A cura di Annachiara Atzei
“L’arte – nella lingua, la poesia – è quel dispositivo, strumento, tecnologia, pratica che ci consente questo riallineamento di noi rispetto a un senso che probabilmente non c’è, o che comunque non siamo (stati) ancora in grado di capire e di cogliere. E quello che nella poesia inventiamo, nel doppio senso di scoprire, trovare e di creare”
“Che cosa resta alla fine di tutto? Per te, la poesia. Che cosa c’è ancora alla fine di un mondo, cos’è Terza natura? La poesia.”
Laura Pugno, L’oltre
Di un libro ci stupiscono le domande che pone, l’irrisolto, il dubbio che lascia, la capacità di accedere a nuovi orizzonti di senso. Succede questo ne L’oltre – Poesia, Terzo paesaggio, Terza natura?, l’ultimo lavoro di Laura Pugno per Il Saggiatore, in cui l’autrice ragiona intorno all’idea di poesia come luogo di immaginazione e di transito, in continua ridefinizione di sé e del suo rapporto con il circostante. Il saggio nasce dalla riflessione sul concetto di terzo paesaggio elaborato da Gilles Clément (paesaggista, docente e scrittore francese) per giungere a tracciare una analogia con lo stato della poesia italiana e non solo. Come ripensarla? Come porla in relazione con il proprio tempo?
A partire da queste domande, L’oltre attraversa territori inattesi – in apparenza lontanissimi dal discorso letterario ma che pure lo lambiscono, lo modellano, lo intridono – che diventano strumento per nuove interpretazioni e riletture di una contemporaneità dove meraviglia e orrore si mescolano insieme. All’interno di questo spazio ibrido e magmatico, abbiamo necessità di aprirci senza pregiudizi a un pensiero nuovo e di trovare nuove parole per descriverlo. Prova a farlo la poesia – che evoca, è evocata ed è libera: come dice Pugno in questa intervista: “il più individuale dei linguaggi, il più comune e il più vasto”.

Come nasce questo libro? E perché “L’oltre”? C’è ancora qualcosa di impensato, sia dentro che fuori dalla poesia? Ti senti di fare qualche ipotesi?
L’impensato, il non ancora pensato e non ancora detto in poesia, perché L’oltre in fondo è questo, è ciò che sta subito – e sempre – fuori portata, un territorio che non si riduce mai, di cui cogliamo sempre bagliori. Da questo punto di vista la poesia non è mai stasi, è sempre movimento. Ogni epoca ha il suo, e in poesia si avverte più forte il tentativo di andare oltre le categorie del pensiero – che è corpo – che ci hanno tenuto, e tenuto stretti, fino a quel momento. La nostra, di epoca, si sta riscrivendo completamente, in modi meravigliosi e in modi terribili, e quindi la tensione verso l’impensato, la percezione di questa impressionante materia oscura, è particolarmente forte. Più concretamente, L’oltre, come saggio, riprende e forse chiude un discorso iniziato ormai sette anni fa, se non più, con In territorio selvaggio. Corpo romanzo comunità (Nottetempo, 2018). In un certo senso In territorio selvaggio, Noi senza mondo (Marsilio 2024), che è una sorta di saggio-romanzo, e L’oltre sono capitoli di un unico libro.
Partendo dalla definizione di terzo paesaggio – concetto elaborato da Gilles Clément – come “serbatoio di destini”, viene spontaneo domandarti se è questa la dimensione che lo accomuna alla poesia.
Se dovessi rispondere a titolo personale direi certamente. E la poesia è il più individuale dei linguaggi, quello che si sceglie e non si sceglie allo stesso tempo e nel modo più profondo, e insieme il più comune a tutti, il più vasto.
Lo spazio residuale è il luogo in cui maggiormente si sviluppa la diversità: come si concilia questo concetto con l’ansia classificatoria del presente?
All’ansia classificatoria, diciamo così, risponde con sempre maggiore forza un desiderio di ibridazione, di metamorfosi, di nuovi pensieri – nuovi corpi che necessariamente cercano nuove parole. La poesia è meravigliosamente situata per fare tutto questo, da una posizione, da uno spazio, di libertà. In questo senso è veramente la casa dei dèmoni, per usare un’altra espressione che Gilles Clément dedica al Terzo Paesaggio. L’idea giocosa di una Tavola periodica della poesia, che viene accennata ne L’oltre, fa riferimento proprio alla suggestione che esistano elementi di scrittura nuovi – non chimici, naturalmente – appena intuibili, alle soglie dell’impercepito, e che forse sono sul punto, per noi, in noi, di manifestarsi… quello che ci viene richiesto è un esercizio di coraggio e di attenzione, verso l’interno e verso l’esterno.

