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Un fare versi sguinzagliato dal volto – Su Specie Domestica di Roberto Masi

 Di Giammarco di Biase


C’è uno spazio preciso che limita l’essere andati dall’andare


L’ultima opera di Roberto Masi, Specie domestica (Terra d’ulivi edizioni, collana diretta dal poeta Francesco Terracciano), prospetta l’avvento di un giorno che sta per incalzare ma anche l’osmosi letargica degli spettri notturni, fusi con un tempo che domina il verso e reclusi in un ultramondo, il quale sembra danzare di fatti propri.
Siamo precisamente agli inizi dell’alba, fuori da un balcone, e il balcone resta sempre lì, vicino a un canto che non finisce di ossessionare, prima che il sole nella sua nettezza giunga alle porte. Per questo motivo, l’opera va letta come un insieme di poemetti al limite, anche qui, del poema. Pagine divise da spazi bianchi con un unicum che richiama sempre allo stesso momento, alla stessa ora. È qui, su questo altare di rifiniture domestiche che vanno e vengono “tutti gli animali del mondo mattutino”, come in un teatro di figure scagliate negli occhi di una sonnolenza, la sonnolenza del protagonista (che vede e tace, scrivendo la sua armonia). Il Masi conosce bene la metrica, conosce bene le sue imposizioni, il passo della gazza sulle parole: sa contare perché se conta sveglia nelle tempie una partitura di esseri umani al risveglio, una sonata cisposa proveniente da un altro spazio-tempo, quello notturno, dove sembra che il mondo taccia ma che si triboli comunque nel terreno dei sogni. Non fa altro che questo, la sua silloge, creare da un singolo verso (immagine) un’unica partita di visioni e sensazioni prese dal “vizio dall’aurora” che profetizzano luce e ombra all’intero libretto (immaginario). In questa overture si parla come musicanti, non solo di respiro e di passo. Non ci si mette a guardare soltanto, anzi si osserva il bene primario dei passanti, il cigolare di una nuvola che in prossimità delle ore si sente “schiamare” dagli animali. È il poeta e il cielo che parlano, sono a un duello, per dire una poesia, per somigliare al tempo.

 

***

Ancora un vitto rubato alla gazza;
il gatto lo sa e cura il pasto,
lo protegge sotto al tavolo.
Affina i sensi l’uomo è confuso e sale,
sale il fumo sale dalla bocca
un aroma di caffè. Lo pervade
il gesto dell’ala e del becco:
non teme il gatto le risplende il fianco,
teme l’uomo – vacilla il canto.

 

C’è una collettività nei mattini del Masi, sacra, dove tutto interessa al poeta, e dove, soprattutto l’occhio osservante conta ‒ nel suo essere prima di tutto stato d’animo ‒ col proprio temperamento. I minuti si succedono e rimane poco alla fine dell’incantesimo dell’alba: ad arrivare è la fatica della forza-lavoro, la quotidianità capitalista, maceria della poesia. Non è possibile, quindi, allarmarsi rinnegando la propria “voce” ma c’è un bisogno occulto di autenticarla con precisione: com’è d’uso del Masi, artigiano prima ancora che poeta, saggista, prosatore, filosofo. Non manca di certo l’identificazione personale poiché propria del versificatore è la maschera, la sua “persona” bergmaniana, che si degrada soltanto nel segno dell’osservazione.


“Allo stesso modo si può dire senza degradarsi: «la mia persona non conta», ma non: «io non conto». È la dimostrazione che il vocabolario della moderna corrente di pensiero detta personalista è erroneo. E in questo ambito, là dove vi è un grave di vocabolario, è difficile che non vi sia un grave errore di pensiero. In ogni uomo vi è qualcosa di sacro. Ma non è la sua persona. E neppure la sua persona umana. È semplicemente lui, quell’uomo. Ecco un passante: ha lunghe braccia, occhi celesti, una mente attraversata da pensieri che ignoro, ma che forse sono mediocri” (Simone Weil, La persona e il Sacro, Adelphi).


Ecco allora che la poesia di Roberto Masi è un guardare con la maschera del suo poetare ma soprattutto, paradossalmente, un fare versi sguinzagliato dal volto. Specie domestica è un’opera mondo di rara umiltà, la vera musicalità (e la vera musica) sono strumento del poeta per innalzare anche vari tipi di mediocrità. Questa danza di aerei e suoni, e passanti con occhi celesti e lunghe braccia in cui l’autore non smette di tracciare il suo pensiero iniziatico.

 

***

L’operaio ha smarrito il sonno,
il senno lo ritrova la gazza, lo cavalca
l’uomo – lo assenta.

La ragione è un pasto un alito di vento
scuote il panno e il movimento
lo sopprime chi s’arrende:
torna vigile lo sguardo sul crinale
e fa uno scempio di senso.

 

***

 

Sferza l’alba il lampeggiante:
lo divora il consumo dove
un tempo volteggiavano i sacchi.

Oggi un colore si ripete nel gesto,
replica l’azione –
replica il verso e ferma il tempo.

Il tempo è curvato,
si ripete per noi e di nuovo si
replica il giorno quando sposta il
lampeggiante:

unica muove la gazza.


Roberto Masi (Firenze, 1975). Ha pubblicato opere di saggistica, narrativa e poesia. Un estratto della sua raccolta, Si dissolva l’Opaco (Ensemble 2022), è stato tradotto in lingua serba e pubblicato nell’annuario della Matika srpska. Con l’opera Eccitare l’abisso- Viaggio sentimentale nella logica del dubbio (Homo Scrivens 2020) ha vinto il Premio Città del Galateo mentre il saggio Fuga dalla ragione- il pensiero del gorilla in uscita per Homo Scrivens ha ottenuto il primo posto al Premio Nazionale di Filosofia – le figure del pensiero. Fa parte della redazione di Menabò Online e cura il blog personale robertomasi.com.


In copertina: Otto Dix, Levar del sole, 1913

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