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Heinrich Böll, Tutti i giorni Natale

Heinrich Böll scrisse Nicht nur zur Weihnachtszeit (racconto tradotto in italiano con il titolo Tutti i giorni Natale) sessant’anni fa. Trent’anni fa l’ho letto per la prima volta e torno spesso a scorrerne le pagine, sempre spiazzata dalla attualità della sua satira, nella duplice dimensione pubblica e privata. Allora largo a zia Milla e alla sua strampalata famiglia, chissà che qualcuno non si riconosca e riconosca qualcuno.
Dal racconto riporto i primi due dei dodici capitoli e invito tutti a leggerne il seguito nel volume Racconti umoristici e satirici (Aus: Gesammelte Erzählungen von Heinrich Böll.© 1981 Verlag Kiepenheuer & Witsch, Köln; Die Schwarzen Schafe © 1983 Lamuv Verlag, Bornheim-Merten. Traduzione di Lea Ritter Santini; Qualcosa accadrà Diario della capitale sono tradotti da Marianello Marianelli; © 1964 Gruppo Editoriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno, Etas S.p.A., Milano)

 

Tutti i giorni Natale
1

Si cominciano a notare nella nostra parentela dei fenomeni di decadenza che per un certo periodo ci siamo sforzati in silenzio di non vedere; ma ora siamo decisi a guardare in faccia il pericolo.
Non vorrei già azzardare la parola crollo, ma gli avvenimenti preoccupanti si moltiplicano in tal maniera da rappresentare un pericolo e mi costringono a raccontare cose che suoneranno certo sorprendenti alle orecchie dei miei contemporanei, ma che nessuno può mettere in dubbio. Le muffe della decomposizione si sono annidate sotto la crosta spessa e dura del decoro, colonie di mortali parassiti che annunciano la fine dell’integrità di tutta una razza.
Oggi dobbiamo rimpiangere di non aver ascoltato la voce di nostro cugino Franz, che cominciò presto a farci notare le terribili conseguenze che avrebbe avuto un fatto “di per sé innocente”.
Un avvenimento in sé così irrilevante che la misura delle sue conseguenze ora ci spaventa; Franz ci aveva avvertiti in tempo. Purtroppo godeva di ben poca reputazione. Aveva scelto una professione che non era mai comparsa sino allora in tutta la nostra parentela e che non avrebbe nemmeno dovuto comparire: Franz fa il pugile. Melanconico già nella giovinezza, e di una devozione che venne sempre definita: “esagerato fervore” prese presto strade che diedero non poche preoccupazioni a mio zio Franz – uomo dal cuor d’oro. Quel figliolo aveva la passione di sottrarsi ai suoi doveri scolastici, in una misura che non può venir definita normale. Si incontrava con equivoci compagni in parchi fuori mano ed in folti cespugli di periferia. Là si esercitavano nelle dure regole dei pugni e delle lotte, senza mostrarsi per nulla preoccupati del fatto che il retaggio umanistico venisse così trascurato. Questi “duri” mostrarono ben presto i vizi della loro generazione, che ha già dimostrato nel frattempo di non valere nulla. Le eccitanti battaglie spirituali dei secoli passati non lì interessavano, occupati com’erano con le dubbie eccitazioni del proprio secolo. All’inizio mi sembrò che la devozione di Franz fosse in contrasto con questi regolari esercizi di attiva e passiva brutalità. Pure oggi comincio a capire qualcosa: dovrò tornarci sopra.
Fu dunque Franz che ci avvertì in tempo, si tenne lontano da certe feste da lui definite storie inutili, eccessive e che più tardi si rifiutò di aver una qualsiasi parte nelle misure necessarie per il mantenimento di quelle che egli aveva appunto chiamato storie inutili. Pure – come ho già detto – godeva di troppo poca reputazione per essere preso in considerazione dalla parentela. Ora, d’altra parte, le cose sono
arrivate a tal punto che noi non sappiamo cosa fare, come riuscire a fermarle. Franz è diventato da tempo un pugile famoso, ma rifiuta le lodi che la famiglia gli tributa, con la stessa indifferenza con cui allora rifiutava ogni critica. Suo fratello però – mio cugino Johannes – un uomo per cui io avrei messo sempre la mano sul fuoco, avvocato di grido, il figlio più amato di mio zio Franz, Johannes, dicono si sia avvicinato al partito comunista, voce questa cui mi rifiuto accanitamente di credere. Mia cugina Lucie, finora una donna normale, pare accompagnata dal meschino consorte, si sarebbe data, in locali equivoci, a danze per le quali non so trovare altro aggettivo che quello di esistenzialiste. Lo stesso zio Franz, quest’uomo dal cuor d’oro, avrebbe detto di essere stanco della vita, lui che fra tutti i parenti era consi-derato un modello di vitalità ed un esempio di quel che abbiamo imparato a chiamare un commerciante cristiano. Intanto si moltiplicano i conti dei medici, si chiamano a consulto psichiatri. Solo la zia Milla, causa prima di tutti questi fenomeni, gode ottima salute, sorride, è tranquilla e serena come è sempre stata. La sua freschezza e la sua verve cominciano però ora a preoccuparci, dopo che per lungo tempo ci era stato così a cuore il suo benessere. Perché ci fu una crisi nella sua vita che minacciò di diventare preoccupante. E qui devo entrare in dettagli.

