Di Stefano Marino
L’uscita per Einaudi delle splendide traduzioni a opera di Matteo Colombo dei libri di J.D. Salinger contenenti al loro interno tutta l’epopea della famiglia Glass – Franny e Zooey, Alzate l’architrave, carpentieri – Seymour: presentazione e Nove Racconti – ha rappresentato l’occasione giusta per mettere in atto un qualcosa che avevo in testa da tempo e che ho concretizzato con la “scusa” di voler accaparrarmi queste nuove edizioni, per una sorta di completismo salingeriano: la lettura in ordine narrativamente cronologico della saga della famiglia Glass. L’ordine che ho seguito è stato il seguente: Hapworth 16,1924 (non incluso in questa ripubblicazione e, in un certo senso, mai pubblicato, ma ci torneremo), Giù alla Barca, Zio Stortino in Connecticut, Alzate l’architrave, carpentieri, Un giorno perfetto per i pescibanana, Franny, Zooey e Seymour: presentazione.
Questa sequenza narrativa è diversissima dall’ordine in cui Salinger scrisse i racconti: tutto nacque da Un giorno perfetto per i pescibanana. Fu quella, la pietra lanciata nello stagno da cui partirono cerchi concentrici sempre più ampi. Tutto venne generato da una morte e, da lì, la mancanza di Seymour divenne uno dei “personaggi” più indimenticabili della storia della letteratura. La famiglia Glass ha continuato a vivere della luce riflessa da Seymour, costantemente narrandolo – è Buddy Glass, lo scrittore, a prendersi il compito di mettere su carta le vicende più importanti della sua famiglia. E Seymour viene sempre e solo detto, raccontato da altri, tramite ricordi, sue lettere trascritte, pagine del diario, eventi della sua vita filtrati dalla penna di un fratello scrittore. In una sorta di gioco wittgensteiniano tanto caro a Wallace, Seymour è vero in quanto narrato e la sua verità nasce sempre dalle narrazioni altrui. Non ho citato Wallace a caso: leggere in ordine narrativo e di seguito i racconti della famiglia Glass, fa capire che ci si trova di fronte a un unico grande romanzo-mondo post moderno, peraltro uno dei più belli mai scritti. Ne contiene proprio tutte le caratteristiche teoriche che sono servite per codificare questa branca narrativa: c’è l’intertestualità, la commistione con altri media e opere letterarie, il sapere teorico afferente alle sfere più diversificate della conoscenza, le sperimentazioni linguistiche. C’è tutto, insomma, nonostante i racconti salingeriani siano sempre stati considerati come elementi a sé stanti e mai visti in un’ottica di racconto unico, di romanzo, come invece appare evidente se li si affronta con la metodologia sopra descritta. Così evidente che uno dei rumors più famosi sui fantomatici inediti, parla di un unico grande libro contenente tutti i racconti sui Glass e arricchito di nuovi episodi.

Come detto, il percorso di lettura da me intrapreso è iniziato da un vero e proprio samizdat: Hapworth 16, 1924. Uscito originariamente sul New Yorker nel 1965, è l’ultimo lavoro che Salinger scelse di pubblicare: da lì, il silenzio. È suggestivo notare come l’ultimo racconto su Seymour narri di lui bambino: la parabola di Seymour Glass, almeno quella pubblicata, esordisce con la sua morte e si esaurisce con lui settenne – dalla morte a una quasi nascita, insomma. Negli anni Novanta iniziarono a circolare insistenti voci su una pubblicazione in volume del racconto, Salinger era sempre più convinto di fare questo passo – il suo rapporto con la piccola casa editrice che doveva pubblicare il libro, la Orchises Press, è una storia letteraria strepitosa che consiglio a chiunque di approfondire, infarcita di momenti quasi metaletterari come la richiesta di Salinger di pubblicare il testo con un’interlinea abbondante, di modo che Seymour potesse respirare – ma poi, per vari motivi (tra cui una involontaria colpa di Jeff Bezos) non se ne fece più nulla. Nonostante questo, quando si sparse la voce di un’imminente pubblicazione, nel 1997, una piccola casa editrice italiana, decise di pubblicare la traduzione di Hapworth 16,1924 che una studentessa universitaria, Simona Megherini, fece come tesi di laurea. Da noi, il libro uscì in anticipo rispetto alla prospettata uscita americana. E anche qui, ovviamente, successe l’inevitabile: la casa editrice non aveva i diritti per poter pubblicare il libro, la Einaudi fece causa e intimò che tutte le copie venissero ritirate dal mercato, cosa che puntualmente accadde. Tornando all’opera in sé, è forse la più debole dell’intera produzione salingeriana. Si tratta di una lettera scritta da Seymour, all’età di sette anni, indirizzata ai suoi genitori e trascritta da Buddy. Se, come detto, a livello letterario, per chi scrive, siamo davanti a