La poesia è in continua trasformazione: che cosa la può definire oggi?
Qualche anno fa ho dedicato a questa domanda la Mappa immaginaria della poesia italiana contemporanea (Il Saggiatore, 2021), che fa uso sia di intelligenza artificiale ante litteram che di intelligenza infografica umana, e per questo ringrazio in modo particolare, tra i molti che hanno contribuito al saggio, Elio Mazzacane e Lorenzo Verna. L’antinomia tra poesia “lirica” e “di ricerca”, che pure la Mappa fotografa perché è ancora viva nelle menti di questi anni, si sta smagliando e la scrittura si muove verso nuovi destini, per riprendere la domanda precedente. È un gesto vivificante, di cui non è ancora del tutto visibile la portata, e che richiede forza, tempo, e in un certo senso speranza. E tuttavia, la poesia sa essere fulminea…
C’è un brano de L’oltre o qualche tuo verso che – pensandoci anche a posteriori – esprima con particolare efficacia il messaggio che il libro contiene? Vuoi regalarcelo?
Saggio e poesia naturalmente si richiamano e risuonano e così rispondo a questa domanda con i versi – in realtà cronologicamente precedenti – del mio ultimo ad oggi libro di poesia I nomi (La Nave di Teseo) e in particolare con il I movimento della serie La parola fa questo:
la parola fa questo
I
I corpi si dispongono
intorno a te con le loro ombre,
sono nello spazio
sono lo spazio e tu
conosci per sempre i loro nomi
ne prenderanno altri,
anche quelli
conoscerai, sarà tempo.
Ora, da sola,
da solo,
li vedi che usano il corpo con calore,
che toccano
come se conoscessero,
senza sfiorare la materia d’ombra,
il suo peso,
il nero che la muove
la luce separa nettamente
da qui e oltre sé
visibile, invisibile, infrarosso –
sai che è lì,
che non lo percepisci, è la tua stessa
luce-incendio.
Il giorno dopo trovi queste parole,
pietra oscura,
pietra splendente.
Da luoghi diversi ti chiamano,
nominano ciò che non
hai visto ancora,
e dalla lamina d’oro
viene questa parola, agnello
cadesti nel latte,
così bianco cadi –
come se non ci fosse altro bianco,
altro libro da scrivere:
ma la lingua nuova, sempre, le nuove cose
la chiedono e sotto,
o dietro, nel nascosto,
ciò che è cosa da sempre,
la chiede a te, impara
il balbettio del mondo,
il giorno già accecante che ti riscalda le spalle,
poi se la notte cade
lentamente o di colpo, e in quale punto del mondo,
sceglierai il suo cadere, il cambiamento –
in quale punto del mondo sei a dire,
in che lingua
confondi la tua
e parli solo, allora
la lingua del sole sulle cose,
nel cieco del corpo?
o la sua parte, che più vede:
la poesia che puoi portare
in tasca, che scrivi su ogni specchio
o riflesso, sulle luci che in tasca
ti bruciano,
e il conto degli attraversamenti
non va a zero,
tutti i mari ricordati,
dove i nomi e gli oceani si incontrano e oltre,
c’è solo una terra bianca, penisola, il non scritto, e oltre.
*
Laura Pugno (Roma, 1970) è poeta, narratrice e saggista. Collabora con il Venerdì e tuttolibri,scrive per il teatro, il cinema, la radio e fa parte del comitato scientifico del premio Strega Poesia. Dal 2015 al 2020 ha diretto l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid. Tra i suoi ultimi libri ricordiamo i romanzi La ragazza selvaggia (2016; premio Campiello Selezione), Sirene (2017), La metà di bosco (2018), Noi senza mondo (2024), i saggi In territorio selvaggio (2018), Oracolo manuale per poete e poeti (2020; con Giulio Mozzi) e le raccolte di poesie L’alea (2019), Noi (2020; premio internazionale Franco Fortini) e I nomi (2023). Nel 2021 il Saggiatore ha pubblicato la Mappa immaginaria della poesia italiana contemporanea.
In copertina: Edvard Munch, Fumo di treno, 1900