2

È semplice scoprire risalendo agli inizi l’origine di una inquietante serie di fatti: lo strano è che solo ora, osservandoli obiettivamente, i fatti che da quasi due anni avvengono nella cerchia dei miei parenti, mi appaiono straordinari. Avremmo dovuto arrivarci prima a capire che c’era qualcosa che non funzionava. Sul serio, c’è qual-cosa che non funziona – e se mai qualcosa ha funzionato – io ne dubito – certo qui accadono fatti che mi riempiono di terrore. La zia Milla era famosa in famiglia perché la cosa che le piaceva di più era addobbare l’albero di Natale; un debole innocente, anche se particolare, pure abbastanza diffuso nella nostra patria. Tutti sorridevano con indulgenza di questa sua piccola mania, e l’avversione, che Franz già nella prima giovinezza – aveva manifestato per tutte quelle “cianfrusaglie” era oggetto della più violenta indignazione tanto più che Franz era di per se stesso un fenomeno sconcer-tante. Si rifiutava di collaborare all’addobbo dell’albero di Natale. Tutto fino ad un certo punto procedeva normalmente. Mia zia, si era abituata all’assenza di Franz durante i preparativi delle settimane dell’avvento e a che – durante la festa – compa-risse solo per il pranzo. Non se ne parlava nemmeno più.
Pur rischiando di rendermi odioso, debbo qui ricordare un fatto, in difesa del quale posso soltanto dire che esso è vero: negli anni dal 1939 al 1945 abbiamo avuto la guerra. In guerra si canta, si spara, si discorre, si combatte, si soffre la fame e si muore e si buttano bombe; tutte cose poco allegre, e ricordandole non voglio assolutamente annoiare i miei contemporanei. Sono costretto a ricordarle perché tutte hanno avuto la loro importanza per la storia che voglio raccontare. La guerra venne infatti avvertita dalla zia Milla solo come una forza che aveva cominciato già a Natale del 1939 a mettere in pericolo il suo albero di Natale. Senza dubbio il suo albero di Natale era di una particolare sensibilità.
La principale attrazione dell’albero di Natale della zia Milla erano dei nanetti di vetro che tenevano nelle braccia alzate un martelletto di sughero; ai loro piedi erano appese incudini a forma di campana. Alle suole dei nanetti erano fissate delle candele; raggiunto un certo grado di calore, cominciava a muoversi un meccanismo nascosto, una frenesia nervosa si comunicava alle braccia dei nanetti che battevano come matti coi loro martelli di sughero sulle incudini a forma di campana e provocavano – una dozzina in tutto – un fine tintinnio concertante, come una musica di elfi. In cima all’abete era attaccato un angelo vestito d’argento, dalle guance rosse, che a determinati intervalli muoveva le labbra e sussurrava “pace, pace”. Il segreto meccanico di quest’angelo, custodito gelosamente, mi si è rivelato solo più tardi, sebbene allora avessi occasione di ammirarlo quasi ogni settimana. Ma dall’abete di mia zia pendevano una infinità di altre cose, caramelle di zucchero, biscottini, figurine di marzapane, zucchero filato – e da non dimenticare – i fili di stagnola: attaccare tutte queste cosine, questi ornamenti – mi ricordo ancora – richiedeva una notevole fatica. Tutti dovevano partecipare e nessuno della famiglia, la sera di Natale, aveva appetito, per la tensione nervosa e lo stato d’animo – per così dire – era terribile: tranne che per mio cugino Franz che non aveva partecipato a tutti questi preparativi e che unico godeva e gustava l’arrosto, gli asparagi, il gelato e la panna. Quando poi per Santo Stefano noi arrivavamo in visita e osavamo esprimere l’azzardata ipotesi che il segreto dell’angelo parlante si basasse sullo stesso meccanismo che fa dire a certe bambole “mamma” e “papà” raccoglievamo soltanto risate di scherno.
Si potrà immaginare quindi come le bombe cadute nelle vicinanze mettessero in estremo pericolo un albero così sensibile. Ci furono scene terribili quando i nanetti caddero dall’albero: una volta cadde addirittura l’angelo. Mia zia era inconsolabile. Dopo ogni incursione aerea, cercava di rimettere a posto, con enorme fatica, tutto l’albero com’era prima e tentava per lo meno di mantenerlo in vita durante i giorni di Natale.