un’opera trascurabile, è però molto interessante vedere come Salinger instilli in un bambino geniale di sette anni alcune caratteristiche evidenti e che saranno fondamentali nel Seymour adulto. Il Seymour settenne è attanagliato dalla malinconia, sempre rivolto al passato, gli mancano tutto e tutti – per parafrasare una celebre citazione holdeniana. L’unica cosa che proietta nel futuro e in un desiderio di progredire è la scrittura. Seymour è già certo che vorrà diventare un poeta e nella lettera si interroga sulle sue capacità letterarie, talvolta si prende delle pause godendo di ciò che sta vergando sul foglio, altre volte, invece, è attanagliato da dubbi sull’effettiva qualità della sua caratura letteraria. È la scrittura l’unico piccolo spiraglio di futuro che si vede nella sua vita di bambino. Per il resto c’è solo passato e già gli ingredienti di quella sorta di ascetismo che impareremo bene a conoscere negli altri componenti della famiglia Glass, ascetismo mutuato da lui, ovviamente, perché era Seymour il vero faro di tutto.
Finito Hapworth 16,1924, sono passato a due racconti contenuti nei Nove Racconti: Giù alla barca e Zio Stortino in Connecticut. In Giù alla barca, i protagonisti sono Beatrice “Boo Boo” Glass e suo figlio Lionel. Lionel è il classico bambino salingeriano e membro dei Glass: vuole scappare, andare nel mondo e, sicuramente, se non si fosse interrotta quella strana e folle tradizione famigliare dei bambini Glass di partecipare al quiz “I piccoli sapienti” – tutti e sette i fratelli e sorelle ne hanno fatto parte, sotto pseudonimo, diventando beniamini del pubblico: inutile dire che l’esperienza li segnerà fortemente – Lionel sarebbe stato un concorrente perfetto.
In Zio Stortino in Connecticut siccome non può ancora esistere il fantasma di Seymour, in quanto all’epoca delle vicende narrate è ancora vivo, c’è un altro fantasma protagonista: Walt Glass, il primo dei fratelli Glass a perdere la vita per uno stupido incidente in guerra. Walt viene rimpianto da Eloise, donna sposata che non l’ha mai dimenticato, e viene rimpianto principalmente per la sua ironia e la sua tenerezza, due caratteristiche su cui lei fa ruotare l’intera mitologia afferente a Walt.
Esauriti questi capitoli iniziali del grande libro dei Glass, si arriva al vero corpus dell’opera, nonché a una delle vette della letteratura del Novecento: la sequenza Alzate l’architrave, carpentieri, Un giorno perfetto per i pescibanana, Franny, Zooey e Seymour: Presentazione. È ancora più evidente, letti in quest’ordine, come si tratti di un grande romanzo perfettamente coerente e consequenziale. Ad esempio la continuità tra Alzate l’architrave e i Pescibanana è perfetta, dove finisce uno praticamente inizia l’altro. Nel primo assistiamo al matrimonio – ovviamente senza sposo, perché anche da vivo lui sarà sempre assente – tra Seymour e Muriel: è come al solito Buddy a raccontare gli eventi e a narrare Seymour, in un’altalena tra struggente malinconia e momenti di una comicità affilata e perfetta. La scena della macchina è memorabile: un estratto di letteratura purissima, mutuata dalla commedia cinematografica e fatto di continui campi e controcampi con il vecchietto nella parte comica a sdrammatizzare, con il suo silenzio, una tensione crescente dettata dall’assenza di Seymour al suo stesso matrimonio. E qui, uno dei temi di Hapworth torna fortemente in auge: Seymour è un poeta, un vero poeta, «anche se non aveva mai scritto un verso poteva mostrarti ciò che aveva dentro con la punta di un orecchio, se voleva». Nuovamente, le uniche testimonianze dirette di Seymour vengono da un qualcosa che ha scritto e che Buddy legge e trascrive, in questo caso il suo diario, grazie al quale apprendiamo la profondità e la complessità del suo disagio: Seymour vuole solo essere un «gatto morto» in quanto per lui è la cosa più preziosa del mondo visto che «nessuno poteva attribuirgli un prezzo» – ricordiamoci sempre che Seymour fu il protagonista più amato del quiz “I piccoli sapienti”, una sorta di fenomeno da baraccone lusingato per il suo genio e obbligato a andare in onda, sera dopo sera dopo sera. Ciò fa emergere un altro elemento importante e che è alla base del suo non essersi presentato al matrimonio: Seymour si definisce un paranoico al contrario: è convinto che tutti tramino per farlo felice, Muriel inclusa, e questo per lui è insostenibile. Alla fine del racconto – o capitolo del grande libro sui Glass – apprendiamo, anche qui tramite racconto di terzi, che Seymour è riapparso ed è scappato con Muriel. Per il momento, sembra che la felicità non gli sia d’impedimento ma, ovviamente, questa condizione sarà transitoria.
