mi piace moltissimo perché, proprio come dice Nat, è fuori dagli schemi ed è intelligente.
    Sono sempre molto incuriosita dai gusti di un artista, anche di un artista che non conosco e che ora sto ascoltando con grande piacere: dicono qual è stato il suo percorso personale e dicono qualcosa anche riguardo la sua scrittura.

    Io leggo qui anche che le grandi città ancora permettono un senso di ‘appartenenza artistica’ ma ancora di più lo permettono le periferie, dove la vita è forse più lenta ma ancora vera (come le albicocche); basti pensare ai piccoli festivals che si organizzano in ogni dove in tutta Italia, nei luoghi di provincia più disparati, dove artisti come Davide e appartenenti alle piccole etichette o agenzie trovano sempre spazio.

    Mi ricollego alla metafora del bosco, perché c’è in questo paese (forse meno che in altri in Europa, ma c’è) un sottobosco fertile di cultura musicale indipendente.

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