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Empatia e straniamento nell’esperienza poetica – Le ‘Corrispondenze’ con Maria Benedetta Cerro

Di Maria Benedetta Cerro

 

L’incontro poetico avviene, in via privilegiata, attraverso la lettura, che veicola in qualche modo la corporeità, ossia l’esperienza emotivo-sensibile di chi scrive. Ciò si verifica attraverso immagini, sollecitazioni sensoriali, che stimolano nel lettore la somiglianza o identità del processo di rappresentazione mentale di un vissuto, costituito dall’interazione tra inconscio e realtà sensibile. Ovviamente ogni testo esprime una propria diversità in termini di visione simbolica, di stratificazione di senso, non solo rispetto alla complessità della realtà osservata, ma anche in relazione ad esperienze personali, culturali, sociali. Pertanto la lettura può comunicare nell’immediato sensazioni di empatia, straniamento, perplessità, a seconda del proprio riconoscersi o meno nell’esperienza rappresentata.

In ogni caso, credo sia possibile con qualsiasi testo (ove naturalmente esista una consapevolezza di scrittura poetica) stabilire un dialogo, se non di comprensione profonda, almeno di richiamo a
quell’a-priori corporeo, comune a ciascun essere umano. Tali considerazioni derivano da un confronto con esperienze poetiche diverse, prevalentemente delle ultime generazioni, che presentano in termini di ‘visione’ della realtà, ma anche di complessità interiore, elementi rappresentativi di mondi apparentemente estranei e dall’accesso quasi precluso. In qualche caso si sarebbe tentati di accantonare il testo e scegliere una lettura più affine al proprio sentire, ma non sarebbe la soluzione migliore per chi volesse perseguire una via di ricerca e di conoscenza, doverosa anzi, per la formulazione di un’idea di futuro poetico.

Occorre altresì considerare che l’incontro poetico prescinde dal tempo, dall’età, dalla persona stessa, che nel verso si fa parola, quindi ‘essenza’, in grado di conferire alla scrittura carattere di universalità. In tal caso il lettore trae dal ‘dono’ poetico energia e vitalità creativa.
Ciò che banalmente chiamiamo ‘ispirazione’.
La presente proposta di interazione poetica ha avuto un inizio casuale, privo di una finalità divulgativa, che invece si è configurata in itinere. L’occasione è nata da alcune poesie ricevute da uno dei giovani poeti frequentati negli ultimi anni, con i quali ho condiviso esperienze culturali, eventi, scambi poetici. Una poesia, quella di Giacomo Di Manna, immediatamente riconoscibile per lo stile asciutto, personale, dal carattere enigmatico, quasi impenetrabile ad una prima lettura. Le immagini rimandano a certe ambientazioni inquietanti che hanno attinenza con la psiche e con la morte, ma anche con quella realtà ancora più profonda, come gli abissi naturali e antropologici delle nostre origini remote. Una poesia che trasmette un iniziale sgomento, ma raggiunge in qualche modo la sensibilità del lettore, che infine vi riconosce alcuni elementi che lo riguardano.

Pur avendo con il giovane un’intesa consolidata da incontri personali e dialoghi frequenti, la ‘sfida’ è stata quella di affrontare il testo ‘a mani nude’, interrogare il verso, chiedersi attraverso quali canali sarebbe stato possibile raggiungere una interiore corrispondenza.
Un’ipotesi di lavoro è stata la riscrittura del testo dal proprio punto di vista, facendo appello a quel sentire ultra-profondo, remoto, inesplorato, richiamato alla luce dai versi analizzati.
Ne sono derivate alcune esperienze esemplificative: due ‘a specchio’ (proposta-risposta), l’altra ad ‘incastro’, (ovvero a voci dialoganti).

Un ‘gioco di specchi’ che ha trovato applicazione nei testi di altri autori, che man mano si sono aggiunti (attraverso esplicita richiesta o autonoma proposta) con esiti diversi, in termini di invenzione poetica, a seconda delle affinità, delle difficoltà, della scintilla euristica.

 

 

Di seguito, alcune poesie in dialogo tratte da Corrispondenze

Ringraziamo l’editore e Maria Benedetta Cerro per la gentile concessione. 


 

Mariapia Crisafulli
L’idealismo

Ad averle le parole
potrei guardarti ancora

Sentirti ancora
cosa umana
dietro questa apocalisse
che ci svela
lupi solitari in mezzo al branco
Tu eri speranza
io ero promessa
Noi due contro la lotta
noi due dentro la lotta

Il mondo non si cambia
se prima non si accetta

Noi lo avremmo attraversato
ora scoperta, ora conato:
la sazietà totale in un amplesso

Ma la voce si incrinava

la tua voce sibillina
consumava
il vecchio ardore della mia

Un intimo naufragio
il nostro credo


Maria Benedetta Cerro
(testo a specchio)

Ho le parole / non ho gli occhi.
Da questa perfezione manomessa
l’anima appena vedo
– o il ricordo che ho di essa –
Dove siamo? Come siamo messi?
in un immaginario così scarno
un muoversi così pericoloso.
Noi / siamo il branco / tra innocenti lupi.
Tu folle di sole
io cieca e buia / come sono le porte.
Potremo mai / insieme

rivoltare il mondo
ignorando il senso e la portata

di un sovrumano gesto?
Abbiamo creduto / ingoiato un mare amaro.
Siamo state insieme una forza onnipotente.
– Ma qualcosa cedeva –
Forse la lingua / per intendersi
non era la stessa.
Ma una parola / una sola…

– E non sarà naufragio –

 

In dialogo
Maria Pia Crisafulli / Maria Benedetta Cerro

Strappavo le pagine
e solo dopo
scrivevo.