Ma già nel 1940 non c’era nemmeno più da pensarci. Rischiando di nuovo di rendermi molto antipatico, devo qui ricordare brevemente che il numero delle incursioni aeree sulla nostra città fu realmente notevole per non parlare della loro violenza. Ad ogni modo l’albero di Natale di mia zia fu una vittima – parlare di altre vittime me lo impedisce il filo del discorso – della moderna tattica di guerra: esperti stranieri di balistica ne spensero temporaneamente l’esistenza.
Tutti partecipammo al dolore di nostra zia che era una donna amabile e simpatica. Ci fece dispiacere che si dovesse dichiarare disposta – dopo dure lotte, dispute infinite, dopo lacrime e scene, a rinunciare al suo albero per tutta la durata della guerra.
Per fortuna – o debbo dire per sfortuna? – questa fu l’unica cosa per cui si accorse della guerra. Il bunker che mio zio aveva costruito era a prova di bomba, e poi c’era sempre una macchina pronta per portare la zia Milla in regioni in cui nulla si notava degli effetti della guerra; si fece tutto per risparmiarle la vista delle paurose distru-zioni. I miei due cugini ebbero la fortuna di non conoscere la guerra nella sua forma più dura: Johannes entrò subito nella ditta di mio zio, che aveva una parte decisiva nell’approvvigionamento di frutta e verdura per la nostra città. Inoltre soffriva di cistifellea. Franz invece andò soldato ma gli venne solo affidata la sorveglianza di prigionieri, posto in cui ebbe l’occasione di rendersi odioso ai suoi superiori militari perché trattava come esseri umani i russi e i polacchi. Mia cugina Lucie allora non era sposata e aiutava nell’azienda. Un pomeriggio alla settimana aiutava – in servizio di guerra volontario – a ricamare croci uncinate in un laboratorio.
Ma non voglio qui elencare i peccati politici dei miei parenti. Nell’insieme comunque non mancavano né denaro né generi alimentari, né ogni necessaria sicurezza e per mia zia era solo amara la rinuncia al suo albero. Mio zio Franz, quest’uomo dal cuor d’oro ha accumulato in quasi cinquant’anni meriti notevoli comprando aranci e limoni in paesi tropicali e subtropicali e rimettendoli poi in commercio con un notevole aumento. Durante la guerra estese il suo commercio anche a frutta e verdura di minor pregio. Ma dopo la guerra tornarono le frutta piacevoli, cui andava il suo maggior interesse, gli agrumi, che furono pure oggetto del più attento interesse anche da parte di ogni genere di compratori. Lo zio Franz riuscì a rimettersi in primo piano e ad assicurare alla popolazione il godimento di vitamine e a se stesso quello di un notevole patrimonio.
Ma aveva quasi settantanni, voleva mettersi a riposo, lasciare l’azienda nelle mani del genero. Fu allora che si manifestò quell’avvenimento che allora deridemmo e che ora ci appare invece l’origine di tutte le successive miserande conseguenze. La zia Milla ricominciò con l’albero di Natale. Era una cosa in fondo innocente: persino la tenacia con cui volle che tutto fosse “come prima” ci strappò solo un sorriso.
Dapprima non c’era davvero ragione che prendessimo questa cosa troppo sul serio. La guerra aveva distrutto tante cose la cui ricostruzione ci procurava maggiori pensieri: perché privare – dicemmo – una deliziosa signora anziana di questa piccola gioia? Ognuno sa quanto fosse difficile allora trovare burro è lardo: persino per lo zio Franz con tutte le migliori relazioni – era impossibile procurare, nell’anno 1945 figure di marzapane, ciondoli di cioccolata e candele; solo nel 1946 si poté avere tutto. Per fortuna si era salvata una serie completa di nanetti e di incudini e anche un angelo.
Mi ricordo ancora bene del giorno in cui fummo invitati: era il gennaio del 1947, fuori faceva un gran freddo, ma da mio zio era caldo e di cibi non mancava niente. Quando si spensero le lampade e si accesero le candele, quando i nanetti comincia-rono a battere col martelletto sulle incudini, l’angelo a sussurrare “pace, pace”, mi sentii trasportare indietro, in un tempo che avevo creduto ormai passato.