Un giorno perfetto per i pescibanana è ambientato sei anni dopo, anche se sembra iniziare esattamente dove finisce Alzate l’architrave, carpentieri. Non c’è bisogno che ci venga raccontato cos’è successo in quei sei anni, perché tutti lo sanno: la guerra. E Seymour, intrecciando la sua biografia con quella dell’autore, è tornato in America profondamente traumatizzato da ciò che ha visto in Europa. Inutile analizzare uno dei racconti più vivisezionati della storia della letteratura: qua c’è l’esplosione che tutto genera, il Big Bang che sconvolgerà la vita dei Glass. Preme sottolineare solo che, al solito, è Buddy a narrare Seymour e lui, a sua volta, si racconta a una bambina, in modo coerente con la poetica salingeriana: solo con lei riesce a comunicare e, in qualche modo, a sorridere, anche se tutti sappiamo cosa aveva già in mente e cosa avrebbe messo in atto di lì a poco. E l’eco di quel gesto trasforma Franny e Zooey in una storia di fantasmi, quindi in una storia d’amore, per citare di nuovo Wallace. Seymour è ovunque, in ogni dialogo, nei libri che leggono, nella polvere sugli armadi, nelle pose, nelle sigarette accese, nei bagni caldi, nella sua stanza, in tutta la casa. La sua assenza è così tangibile da essere la grande protagonista di questi ulteriori due bellissimi capitoli del grande racconto sui Glass. Franny disperata che cerca Seymour in ogni persona che incrocia ma nessuno ha il suo talento poetico e il suo genio e Buddy che prova goffamente a risolvere una crisi famigliare, scimmiottando al meglio delle sue possibilità ciò che avrebbe fatto Seymour, anche se niente potrà mai essere davvero alla sua altezza. Perciò non rimane altro che santificare il suo fantasma, in quella casa che oramai ha le sembianze di un castello stregato («Questo posto è fatto a tua misura. Il servizio è eccellente, e i fantasmi scorrono come l’acqua dei rubinetti, caldi e freddi») e cercare di concentrare tutte le crisi mistiche di Franny verso una liturgia propria della famiglia Glass: è Seymour il figlio dell’uomo da venerare, colui che ci libera dai nostri peccati mortali tramite il suo sacrificio.
A questo punto arriva lo stupendo capitolo finale – Seymour: presentazione – ma anche quello più smaccatamente post moderno: lo stile di Salinger si fa sempre più sperimentale, di racconto in racconto, e qua raggiunge il suo apice. In un vortice descrittivo nozionistico e minuzioso, Buddy analizza Seymour, portandone ancora una volta in alto la statura morale e artistica, di lui dice «per noi fu senza dubbio tutto ciò che era reale (…) nonché nostro unico poeta completo», e tra Zen, haiku, filosofia e Advaita Vedānta, Buddy traccia un ritratto del fratello assente struggente e memorabile. Perfetta chiusura di questo grande libro sulla famiglia Glass o, meglio, su Seymour Glass visto attraverso gli occhi di chi l’ha amato e respirato. Salinger chiude la sua epopea con una frase dritta e perfetta. Si rivolge al lettore e gli dice solo: «e ora a letto. Svelto. Svelto e adagio».
Buonanotte.
In copertina: artwork by Edward Hopper


Una replica a “Quando muore un poeta – Il grande romanzo della famiglia Glass”
[…] a cura di Poetarum Silva […]
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