Io cercavo margini / angoli / ritagli
– non c’era pagina degna –

La poesia mi trovava
sparpagliava sul banco
senza mai ricomporre

e così mi consegna

La poesia mi assaliva
le parole esondavano
diluviava nel cranio e fuori.

Ero e non ero / sopraffatta.

Non trovo più le parole
non vengono più
a trovarmi
Tu leggimi poesie
fosse il giorno un capezzale
e il capezzale una radura

Andate via dalle mie notti – dicevo –
Scavate altrove le profonde fosse.
Tu accoglimi / tu leggimi
fosse tua la voce che risana.

Vorrei scriverti
le labbra
percorrerle e affondarle
come la penna

sopra il foglio

È questa bocca come un calamaio
– nero inchiostro invece di parole –
Se attingi l’anima / la uccidi.

Di certo la poesia
tornerebbe ad abitarmi
dentro la bocca tua

Disegna invece i margini del dire.
Vuole una casa la poesia
per andarsene / e tornare.
Non la chiamare.

Tu suonavo le corde
sulla gola
Ma tu non parlavi

Il suono – non è quella la porta –
(ignote e così chiare le vie)

Domani
Domani ti racconto
Il domani…

Ti soffiavo in bocca le parole
– respiravi appena –
Domani / domani starai meglio.

Domani…

Prendete questi versi
prendeteli tutti
prendeteli e portateli via

Non voglio più vedermi

Questi versi – vi prego – prendeteli.
Metteteli a specchio. Riconoscetemi.

 

*

Eda Özbakay
un nome

ogni sera, alle sei, si sentiva la salva di
saluto. quel cannone continuava a sparare,
anche se non era rimasto quasi nessuno da
salutare.

le case bruciavano sempre durante la notte,
mai di giorno. noi vestaglie bianche, tarme
intorno alle fiamme, ci radunavamo sulla
sabbia in salita, in silenzio.

ero fortunata. abitavo in una curva stretta,
troppo stretta per le camionette che nella
sterzata perdevano parte del loro carico dai
cassoni. un cocomero, acqua, delle cipolle.

quando non era rimasto più nessuno nel
villaggio, misi una sedia al centro della mia
stanza, in attesa dell’interrogatore. diceva di
cercare un nome, un nome da dare a tutto
questo.

 

Maria Benedetta Cerro
Paglia (testo a specchio)

Andavamo insieme. Di certo eravamo in due.
Ma non so chi fosse l’ombra che mi accompagnava
– quindi ero sola – Cercavamo gli Altri.
Lei guardava intorno. Io badavo dove mettere i piedi.

Case sparite, strade mai state. Solo ruderi
coperti dalla vegetazione, erba alta, fratte, spine.
Ora albeggiava. Luce equorea. In lontananza
qualcuno portava al pascolo degli animali.

In fondo, una grotta. Qualcuno andava – tornava.
Covoni di paglia in cammino / un ciuffo
al posto della testa. Gli Altri – erano gli Altri –
Esseri di paglia, case di paglia.

Nella grotta vendevano granaglie, forse altro cibo.
Io chiesi all’ombra dov’eravamo, chi fossero.
Furono – rispose – Sono.
Anche noi
fummo.

In dialogo
Eda Özbakay / Maria Benedetta Cerro

la frontiera – A
sempre diritto! mi risposero

mentre oltrepassavo la fron-
tiera, salutandomi con un bat-
tito di ciglia di pelle nera e
penzolante.

Può andare. – Vada –
(e-sitavo)
Per andare dove non vuole
non ci sono istruzioni.
Chiuda gli occhi. Inventi la terra
dove mette i piedi.

la frontiera – C

per oltrepassare il varco oc-
corre ammorbidire la facciata
della cabina di controllo con
il proprio alito. in molti ri-
mangono incollati con la lin-
gua al vetro, le fitte in bocca.

Documenti, prego.
Senza alzare gli occhi.
Vada nella stanza accanto per la visita.
Mi tocca le labbra, mi scruta cima a fondo.
Un caso da studiare – dice la soldatessa –
Si tenga pronta.

la frontiera – D

per non dare nell’occhio,
qualcuno cercò di tenere fermi
i propri pensieri.
questi non si muovono più. o li
togliete o tornate indietro

In fila per il visto.
Lei – dico a lei – cosa porta con sé?
Come dire ‘così tanto di tutto?
e tanto peso?’
Mette in bocca tranquillissimi nodi.
Deve scioglierli tutti prima di parlare.

 


Le autrici e gli autori che hanno condiviso questo percorso in versi con Maria Benedetta Cerro sono: Giacomo Di Manna, Irene Sabetta, Mariapia Crisafulli, Antonio Vanni, Stefania Giammillaro, Patrizia Baglione, Elisa Nanini, Carlo Giacobbi, Marta Celio, Chiara Mutti, Eda Özbakay, Lucilla Trapazzo, Simone Principe, Anna Maria Curci, Angela Greco AnGre, Maria Pina Ciancio, Marina Minet, Carmine Brancaccio, Giansalvo Pio Fortunato, Giuseppe Vetromile, Carlo Di Legge.
Ringraziamo l’editore e Maria Benedetta Cerro per la gentile concessione. 


In copertina: artwork by Alma-Tadema

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