Pure, anche se sorprendente, questo avvenimento non aveva nulla di straordinario. Straordinario fu invece quanto vidi tre mesi dopo.
Mia madre – era già metà marzo – mi aveva mandato dallo zio Franz per vedere se “non ci fosse niente da fare”. A lei importava la frutta. Gironzolai nel quartiere vicino – l’aria era mite, imbruniva – non sospettavo nulla. Passai vicino ai mucchi di macerie verdi di erba, al parco inselvatichito, apersi la porta del giardino di mio zio e mi fermai inebetito. Nel silenzio della sera si sentiva chiaramente che nel soggiorno di mio zio si stava cantando. Cantare è una buona e sana abitudine tedesca e ci sono molte canzoni dedicate alla primavera, ma io intesi chiaramente:
“O Bambino divino, dai riccioli d’oro”.
Debbo confessare che restai sconcertato. Mi avvicinai lentamente, attesi la fine del canto. Le tende erano chiuse, mi chinai a guardare dal buco della serratura. In quel momento arrivò alle mie orecchie il tintinnio delle campane dei nanetti ed udii chiara-mente il bisbigliare dell’angelo: “pace, pace”. Non ebbi il coraggio di entrare e tornai lentamente a casa.
In famiglia il mio racconto provocò divertimento generale, ma solo quando comparve Franz e ci fornì i particolari, sapemmo cosa era accaduto.
Nei giorni della Candelora, il tempo cioè in cui si spogliano nei nostri paesi gli alberi di Natale, si gettano fra l’immondizia, da dove i ragazzini sfaccendati li riprendono, li trascinano fra la cenere e altre porcherie e li usano per ogni sorta di giochi, nei giorni della Candelora dunque, era successa la cosa terribile. Quando mio cugino Johannes, dopo aver acceso per l’ultima volta l’albero la sera della Candelora, cominciò a staccare i nanetti dai loro uncini la mia – fino allora – così dolce zia cominciò a urlare da far pietà e tanto forte e tanto improvvisamente che mio cugino spaventato perse il controllo dell’albero che già leggermente oscillava e fra scricchiolii e sinistri tintinnii – nanetti e campane, incudini e angelo, tutto precipitò fra le urla di mia zia.
Mia zia urlò per quasi una settimana; telegraficamente vennero chiamati a consulto neurologi, psichiatri arrivarono a tutta velocità in taxi, ma tutti – anche i grandi luminari – se ne andavano spaventati, alzando le spalle.
Nessuno aveva saputo por fine a quell’acuto ed assordante, sgradevole concerto. Solo le medicine più forti recarono alcune ore di pace ma le dosi di Luminal che possono venir somministrate giornalmente ad una sessantenne, senza metterne in pericolo la vita, sono purtroppo minime. È però un tormento avere in casa una donna che urla con tutte le sue forze: già il secondo giorno la famiglia era sfinita.
Non diede alcun risultato nemmeno il conforto del prete che era solito intervenire alla festa della notte di Natale: mia zia continuava a urlare. Franz si attirò l’antipatia di tutti perché consigliò di fare dei veri e propri esorcismi. Il parroco lo rimproverò, la famiglia sconcertata dalle sue idee medievali era scandalizzata, la fama della sua brutalità superò per alcune settimane la sua fama di pugile. Frattanto si tentava di tutto per liberare mia zia dal suo stato. Ella rifiutava il cibo: si fece ricorso all’acqua fredda, ai pediluvi caldi, alle cure idroterapiche, i medici aprirono i loro manuali; cercarono il nome di questo complesso, ma non lo trovarono. E mia zia urlava. Urlò tanto finché a mio zio Franz, quest’uomo dal gran cuore, non venne l’idea di trovare un nuovo abete. […]

(da: Tutti i giorni Natale, in Heinrich Böll, Racconti umoristici e satirici, Bompiani, Milano 2007, pp. 61-76)

3 risposte a “Heinrich Böll, Tutti i giorni Natale”

  1. Quando lessi Tutti i giorni Natale pensai con forza: così! Così bisognerebbe fare per spogliare Natale, sempre, davanti a tutti, tutti i giorni.
    Fino a quando con un Natale piccolino e nudo non si riesca di nuovo a dialogare.

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